Raffiche di kalashnikov sulla caserma: la vendetta dei clan per l’allontanamento dei figli del boss

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Dopo la notifica alla moglie di un latitante parte il tam tam: “Ora prendete i fucili, amma pompà” Poi le raffiche di kalashnikov

Quando i carabinieri hanno bussato alla porta, la moglie del boss ha pensato alla solita perquisizione diretta a individuare tracce del marito, giovane e spietato capo del clan della Vinella Grassi, latitante da quasi tre anni. Invece i militari di Secondigliano erano lì per un’altra ragione: tra le mani, avevano il decreto, firmato dal tribunale per i minorenni su parere favorevole del pm del pool anticamorra Maurizio De Marco, che dispone l’allontamento temporaneo dalla famiglia dei due bambini, rispettivamente tre anni e dieci mesi, il più piccolo certamente concepito durante la latitanza del padre. Un provvedimento a tutela dei minori, in considerazione dello spessore criminale attribuito dalla Procura al genitore, che sarà discusso davanti al tribunale dei Colli Aminei nei prossimi giorni.

Ma secondo gli inquirenti, è in quel preciso momento che nelle file dei “cattivi ragazzi” della Vinella Grassi comincia a maturare un pericoloso sentimento di vendetta. La fazione nata ai tempi della prima faida di Scampia come gruppo di fuoco del clan Di Lauro, poi “giratasi” nel 2007 con il cartello Scissionista degli Amato-Pagano e infine assurta, da almeno sei anni, al rango di organizzazione autonoma, è composta da giovanissimi che non sono abituati ad andare tanto per il sottile. «Gente che prima spara e poi comincia a parlare», sottolinea un investigatore. Poche ore dopo la notifica del decreto alla moglie del capo latitante, nelle strade del quartiere parte l’ordine di scuderia: «Pigliate i fucili: amma pompa’, amma pompa’», è il passaparola che attraversa Secondigliano.

Nella notte, una raffica di mitra prende di mira la stazione dei carabinieri. Un’azione eclatante, che viene ricondotta, in prima battuta, alla volontà di reagire in maniera eclatante a quella che, negli ambienti camorristici, viene considerata un’offesa senza precedenti: l’allontanamento dei figli dalla casa del boss. Questa, ad oggi, è la pista principale battuta nelle indagini su un episodio che ha proiettato nuovamente sulla periferia settentrionale della città i fantasmi di Gomorra e della faida consumata tra il 2004 e il 2005. Come allora, il controllo delle piazze di spaccio resta la principale fonte di guadagno delle organizzazioni criminali. Proprio la pressione esercitata negli ultimi tempi dalle forze dell’ordine e dai carabinieri in particolare sul mercato degli stupefacenti potrebbe rappresentare un altro dei fattori che hanno scatenato la violenta offensiva contro la caserma. Il volume di fuoco sprigionato dai sicari fa capire però che chi ha sparato voleva davvero compiere un gesto fuori dall’ordinario. L’attentato ha suscitato indignazione unanime e farà, presumibilmente, innalzare ulteriormente le misure di sicurezza, peraltro già elevate, sia per i carabinieri sia per i magistrati che si occupano dei clan della zona. «Vicinanza e sostegno» ai carabinieri è stata espressa dalla giunta distrettuale dell’Associazione magistrati presieduta da Antonio D’Amato, «nella certezza che non si faranno intimidire e che proseguirà senza soluzione di continuità la loro quotidiana azione a tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, nonché l’attività investigativa efficacemente svolta, soprattutto al fianco dei magistrati della Procura di Napoli e, in particolare, della Direzione distrettuale antimafia». Alla caserma ha fatto visita il governatore Vincenzo De Luca: «Per testimoniare – spiega – la solidarietà delle istituzioni e mia personale ai militari dell’Arma impegnati nella quotidiana battaglia per la legalità. L’impegno della Regione è quello di contribuire con interventi strutturali e sulla video sorveglianza utilizzando i fondi europei».

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