Longa manus di Milano sulla Librolandia torinese?

In questo pregevole articolo, Alberto Mattioli analizza la “battaglia” in corso tra Torino che si...

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In questo pregevole articolo, Alberto Mattioli analizza la “battaglia” in corso tra Torino che si difende e Milano che attacca per portarle via Librolandia e, per farlo, usa tutta la sua verve emiliana e, con essa, fa un escursus su quello che lui stesso definisce “derby perenne”: È un derby perenne – scrive. L’esoterica cortesia torinese contro la brutalità del «lavoro, guadagno, pago, pretendo» del milanese; la cultura azionista contro la città che ha allevato Mussolini e Berlusconi; le rimembranze risorgimentali contro quelle absburgiche (a Milano uno dei locali più trendy si chiama Caffè Radetzky, mica Carlo Alberto). Ma leggiamo tutto l’articolo.

Comunque vada a finire, e sperando che finisca nel nulla, l’ipotesi del trasloco del Salone del libro da Torino a Milano ripropone l’eterna questione del rapporto fra due città unite dall’alta velocità e separate da tutto il resto.

Che a Torino il tentativo milanese sia stato subito catalogato alla voce «scippo» la dice lunga sull’umore prevalente nei confronti della metropoli più vicina dal punto di vista geografico e più lontana da quello psicologico. Dall’altra parte, si ostenta una sorta di sdegnoso distacco (ah sì, vero, c’è anche Torino…) che non è certamente un sintomo di travolgente simpatia. Si sa che in Italia il vero hobby nazionale è detestarsi a vicenda. Nel caso di Mi-To (o To-Mi, par condicio), però, la situazione è più complessa, dunque più interessante.

Chi scrive è imparziale in quanto viene dall’Emilia, un posto dove si mangia troppo bene per odiare veramente qualcuno, ma ha vissuto sia a Milano che a Torino, quindi ha potuto studiare con comodo un rapporto di reciproco disamore condito da una certa riluttante ammirazione e da molte diffidenze, false incomprensioni e vere paranoie. Basta fare un giro sui social, oppure quella forma antiquata di social che sono due chiacchiere con le persone, per rendersene conto.

A Milano l’immagine di Torino è quella di una città lenta, grigia, noiosa e sussiegosa. I milanesi sono ancora convinti che sia quella dell’evo A.O. (ante Olimpiadi). Dici Torino e nella mente del milanese medio si materializzano le immagini in bianco e nero dei cancelli di Mirafiori alle cinque di una mattina di novembre. Quando i torinesi hanno avuto la geniale intuizione di svelare al resto del mondo il segreto che fino ad allora avevano gelosamente conservato, cioè che la loro è una bellissima città, piena di musei e di ristoranti egualmente inebrianti, il mondo ha iniziato a venirci. Ma fateci caso: adesso che le strade di Torino sono piene di turisti, è abbastanza raro vederci dei milanesi. Li trovi in tutta Italia, perfino nella detestatissima Roma; a Torino, no. Evidentemente pensano ancora che la città non valga il viaggio, benché brevissimo. Idea condivisa ormai solo da Trenitalia: l’ultima Freccia da Milano per Torino parte alle 22,12, ma da Torino per Milano alle 19,10. Come dire: un torinese può venire a passare la serata a Milano; un milanese, concesso e non dato che lo voglia, non può fare lo stesso a Torino.

Vista da Torino, invece, Milano sembra certo dinamica ma sbrigativa, sbruffona, forse un po’ rozza, sicuramente troppo veloce. Sgradevolmente efficiente. Un posto dove si preferirà sempre prendere un caffè in piedi invece che seduti nel locale storico con vista su madame gozzaniane e camerieri egizi. E dove è stato inventato e si pratica l’apericena, cioè la massima minaccia per la civiltà occidentale dopo l’Isis, invece di sedersi davanti al bollito con i sette tagli di carne, le sette salse e i sette secoli necessari per prepararlo. Milano è la città dove se dici bagnetto verde pensano al bagnoschiuma. Che volgarità.

È un derby perenne. L’esoterica cortesia torinese contro la brutalità del «lavoro, guadagno, pago, pretendo» del milanese; la cultura azionista contro la città che ha allevato Mussolini e Berlusconi; le rimembranze risorgimentali contro quelle absburgiche (a Milano uno dei locali più trendy si chiama Caffè Radetzky, mica Carlo Alberto). Anche le fusioni bancarie o musicali, tutto sommato ben riuscite, sono sempre state vissute con disagio, come un male necessario, una pillola da mandare giù perché proprio non se ne può fare a meno.

E tuttavia adesso la palla è nel campo torinese. Dopo l’Expo, in una fase felice, Milano prosegue a tutto vapore la sua marcia, unica vera metropoli nazionale dopo lo sfascio di Roma, che sembra ormai una città africana senza il quartiere europeo. Torino deve decidere una volta per tutte se essere a 40 minuti di treno da Milano sia un problema o un’opportunità, se isolarsi o collaborare. E, tutto sommato, delle due, anche se «quelli» non sanno cos’è un bicerìn e appena ti distrai un attimo tentano di fregarti il Salone, meglio la seconda ipotesi.

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