Hai settantatré anni e ti senti ancora vitale. Sei stato un camionista e adesso sei un camminatore di montagna, abituato a tenere gli occhi aperti, a diffidare. Quando suonano alla porta, in questo martedì di gennaio, dici a tua moglie: vado io. Dall’altra parte dello spioncino ti sorridono due giovani maschi di carnagione chiara. Indossano tute da tecnici, abbozzano saluti in piemontese. Ma tu non apri la porta. Aspetti che ti mostrino un tesserino e si dichiarino in missione per conto dell’Enel. Allora li lasci entrare. Continuano a sorridere e a parlare. Quanto parlano, pensi. Ti raccontano di un problema elettrico, di cavi che finiscono proprio in casa tua e che bisognerebbe controllare. Trafficano con strumenti strani. Finché uno dei due, il più simpatico, butta lì: «C’è un contatto con qualcosa di metallico: ha una cassaforte in casa?». E tu lo guidi fino all’antro che custodisce le povere ricchezze di una vita: qualche anello, qualche medaglia, le posate della lista di nozze. Un minuto dopo ti riappare davanti con il solito sorriso. «Vado a prendere un attrezzo in macchina e torno». Ma non torna più, e tu corri alla cassaforte, e la trovi vuota, e ti dai del fesso, e la rabbia ti monta dentro assieme all’umiliazione e alla pressione. Ti senti un vecchio da fregare, un vecchio da buttare. Esci per recarti dai carabinieri, arrivi al cancello, poi tutto diventa buio.
Ti chiamavi Franco Colombo e abitavi in una villetta a due piani di Vigliano Biellese. I ladri che si sono presi gioco dei tuoi capelli bianchi e ti hanno pugnalato a morte con le parole meriterebbero l’aggravante di furto con strazio.
lastampa
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