A Taormina, sabato 21 giugno, il vento che soffiava tra le colonne del Teatro Antico sembrava portare con sé non solo il profumo del mare, ma anche un’urgenza: quella di tornare a parlarsi, a capirsi, ad abbattere muri visibili e invisibili. È stata questa la vibrazione che ha attraversato tutta la giornata del Taobuk – Taormina International Book Festival, giunto alla sua quindicesima edizione, nel segno del tema “Confini”.
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a di confini, sabato, non si è parlato in astratto. Al contrario, ognuno degli ospiti – scrittori, filosofi, artisti, giuristi – ha offerto una chiave personale, toccando la vita vera: quella fatta di solitudini, lacerazioni, memoria e speranza.
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“Riportare il mondo nella sfera dell’umano”
Susanna Tamaro, in un incontro intenso e raccolto, ha invitato il pubblico a non cedere all’indifferenza, ricordando che “il compito dell’uomo è riportare il mondo nella sfera dell’umano”. Parole che suonano come una chiamata alla responsabilità, in un tempo in cui l’umano sembra spesso messo da parte in nome dell’efficienza, del controllo, della paura.
Con stile diverso ma eguale profondità, Peter Cameron ha esplorato i confini dell’identità, dell’amore e della solitudine. Nei suoi racconti, lo spazio tra gli individui non è mai vuoto: è un luogo da abitare con delicatezza. Zadie Smith, invece, ha affrontato con forza le grandi fratture del nostro tempo – disuguaglianze, razzismo, crisi culturali – mostrandoci quanto la letteratura possa essere un campo di battaglia e insieme un rifugio.
L’arte che rompe i confini
Il momento più forte? L’apertura della mostra Water Lilies di Ai Weiwei. L’artista cinese ha portato per la prima volta in Italia un’opera monumentale fatta interamente di mattoncini Lego, ispirata a Monet ma segnata da una ferita: una porta, che apre verso lo Xinjiang, terra di confino e dolore. È qui che l’arte diventa denuncia, e anche speranza: la soglia tra bellezza e orrore può essere attraversata, in entrambe le direzioni.
Un premio, una nota, una ferita aperta
La serata si è conclusa con il Taobuk Gala al Teatro Antico. Musica, parole, volti emozionati. Ma su tutti, ha colpito la voce delicata e ferma del pianista Ramin Bahrami, che ha ricevuto il Taobuk Award dicendo semplicemente: “Avrei voluto ricevere questo prestigioso premio in un mondo più pacifico.” Un silenzio ha attraversato la platea. E poi un grande applauso. Perché in quelle parole c’era tutto: la gioia, il dolore, l’appello silenzioso di chi crede ancora che la bellezza debba accompagnarsi alla pace.
Il merito di questo festival sta tutto qui: nel riuscire a parlare di temi complessi senza mai essere freddo o distante. Nelle parole di Massimo Recalcati, che ha analizzato l’odio come negazione dell’altro, e in quelle di Nicola Gratteri, che ha raccontato le nuove forme del potere criminale con la passione e la lucidità di chi non ha mai smesso di combattere.
A rendere possibile tutto questo, una macchina organizzativa solida e visionaria, guidata con passione da Antonella Ferrara, direttrice artistica e anima del festival. Un programma articolato, pensato, curato, che ha saputo unire più di 200 ospiti da 30 Paesi in una conversazione globale e umana.
Suggestiva ed emozionante l’esibizione di Aterballetto, che ha incantato il Teatro Antico con una coreografia intensa sulle note di Rhapsody in Blue di George Gershwin. Una danza fluida, sospesa tra classico e contemporaneo, capace di rendere visibile il dialogo tra i corpi e la musica, diretta con energia e sensibilità dalla maestra Gianna Fratta alla guida dell’Orchestra del Teatro Massimo Bellini di Catania. Un momento che ha unito eleganza, ritmo e forza espressiva, rendendo perfettamente tangibile quel superamento dei confini – tra generi, arti e culture – che è l’anima stessa di Taobuk.
Chi ha assistito agli eventi di sabato è tornato a casa un po’ diverso. Forse più inquieto, ma anche più vigile, più empatico. Perché Taobuk, con i suoi confini da attraversare, ci ha ricordato che la cultura non è una vetrina, ma una lente per leggere il mondo – e provare, insieme, a cambiarlo.
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