Va bene bonificare il calcio dalla violenza e dalle provocazioni gratuite, ma se ci mettiamo a censurare anche le manifestazioni di disappunto, se dare del «non vedente» a un telecronista diventa una forma di lesa maestà, allora non lamentiamoci quando gli sportivi inanellano davanti ai microfoni una sequela irritante di frasi fatte e luoghi comuni. L’impressione è che gli abitanti del pianeta social – a cominciare, sia chiaro, dal sottoscritto – abbiano la pelle eccessivamente sottile. La comunicazione si sta trasformando in un rito di indignazione a ciclo continuo che finisce per mettere sullo stesso piano le cose serie e quelle che si potrebbero tranquillamente liquidare con un «embè?».
*lastampa