EDITORIALE – Al Maradona, il Napoli ha tramortito la Juventus con un sonoro 5-1, in una notte che consegna, agli azzurri, conferme e consapevolezze.
Prova di forza al Maradona per gli uomini di Luciano Spalletti, che spazzano via la Vecchia Signora dal campo con un risultato prossimo ad essere tennistico.
Un 5-1, di fatto, storico, che ha un unico precedente nella storia: quando il Napoli, col medesimo risultato, si regalò la Supercoppa Italiana il 1 Settembre 1990, in quello che fu, a tutti gli effetti, l’ultimo trofeo azzurro di Diego Armando Maradona.
Una Juventus che si presentava al Maradona con un filotto ragguardevole di 8 vittorie consecutive e soprattutto, col dato ancor più evidente, di essere la migliore difesa della serie A, con appena 7 reti subite nelle precedenti 17 giornate.
In parte, a dire il vero, una possibile motivazione a questa granitica fase difensiva l’aveva data già Luciano Spalletti in sede di conferenza pre-gara, rimarcando, a ragion veduta, che è più semplice prendere meno goal se l’identità di gioco di una squadra è costantemente quella di starsene rintanata nella propria metà campo.
Ed è con questo approccio che la Juve Allegriana si è presentata al Maradona, che poi è lo stesso con cui aveva vinto, di riffe o di raffe, le 8 gare prima.
La differenza sostanziale tra le altre e il Napoli, in Italia e in questo preciso periodo storico, è che questo atteggiamento ostruzionistico, con gli azzurri, NON PAGA.
Questo perché la filosofia degli Spalletti Boys è ferocemente e diametralmente opposta: giocare a calcio e imporsi con la superiorità del proprio gioco, anziché ricorrere a mezzucci, furbate ed espedienti di vario genere.
Parafrasando un cult di Sergio Leone, potremmo affermare che: “quando una squadra senza gioco incontra una squadra con un gioco dominante, la squadra senza gioco è una squadra morta”.
Se poi a favore della squadra col gioco dominante c’è anche una condizione fisica in costante miglioramento, per quanto non ancora di massimo rilievo, le possibilità per la squadra “senza gioco” diminuiscono ulteriormente, aggiungeremmo noi.
Citando proprio lo sconfitto Max Allegri, potremmo dire ancora che “il calcio è un gioco semplice”.
Fortunatamente non è più quello a cui è abituato lui e per il Napoli è stato un vantaggio in più.
Rinunciare in maniera totale e consapevole a qualsivoglia tentativo di offensiva, nel calcio dei nostri giorni equivale a condanna quasi certa. Può premiarti in singole partite, ma sul lungo periodo, con ogni probabilità, questo atteggiamento ti punirà. Perché, come dice Max Allegri, “il calcio è un gioco semplice” e come mi diceva in questi giorni Paolo Del Genio, mio maestro e punto di riferimento nel mestiere di sforzarmi d’essere un buon giornalista, “ciò che conta è fare giocate all’altezza della nostra qualità, facendo bene i passaggi e giocando la palla veloce”.
Il Napoli è riuscito a fare questo: ha opposto il calcio all’anti-calcio, la proposta alla rinuncia, il coraggio alla paura.
L’ha fatto, stavolta, anche accettando di essere umile, in frazioni di primo tempo in cui la Juve, pur sotto 1-0, ha tentato di darsi qualche possibilità dopo la traversa di Di Maria ( peraltro propiziata da gravissimo errore di Rrahmani).
L’ha fatto, ancora, dopo il 2-1 marcato proprio dal campione del mondo argentino, quando ancora Rrahmani stava contribuendo a siglare il pareggio juventino, evitato solo da una prodezza di Meret.
Per il resto, ha colpito.
Con tecnica, qualità e anche una notevole dose di cinismo, tutte doti che hanno incarnato la cifra con cui Osihmen e Kvara hanno interpretato la partita: 3 goal su 5 sono i loro con 1 assist ( e mezzo) per ciascuno di loro. Mattatori.
Le certezze della Juve che si sgretolano nella notte del Maradona. La difesa di granito che fa acqua da tutte le parti e forse restituisce giustizia a un tentativo di rincorsa, quello degli uomini di Allegri, che probabilmente li ha visti raccogliere assai più punti di quanti non ne avrebbero meritati davvero sul campo.
Merito del Napoli, in tutti i suoi effettivi.
Merito del suo portiere, un ragazzo umile e silenzioso, ma che in queste prime 18 partite sta dicendo di essere, per rendimento, probabilmente il migliore nel suo ruolo in Italia, zittendo critiche e detrattori.
Merito del duo Rrahmani e Kim, che qualche sbavatura di troppo la fa ancora registrare, forse dovuta pure a una condizione fisica ancora da perfezionare.
Ma che ormai rappresenta, a pieno titolo, una certezza di questo Napoli.
Merito di Giovanni Di Lorenzo, capitano instancabile di mille rincorse, solidità e costanza al servizio dei suoi.
Merito di Mario Rui, osteggiato per anni senza ragione, ma che per ora si prende la palma di secondo miglior assist-man della serie A, dietro solo Milinkovic Savic. E che, ciò che è più importante, conferma il fatto che di lui ci si può fidare contro chiunque.
Merito di un centrocampo ancora da puntellare per stato di forma ( e pensa te…) con un Anguissa, se non a mezzo servizio, quasi e un Zielo che spegne e accende gli interruttori, ma quando ha palla tra i piedi contribuisce ad aumentare la cifra tecnica dei suoi in modo vistoso.
Merito di Lobotka, fosforo al di sopra della norma.
Merito di Matteo Politano, motorino a tutta fascia, che non sarà Kvara ma ha un cuore grande così.
Di Kvara ed Osi abbiamo già detto, col nigeriano che sfata un’altra diceria infame sul suo conto: quella di non essere mai decisivo contro una big.
Complimenti per il pronostico.
E complimenti, soprattutto, ai “dodicesimi”.
Agli uomini pronti a subentrare, con spirito, abnegazione e dedizione. A quell’Elmas che ormai è diventata l’autentica freccia in più all’arco di Spalletti e che sa fare tante cose e tutte con molta qualità. Tra cui segnare, per esempio e portarsi già a 5 reti in campionato ( non l’aveva mai fatto così tanto nei 3 precedenti campionati col Napoli e siamo solo a metà stagione).
Merito di Oliveira, che non fa rimpiangere Mario da Sines, il compare con cui si alterna.
Merito di Spalletti, merito della società.
La partita di ieri certifica che nessun’altra in Italia dovrebbe vincere lo Scudetto più del Napoli. Per giustizia, meritocrazia e superiorità espressa sul prato verde. Quella stessa che, contrapposta ai tentativi di barricate di Allegri e soci, mette in pace col calcio e regala ai tifosi azzurri una serata da raccontare.
Segnale dopo segnale, conferma dopo conferma, la capolista se ne va.
Approccia imponendo la manovra e trova le prime 2 segnature con lucidità e sangue freddo. Prende il 2-1, soffre ma non capitola. Fa il 3-1 al primo pallone vagante, si scioglie e diventa bella da paura. Bella che le luci dell’intero Maradona se la mangiano con gli occhi, come si fa col primo amore. E lei si specchia nei flash dei telefonini, lei, dominatrice incontrastata di questa serie A.
Fa il quarto, il quinto, poi potrebbe farne ancora ma va bene così. Il calcio ha vinto, Allegri no. A un passo dal giro di boa, il Napoli intravede uno spicchio di Scudetto, lo accarezza e se ne va.
A cura di Antonio Ingenito