Sorpresa, gli Usa difensori della privacy MASSIMO RUSSO*

Il nome è in apparenza neutro, «legge sul ricorso giurisdizionale». Ma la norma approvata dal...

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Il nome è in apparenza neutro, «legge sul ricorso giurisdizionale». Ma la norma approvata dal Congresso degli Stati Uniti ci riguarda da vicino e ha in sé l’affermazione di una leadership economica e culturale planetaria. Non attraverso la forza, ma con l’allargamento dei diritti. Il terreno su cui si dispiega questo disegno è costituito dai dati personali. Il riconoscimento dell’habeas data– il diritto del singolo a disporre delle informazioni che lo riguardano – significa per il 21° secolo quel che l’habeas corpus fu nel Medio Evo.  

Allora il diritto a non essere privati della libertà senza il pronunciamento di un giudice naturale significò la fine dell’arbitrio. Oggi la legge firmata dal presidente Barack Obama riconosce ai cittadini delle nazioni alleate la medesima tutela della privacy prima accordata ai soli americani. D’ora in poi noi europei potremo far causa alle agenzie governative Usa qualora esse ci abbiano spiato o abbiano utilizzato i nostri dati in modo improprio. Il provvedimento nasce dalla necessità di ristabilire la fiducia sulle due sponde dell’Atlantico dopo il caso di Edward Snowden, che con le sue rivelazioni tre anni fa rese ufficiale ciò che da tempo era voce corrente: la pratica delle intercettazioni, del monitoraggio e della raccolta di dati personali a strascico provenienti da conversazioni e posta elettronica da parte della National security agency (Nsa) e di altri organismi federali. Uno scandalo di cui si è tornati a parlare proprio in questi giorni, con la pubblicazione da parte di Wikileaks dei rapporti che provano come anche Silvio Berlusconi e il suo staff di governo fossero intercettati.  

L’apertura, vista dalla prospettiva americana, è un deciso cambio di tendenza rispetto al passato e comporta alcuni rischi: ora uno straniero avrà una base giuridica per portare in giudizio l’amministrazione. Inoltre diventeranno più difficili gli accertamenti nei confronti degli europei sospettati di terrorismo, verso i quali prima esisteva una sorta di libera licenza di intercettazione. Tuttavia la legge risponde a un chiaro disegno strategico: in un’economia globalizzata, garantire diritti anche a non cittadini rende più appetibile per le grandi aziende multinazionali e per gli over the top, le grandi piattaforme digitali, insediarsi negli Stati Uniti. Il provvedimento inoltre toglie forza e ragioni a quanti in Europa si erano battuti affinché gli Usa non fossero più considerati safe harbor, un porto sicuro per la conservazione e il trattamento delle informazioni di milioni di clienti delle multinazionali.  

Il messaggio è semplice: se vuoi cogliere le straordinarie opportunità offerte dalla digitalizzazione dell’economia, il tuo orizzonte non sono più i confini nazionali. Dunque il soggetto destinatario dei diritti non sono più i tuoi cittadini, ma i potenziali consumatori globali. Che devi conquistare con la moneta della fiducia.  

Ribaltando il punto di vista, le prerogative di cui godiamo noi singoli non sono più determinate solo dal passaporto che abbiamo in tasca, ma anche dalle nostre scelte di consumo. Un tema tanto più rilevante in vista dell’approvazione del nuovo Accordo transatlantico sul commercio e gli investimenti (Ttip), che tra Europa e Usa formerà il più grande spazio di commercio e scambio al mondo.  

A questa sfida il Vecchio Continente si presenta in ordine sparso. Il commissario Ue per la Giustizia Vera Jourová ha plaudito alla legge, definendola «un progresso storico degli sforzi per ripristinare la fiducia nei flussi di dati transatlantici». Ma l’Unione arriva all’appuntamento ancora frammentata in 28 ordinamenti, con altrettante autorità di garanzia, e addirittura con l’ipotesi di ricostituire i confini interni. Un ritardo reso ancor più grave dal fatto che protagonisti della partita non sono più solo gli Stati ma anche le imprese. Il conflitto tra Apple e Fbi di questi giorni, con la società che resiste alla richiesta di rendere accessibili le informazioni contenute nei nostri telefoni, ci parla proprio di questo. Su dati personali, diritti e fiducia, si gioca uno scontro chiave. Lo vincerà chi riuscirà a convincerci di garantirli meglio. 

* @massimo_russo  / lastampa

 
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