Il carceriere del piccolo Giuseppe Di Matteo nuovamente arrestato

Dopo la scarcerazione, Giuseppe Costa, noto per essere stato il carceriere del ragazzino, avrebbe ripreso...

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Dopo la scarcerazione, Giuseppe Costa, noto per essere stato il carceriere del ragazzino, avrebbe ripreso gli atti di mafia come prima.

Con l’accusa di associazione mafiosa, Giuseppe Costa è stato nuovamente arrestato dai Carabinieri del Comando provinciale di Trapani e dal personale della Dia. Si tratta di uno dei carcerieri del piccolo Giuseppe Di Matteo che aveva già scontato 10 anni di reclusione per il sequestro e l’uccisione del figlio 12enne del pentito Mario Santo.

Gli investigatori hanno anche perquisito l’abitazione di Costa, in località Purgatorio di Custonaci, dove lo stesso aveva realizzato in muratura la “cella” che era servita per tenere segregato il bambino, poi barbaramente ucciso e sciolto nell’acido su ordine di Giovanni Brusca.

Costa aveva già scontato venti anni di reclusione, dal 1997 al 2007, per il sequestro e l’uccisione del ragazzino 12enne.  Durante questo periodo ha ricevuto il sostegno economico delle famiglie mafiose senza mai collaborare con gli inquirenti.

Subito dopo la scarcerazione, secondo le indagini coordinate dalla Dda di Palermo, ha ripreso i rapporti con i vertici dei mandamenti mafiosi di Trapani e Mazara del Vallo avendo un ruolo nell’aggiudicazione illecita di appalti, in speculazioni immobiliari, e compiendo per conto dei clan atti intimidatori.

Secondo gli inquirenti, avrebbe anche ha partecipato alla raccolta dei voti per le elezioni regionali dell’autunno del 2017 e assunto il ruolo di controllore e tutore degli interessi di Cosa Nostra su un impianto di calcestruzzi della provincia trapanese.

L’opinione.

Qualche giorno addietro scrivevo un articolo su un fatto di corruzione in un comune. Ho appreso che uno dei funzionari pubblici implicati era già stato investigato quando operava in un altro Ente locale. Questo ritenere, ipocritamente e omertosamente, che sia sufficiente spostare gli interiormente corrotti del sistema pubblico-politico da una poltrona all’altra, o da una scrivania all’altra, oppure da un Ministero, Palazzo, Istituzione, Regione, Provincia, Comune all’altro, e ancora peggio, ritenere che un mafioso possa ritornare sui propri passi tanto più quando non si pente e non collabora facendosi anche pagare le spese legali dalla famiglie mafiose che a loro volta le estorcono ai civili cittadini, ha condotto negli anni l’Italia e la Sicilia ad essere notoriamente un mega crocevia (una “collettrice”) di trasversale corruzione e mafiosità, nativa e d’importazione, nella quale la “Giustizia” è solo per chi ha i soldi per pagarsi gli avvocati specialmente se di corridoi di Tribunale, oppure per chi fa parte di associazioni soprattutto politiche accreditate a certe ideologie, o a interessi economici, oppure corporativi o sindacali e infine mafiosi. Fino a che dura.

Adduso Sebastiano

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