Non vestire più gli abiti del silenzio: la storia di Titti Sposato (VIDEO)

Non vestire più gli abiti logori del silenzio. Non vestire gli abiti della rassegnazione. Non vestire gli abiti della paura.

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Non vestire più gli abiti logori del silenzio della violenza domestica. La storia di Titti Sposato, donna uscita dal tunnel di un amore malato. La videointervista.

Non vestire più gli abiti logori del silenzio. Non vestire gli abiti della rassegnazione. Non vestire gli abiti della paura. Titti Sposato è stata vittima di violenza domestica e psicologica. Oggi, la sua vita è molto diversa: ha deciso di raccontarlo alla nostra redazione tramite una videointervista.

Ho scelto di essere qui per sottolineare l’importanza di affrontare e accettare il proprio vissuto, compreso il dolore che resta e non andrà mai via. Vivere il quotidiano non significa dimenticare: c’è sempre qualcosa che riporta a quel passato. Voglio portare una testimonianza per le donne che non trovano il coraggio di uscire da questa gabbia. Dell’argomento si parla sui social e sui giornali, ma presente anche nella mia quotidianità, che è piena di donne e dei racconti del loro vissuto: è importante trarre la forza per affrontare il dolore e fare in modo che i nostri figli non lo conoscano mai.

Subire esperienze di questo tipo ti porta a sentirti piccola e inutile, a non credere nel ruolo di donna, mamma, amica. Mi sento testimonial della chiusura in questa realtà, che porta un dolore che è conosciuto solo da chi l’ha vissuto e prende la forma di un vestito logoro di cui non ci si riesce a spogliare, se non parlandone. È un dolore che non si può localizzare nel corpo: non è un mal di testa, non è un mal di schiena, ma è un dolore che prosciuga il corpo e l’anima ed è alimentato dalla paura.

Non bisogna vergognarsi di ciò che si subisce. Io l’ho fatto. E so che è fondamentale capire i segnali di chi è vittima di violenza. Non è facile denunciare al primo schiaffo. La difficoltà di denunciare deriva dal giudizio degli altri, nonostante si sappia di essere una vittima. Ci si preoccupa di cosa possano pensare i vicini e le vicine. Ma bisogna pensare che quando si ama una persona, le umiliazioni fisiche e verbali non possono essere giustificate. I segnali per riconoscere una violenza domestica sono quelli di una donna che racconta un alibi. Ma non deve succedere: non c’è mai una motivazione per l’uso delle mani, per gli insulti. Espressioni di questo tipo non possono essere perdonate. Non si può avere fiducia nell’amore, che non vince su questi atteggiamenti. E non basta. È necessario l’amore per te stessa, soprattutto quello che porta a dire basta.

Il sentimento di solitudine impedisce di parlarne, e molte donne sono ancora nella gabbia con il mostro. Ci vuole una forza che non si crede di avere, ma io l’ho trovata e oggi voglio che nessuno abbia più queste cicatrici. Esse portano a non avere più fiducia nel fatto di poter avere qualcuno accanto. Non è una paura che porta a far tremare le gambe, ma qualcosa di più: è un fruscio che attraversa tutto il corpo e rende inerme. E questo sentimento attraversa le donne costantemente, nella propria casa.

Le parole hanno avuto un peso grandissimo: lo schiaffo, lo spintone, le mani al collo fanno parte di momenti difficili che passano e si crede che non torneranno. In realtà, invece, si percepisce che succederà di nuovo. Ma ci si sente così piccole da non riuscire a reagire. Un ematoma va via, uno schiaffo si dimentica. Nei giorni, il dolore fisico scompare. Ma le parole restano.

Oggi sono serena. Ho ripreso in mano la mia vita e l’ho cambiata completamente. Possiamo davvero cambiare e dobbiamo dimostrare ai nostri figli che la forza, la determinazione, la voglia di esserci sono fondamentali. Non bisogna permettere che l’amore per noi stessi vada disintegrato. Al contrario, va rispettato in modo incondizionato.

In questo momento vivo giorno per giorno e non vedo un futuro chiaro davanti a me. Ma sono pronta ad aprire il mio cuore e le mie braccia verso le donne che si trovano in questa situazione. A Taurianova , in provincia di Reggio Calabria, non c’è uno sportello dedicato alla violenza sulle donne. Non si può fare molto, se non andare in caserma. Ma è necessario raccogliere la richiesta di aiuto nel momento in cui la vittima riesce a domandarlo. Bisogna offrire un rifugio, fare in modo che si possa evitare di tornare a casa, nella gabbia. Ci sono ambienti in cui le persone mormorano: questi ambienti favoriscono il silenzio. Non c’è l’umiltà di  una sofferenza così grande. La paura del giudizio porta a non affrontare ciò che potrebbe dire la vicina, la parente, la signora che vende il pane. Io mi sono spogliata delle vesti scure e mi vesto di solarità e pace. Ho riscoperto la gioia di sorridere e la voglia di andare al mare, di stare in mezzo alla gente, di parlare. Non ho più paura di nessuno. La paura non deve esistere, perché ti annulla.

Non vestire più gli abiti del silenzio: la storia di Titti Sposato / Lorenza Sabatino / Redazione Campania  

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