Luca Lotti: ”salvataggio costoso”

Il Senato boccia la mozione di sfiducia contro il ministro dello Sport Luca Lotti, ma secondo Marcello...

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Il Senato boccia la mozione di sfiducia contro il ministro dello Sport Luca Lotti, ma secondo Marcello Sorgi si tratta di “un salvataggio che costa molto caro”.

Una vittoria che costa molto cara

È stato un salvataggio a caro prezzo quello di Luca Lotti ieri pomeriggio al Senato.  

Senza l’aiuto dei senatori di Forza Italia, usciti dall’aula, e il voto a favore dei verdiniani, nonché della pattuglia di centristi e scappati di casa che da sempre a Palazzo Madama si schierano con qualsiasi governo per evitare il rischio di scioglimento anticipato, la mozione di sfiducia contro il ministro dello Sport e stretto collaboratore dell’ex premier Matteo Renzi non sarebbe stata respinta.
E il fatto che il partito trasversale anti-crisi – coadiuvato in modo decisivo da Denis Verdini, toccato dall’inchiesta Consip – si sia manifestato anche stavolta non autorizza a tirare un sospiro di sollievo.

Perché un governo, per governare, ha bisogno di un sostegno parlamentare solido e non occasionale, mentre la votazione dell’Aula di Palazzo Madama che ha consentito al ministro dello Sport di restare al suo posto e il dibattito che l’ha preceduta dicono esattamente il contrario.

A dispetto dei 161 che hanno salvato Lotti, infatti, Gentiloni non è nelle stesse condizioni in cui prima di lui al Senato si sono trovati più o meno tutti i premier della Seconda Repubblica, i quali sfioravano la maggioranza e con un aiutino trovato al momento riuscivano a portare a casa i provvedimenti sottoposti al vaglio dell’aula. No, al governo attuale, per via della spaccatura precongressuale intervenuta nel Pd e della scissione dei dalemian-bersaniani, mancano decine di voti. E rimediarli con il sistema con cui sono stati messi insieme ieri, diciamo la verità, non è un gran che. La dignità personale, l’impegno, la serietà e la pazienza del presidente del Consiglio ovviamente non sono in discussione. Ma per fare le cose che il governo deve fare, nell’anno, più o meno, che ci separa dalle elezioni politiche, ci vuol altro.

Non è qui il caso di fare l’elenco dei compiti che attendono l’esecutivo nei prossimi mesi: basterà riflettere sugli strascichi che il voto di ieri si porterà dietro, a cominciare dalla mozione-bis che gli scissionisti del Movimento Democratici e Progressisti hanno proposto per chiedere al premier di privare Lotti delle sue deleghe di ministro, e di quella ter presentata dal senatore Quagliariello per ottenere che, dopo il salvataggio del ministro, sia licenziato l’amministratore delegato della Consip Luigi Marroni, che accusa Lotti di aver rivelato un segreto istruttorio, avvertendolo dell’inchiesta giudiziaria nei suoi confronti. Nelle eventuali votazioni su queste iniziative che potrebbero svolgersi di qui a poco al Senato i numeri di ieri potrebbero rimescolarsi, mettendo alla prova la strenua volontà dei senatori di non perdere il posto, e costituendo un’incognita che il governo non può permettersi, e per evitare la quale sarà costretto a venire a patti. Forse è anche per questo che si sente già dire che Marroni, diversamente da Lotti, lascerà il suo incarico prima che la magistratura si pronunci su di lui.

Analogamente, in questi stessi giorni, il governo ha deciso di comportarsi sulla questione dei voucher. La riforma, si sa, era scritta male e, pur sottraendoli al lavoro nero, ha provocato un grave abuso di impieghi precari. Il referendum per abrogarla è stato fissato al 28 maggio. Ma il governo non può rischiare un’altra sconfitta referendaria come quella del 4 dicembre. E quindi, invece di revisionarla, magari salvandone la parte buona, cancellerà la riforma, per far sì che la Cassazione tolga di mezzo il referendum a causa del venir meno dell’oggetto su cui si sarebbe dovuto votare. Immaginarsi, allora, cosa accadrà quando si dovrà discutere e votare sulla prossima manovra di aggiustamento dei conti pubblici, o in autunno sulla legge di stabilità. Un passo avanti e due indietro: questo sembra il ritmo di marcia a cui l’Italia è condannata fino al prossimo anno.

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