<em>Stefano Stefanini, nel suo editoriale su La Stampa, sottolinea il ruolo fondamentale dell’Italia nella gestione dell’emergenza in Nord Africa.
Cogliere la chance di far ripartire l’Europa
I pedaggi si pagheranno a Berlino o a Bruxelles. Ma tutte le strade portano ancora a Roma. Ieri vi hanno condotto i Paesi mediterranei dell’Ue e i loro dirimpettai nordafricani. Insieme, hanno fatto un passo avanti per gestire la rotta libica dell’immigrazione in Europa; sulla carta per ora, ma nella giusta direzione. Sabato 25 toccherà all’intera Unione Europea rinnovare i voti nel sessantesimo anniversario. L’Italia è il fulcro dei flussi immigratori; la regia del 25 marzo le dà fiato per farne un vertice politico di rilancio anziché una sterile celebrazione.
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Il Trattato del 1957 suggellò la rinascita dell’Italia repubblicana dalle macerie della dittatura fascista, dall’umiliazione della sconfitta e dalle ferite della guerra civile. Sessant’anni dopo i leader dei 27 Paesi dell’Ue tornano a Roma per far ripartire l’Europa dopo le battute d’arresto sull’immigrazione, sulla crescita e sul debito sovrano, dopo gli attacchi del terrorismo, dopo l’autoinflitta amputazione del Regno Unito.
La perdita di fiducia della gente in un’Unione che perda colpi è comprensibile. Le Pen, Salvini, Wilders, Farage sono effetti non cause. Per l’Ue gli ultimi due anni sono stati una corsa a ostacoli da una crisi all’altra, inciampando ma senza abbandonare. La sopravvivenza è una battaglia onorevole che non basta. Quando si riuniranno a Roma, per ridare fiducia alla gente e ritrovarla in se stessi i 27 leader e i tre presidenti dell’Ue dovranno dimostrare di guardare al futuro. Oggi non è tempo né d’indulgere a celebrazioni né di farsi prendere la mano da recriminazioni. Quello che conta è l’Europa di domani.
All’Europa di domani pensarono i sei Paesi fondatori nel 1957. Guai se si fossero fatti condizionare dalla congiuntura. Se fra quattro giorni ci sarà lo stesso coraggio la gente se ne accorgerà, a Bratislava come a Parigi. L’Italia ha una responsabilità non solo cerimoniale. Il lustro di fare da ospite è effimero. Essere Paese cerniera fra Nord e Sud, fra vecchi e nuovi membri, ponte verso i Balcani in credito di allargamento, frontiera mediterranea, è una responsabilità. Basta e avanza per far ben sentire la nostra voce, pur senza velleitarismi.
A fine mese, il primo ministro britannico annuncerà la decisione di Londra di uscire dall’Ue ex articolo 50 del Trattato di Lisbona. Non che ci sia da rallegrarsene, ma il dado è stato tratto nove mesi fa. Più presto si passa dal disagio della convivenza forzata a una seria e costruttiva trattativa sulla separazione e sulla futura relazione fra Uk e Ue, meglio è. Anche lì l’Italia avrà un ruolo da giocare e interessi nazionali da salvaguardare.
Usciamo bene dalla prima tornata della settimana europea. E’ stato un successo aver messo intorno allo stesso tavolo tutti i Paesi della sponda africana (tranne Algeria per disguidi) e di quella Ue. Ha corresponsabilizzato i primi al di là delle loro frontiere, impegnandoli a collaborare con la Libia per fermare l’emorragia prima degli imbarchi. Il governo Gentiloni persegue con costanza l’obiettivo di un filtro sulla sponda Sud, non diversamente da quanto avviene sulla sponda Est, in Turchia, in Giordania, in Libano. La situazione della Libia lo rende molto più difficile. Visto che la Libia, da sola non ce la può fare, è necessario avere a bordo l’intera regione. Bisognerà che l’intera Ue, non solo l’Italia, continui a stargli dietro.
Seguirà l’appuntamento del 25 marzo. In gioco la credibilità Ue alla vigilia di Brexit. Per quanto l’Italia possa fare serve una risposta collettiva. Per accontentare tutti la dichiarazione potrebbe cadere nello scontato. Più che le parole conteranno il comportamento e l’affiatamento dei leader. Capiremo subito se finalmente l’Europa riparte. Devono crederci, non solo dirlo.
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