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I comuni siciliani in gravi difficoltà finanziarie ma un report denota inadatte gestioni

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comuni siciliani rischiano di non potere chiudere i bilanci ma è anche dissimulato che non ci sono controlli sull’operato degli amministratori

L’APPELLO DEL PRESIDENTE DELLA REGIONE SICILIANA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

«I Comuni siciliani rischiano il collasso finanziario – scrive il Presidente della Regione Siciliana in una lettera-appello al Presidente del Consiglio Mario Draghi per chiedere un intervento immediato in favore dei tanti Comuni siciliani alle prese con bilanci preventivi che non possono essere approvati – Sono fiducioso che il Suo Governo, che ha la competenza nella finanza locale, possa imprimere quell’atteso segnale di attenzione nei confronti della Sicilia».

«Non credo sia necessario – scrive il presidente della Regione – richiamare le note difficoltà finanziarie di molti Comuni dell’Isola, analoghe a quelle di altri del Mezzogiorno, che con ragionevole probabilità, alla prossima data del 31 luglio, non riusciranno ad esitare il bilancio preventivo 2021-2023, con le inevitabili conseguenze sull’azione amministrativa delle stesse Autonomie locali.

«Le cause che hanno condotto, storicamente, a questa condizione – aggiunge – sono parimenti note ma si ritiene indispensabile, a tutela delle prestazioni offerte dalle Amministrazioni comunali, che il Governo nazionale possa intervenire, poiché competente in materia di finanza locale, per affrontare le gravi criticità mediante la effettiva attuazione delle norme in materia di federalismo fiscale».

(quest’ultima parte “federalismo fiscale” ad avviso di chi scrive il presente articolo, implicitamente comporterebbe un’ulteriore e incontrollata anarchia di spesa negli Enti locali e metropolitani, nonché altre tasse, ovverosia maggiore clientelismo, voto di scambio sociale e ancora gabelle per mantenere i carrozzoni di collocazione politica e gli innumerevoli codazzi elettorali).

«Infine la richiesta di un intervento urgente in favore dei Comuni, “con l’impegno – conclude Musumeci – che la Regione saprà rendere efficiente l’uso delle risorse derivanti dalle auspicate riforme».

LA DICHIARAZIONE DEL SINDACO DI PALERMO

«L’attenzione del viceministro Castelli per le difficoltà finanziarie e gestionali dei Comuni siciliano – scrive il sindaco della Città e della Città Metropolitana di Palermo, Leoluca Orlando, a margine dell’incontro tra il viceministro dell’Economia, on. Laura Castelli (Movimento5Stelle) e i Sindaci della Città Metropolitana di Palermo che si è tenuto ieri a Palazzo Comitini – è un segnale molto importante. Martedì, dal tavolo ministeriale che abbiamo richiesto da anni e finalmente ottenuto, ci aspettiamo interventi concreti».

LA RICHIESTA DI PROROCARE I TERMINI DELLA SCADENZA DI BILANCIO COMUNALE

Oggi 31 luglio scadono i termini per presentare i bilanci nei 390 comuni siciliani. Pare che solo una settantina di comuni siciliani ci sia riuscito, poiché molti, invece, verserebbero in condizioni finanziarie “disperate”. La richiesta è pertanto anche di spostare la scadenza del bilancio.

MA COME SI È ARRIVATI A TALE PRECIPIZIO FINANZIARIO NEI NOSTRI COMUNI ?

Qui di seguito si indicano, a parere di chi scrive l’articolo, alcune tracce.

Iniziamo dalle eloquenti parole di giovedì scorso rese alla emittente La7 dal dott. Nicola Gratteri, noto Magistrato e saggista italiano, dal 21 aprile 2016 Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro e in prima fila da anni nella lotta alla mafia e corruzione, il quale in merito alla Riforma in corso della Giustizia ha dichiarato «Ci siamo dimenticati di tutti i reati che riguardano la Pubblica amministrazione: peculato, corruzione, concussione. Cosa facciamo per questi reati? Andranno in coda, non si celebreranno. Tutti i reati che riguardano le bancarotte, dove vengono giudicati imprenditori spregiudicati che organizzano bancarotte per frodare, pensando di riciclare. Avete pensato alle parti offese?». La risaputa quanto mimetizzata (e neanche tanto) scorrettezza endemica dei nostri Enti è principalmente rappresentata dal generalizzato peculato, corruzione e concussione. Una sparsa quanto notoria immoralità pubblico-politica agghindata di ipocrita etica culturale, tramandata ad ogni nuova generazione quale esempio di scaltrezza politica e legale che, da sempre, viene parallelamente agevolata nelle leggi, preventive e repressive, sia dal centrodestra che dal centrosinistra e in ultimo dai cinquestelle che prima di andare ai governi ne sbandieravano la lotta.

Si dovrebbero pertanto – sempre a parere di chi scrive – rivedere quanto meno i seguenti aspetti:

  • L’arrogante misconoscimento del principio della “rotazione” previsto dall’articolo 36 del Codice dei contratti pubblici e più volte ribadito dall’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione) il quale recita “Per l’affidamento e l’esecuzione di lavori, servizi e forniture vige l’obbligo di rispettare, oltre ai principi generali, il principio di rotazione, volto a garantire l’effettiva possibilità di partecipazione delle micro, piccole e medie imprese”.
  • La rimozione da parte dei Governi nazionali del Co.Re.Co (Comitato regionale di controllo, un organo della Repubblica italiana, precisamente delle Regioni, che aveva le sezioni provinciali – commissioni provinciali di controllo – al quale erano attribuite funzioni di verifica sugli atti delle province, dei comuni e degli altri enti), ovverosia di uno strumento (snello, accessibile e non costoso) con cui, in qualche modo, il cittadino, o per lui il consigliere di minoranza, poteva farsi valere innanzi ad un Ente amministrativo terzo (oggi tale organo se fosse ripristinato si potrebbe integrare a rotazione con un Magistrato già allora previsto dalla legge e tre Ufficiali, della GdF, CC e Polizia). Sarebbe un Organo amministrativo con cui, attraverso civili cittadini che se ne assumono la responsabilità, si controllerebbe l’operato degli Enti locali e delle Città metropolitane. Con un tale Ente intermedio, già mezza mafia criminale e politica, specialmente regionale, come pure corruzione, concussione, clientelismo e voto di scambio sociale, avrebbero problemi a riprodursi nel sistema pubblico-politico quanto meno in quello periferico. Però di tutta evidenza e notorietà, la trasversale politica di: destra, sinistra, centro e movimento, dimostra da tempo di non avere alcun interesse, civile e democratico, a ripristinare tale Organo amministrativo.
  • L’inefficace legge 97/2016 sulla trasparenza della Pubblica Amministrazione e successive integrazioni e modificazioni, che in buona parte è una discreta norma, ma di tutta evidenza deliberatamente inservibile, in quanto sostanzialmente solo propositiva e pertanto incompleta poiché non contempla pene e sanzioni. Mancano infatti le immediate conseguenze a carico dell’amministrazione inadempiente, opaca, se non anche omertosa e reticente. Il comune cittadino infatti, dopo che ha messo in luce le locali irregolarità, non può e non dovrebbe, in una Nazione civile, democratica e repubblicana, doversi esporre a costosi ricorsi e spese legali, oltre a diverse conseguenze a cui potrebbe andare incontro con anche ritorsioni trasversali verso la propria famiglia.
  • Il limite dei 15 mila abitanti previsto dall’art. 13 del d.lgs. 97/2016 per cui i rispettivi amministratori non devono rendere noti i loro redditi e quelli dei propri parenti diretti (una norma che favorisce anche la mafia, la corruzione e la concussione) va abolito, ciò in quanto – sotto gli occhi di chi può e vuole vedere – certi nullatenenti accodatisi negli anni a “potenti” della politica sono arrivati nell’amministrazione di piccoli comuni e in pochi anni sono divenuti benestanti. Va quindi rivisto il decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 «Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» nei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, i titolari di incarichi politici, nonché i loro coniugi non separati e parenti entro il secondo grado non sono tenuti alla pubblicazione dei dati di cui all’art. 14, co. 1, lett. f), ovverosia dichiarazioni reddituali e patrimoniali.
  • Il noto quanto mistificato intreccio tra associazionismo e politica. Una recente norma, peraltro da quasi nessuno pressoché rispettata, obbliga tutte le forme associative che ricevono contributi pubblici di divulgare su un sito aperto, pertanto non chiuso ai soli iscritti, tutte le rispettive informazioni sui fondi ricevuti. La legge n.124 del 4 agosto 2017, ai commi 125 e 129, fa infatti obbligo di trasparenza sui contributi percepiti. Ed entro il 28 febbraio del 2018 e successivamente ogni anno, tutte le associazioni, onlus e fondazioni destinatarie nell’anno precedente di contributi superiori a 10mila euro erogati da Amministrazioni pubbliche e da società partecipate, hanno l’obbligo di pubblicare sui siti web le informazioni relative a sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e a vantaggi economici di qualunque genere ricevuti l’anno precedente. L’inosservanza dell’obbligo comporta la restituzione delle somme ai soggetti eroganti. Sono conseguentemente esonerati da tale obbligo le Associazioni che ricevono – sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e vantaggi economici – inferiori a 10mila euro. Al riguardo è tuttavia notorio quanto dissimulato che per aggirare la norma vengono erogati contributi a trance dislocati tra la fine e inizio di ogni anno. Se anche in questo campo ci fosse onestà politica, certa clientelare politica comunale perderebbe di certo parte del consenso di tutta evidenza comprato con i soldi dei contribuenti stante che notoriamente molto associazionismo locale, tra cui le Pro Loco, divengono forme implicite di clientelismo di soldi pubblici per finanziare indirettamente politici, liste elettorali, partiti e rispettivi seguiti. Si distingue in Italia per trasparenza nell’associazionismo solo il Veneto, nella cui Regione le Organizzazioni di Volontariato (L. 266/91) e le Associazioni di Promozione Sociale (L. 383/00) ed iscritte al Registro Regionale sono sempre tenute, sulla base della L.R. n. 30 del 30 dicembre 2016, a pubblicizzare i contributi ricevuti da Enti pubblici, indipendentemente dal loro importo. All’obbligo si assolve nel Veneto, compilando un apposito schema e attraverso la sua pubblicazione sul rispettivo sito internet dell’associazione, onlus, ecc.
  • Dai dati di un ente no profit della CGIL Piemonte, la quale si occupa pure di dati ricavati dai bilanci di tutti i Comuni italiani, si ottiene un quadro preoccupante di quelli siciliani rispetto alle enfatiche retoriche declamate annosamente dai politici locali, metropolitani e regionali. Si legge in generale in modo analogo: Presenza di un avanzo disponibile – Spese correnti alte – Entrate correnti alte – Pressione tributaria alta – Elevata spesa per gli investimenti (pagamenti) – Bassa propensione alla spesa socialeAlta incidenza delle spese istituzionali (rischio inefficienza) – Alta incidenza della spesa per lo smaltimento dei rifiuti (rischio inefficienza) – Bassa capacità di intercettare contributi agli investimenti – Bassa spesa per l’istruzione. Una cosa è parsa non essere comunicata nei bilanci comunali: il ricorso alla cosiddetta “tesoreria comunale” che altro non è che una banca la quale eroga dei prestiti al Comune e su cui si pagano interessi e anche questi è sembrato non resi pubblici. Ma come pure è parso che a volte mancano pure le spese, spesso notoriamente consistenti, effettuate dall’Ente per manifestazioni o eventi pubblici oppure erogati per simili motivi a terzi.  

Insomma, di tutta evidenza, quando si tratta di comuni e città metropolitane, siamo innanzi all’intoccabile base che regge la decennale piramide politica del trasversale (destra, sinistra, centro e movimento) continuativo sistema italiano. Fino a che dura.

 Adduso Sebastiano

(le altre informazioni regionali le trovi anche su Vivicentro – Redazione Sicilia)


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