Carenza d’acqua. Già negli anni passati si legiferava perché si riutilizzassero per alcuni generi di servizi e per l’agricoltura le acque depurate anche per prevenire eventuali periodi di siccità. La materia era stata regolata dal Decreto Ministeriale n. 185 del 12 giugno 2003 “Regolamento recante norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue in attuazione dell’articolo 26, comma 2, del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152” (G. U. 23 luglio 2003, n. 169).
Tra le prime Regioni d’Italia a recepire la norma fu l’Emilia-Romagna che promulgò il Piano di Tutela delle Acque (PTA) che poneva il riutilizzo delle acque reflue recuperate come misura prioritaria per la tutela quantitativa delle acque dolci interne. Lo stesso piano conteneva un elenco di impianti per avviare, prioritariamente, il riutilizzo delle acque reflue depurate.
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Tra il 2014 e il 2016 venne realizzato l’impianto di depurazione di Mancasale, frazione del comune di Reggio Emilia, che tratta le acque urbane della città, il primo nella regione ad essere dotato di trattamento terziario finalizzato al recupero ai fini irrigui.
Le acque vengono destinate ad un comprensorio irriguo a nord della città, di circa 2.000 ettari con le coltivazioni tipiche dell’area, che si caratterizza principalmente per le produzioni di formaggio Parmigiano-Reggiano e vino Lambrusco.
In Sicilia l’Assemblea Regionale Siciliana a marzo del 2022 ha emanato una norma (LEGGE 22 marzo 2022, n. 4. Norme in materia di riutilizzo delle acque reflue urbane. Modifiche alla legge regionale 29 luglio 2021, n. 20) che consente il recupero delle acque reflue depurate per usi irrigui. L’Isola è annosamente afflitta da problematiche legate alle ricorrenti crisi idriche con particolari conseguenze negative per il settore agricoltura.
La legge prevede la possibilità di intervenire attraverso la realizzazione di sistemi di affinamento o di fitodepurazione che, oltre ad abbassare notevolmente i costi di approvvigionamento per gli utenti, dovrebbe innescare meccanismi virtuosi di economia circolare, volta al riuso delle acque.
Si tratta di una norma predisponente che consentirà alla Regione Sicilia di poter attingere alle ingenti somme che la Comunità Europea destina, attraverso una normativa specifica, al riutilizzo delle acque reflue che una volta recuperate potranno essere conferite dai gestori degli impianti di depurazione ai conduttori delle reti di distribuzione che, in relazione alle destinazioni, potranno essere: i consorzi di bonifica, i consorzi di agricoltori, le industrie, i consorzi industriali, gli enti locali o l’Irsap e che a loro volta potranno attivare delle convenzioni con gli utilizzatori finali. Da tempo in Sicilia si parlava di un sistema del genere per permettere anche un contenimento dell’utilizzo delle risorse idriche che specie nel periodo estivo vengono a scarseggiare.
La Comunità Europea due anni addietro ha varato un nuovo piano d’azione per l’economia circolare con l’obbligo di depurare tutte le acque reflue urbane e di riutilizzarle. In agricoltura è già in vigore dal 13 maggio 2020 sul territorio Ue. In Italia invece è rimasto al palo fino adesso, con la conseguenza di una potenziale sanzione se la Nazione non recepirà la nuova normativa europea entro il 26 giugno 2023.
Carenza d’acqua: riutilizzare le depurate
Secondo l’Istat, il 70% della popolazione italiana sarebbe connesso a impianti di depurazione, ma con enormi differenze fra Nord e Sud. La Sicilia ove il 20% della popolazione risiede in Comuni completamente privi di depurazione e la Campania (8%) sono le principali destinatarie delle quattro procedure d’infrazione in carico all’Italia dovute al mancato adeguamento degli agglomerati alla direttiva comunitaria sulle acque reflue. In Puglia l’acquedotto vanta un’estensione di 20mila chilometri di reti idriche che servono oltre quattro milioni di cittadini sparsi su 260 Comuni della Puglia e della Campania e perderebbe (in base ai dati forniti dall’Arera – L’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente è un’autorità amministrativa indipendente della Repubblica Italiana) circa la metà dell’acqua che immette nelle sue condotte. A Siracusa si sono registrate circa il 68% di perdite di acqua.
Il trattamento delle acque conforme alla direttiva UE sarebbe comunque già un risultato accettabile se non fosse che in Italia è parecchio carente il riutilizzo delle acque depurate. Si trattano infatti ogni anno oltre 40 miliardi di metri cubi di acque reflue, ma se ne riutilizza soltanto 1 miliardo. Gli altri 39 miliardi finiscono in mare.
L’Italia continua a utilizzare acqua potabile anche in agricoltura. Praticamente un aggravio economico e ambientale considerando che l’agricoltura italiana utilizza almeno il 51% di tutta l’acqua disponibile, percentuale che di certo sarà salita negli ultimi anni e, particolarmente in questo 2022, caratterizzati da una siccità manifesta.
A ciò si aggiunga il notorio spreco di acqua inerente quel 42% immessa negli acquedotti spesso antiquati e senza neanche la dovuta manutenzione, particolarmente al Sud.
Ci sarebbe anche da attivare la dissalazione che filtra l’acqua dal mare, seppure il riciclo delle acque reflue è ritenuto costare la metà a parità di volume prodotto. Di contro la dissalazione produrrebbe un’acqua ritenuta più potabile. Entrambe, sia l’acqua di mare che le acque reflue sono trattate meccanicamente, pompate attraverso un processo di filtrazione in più fasi che culmina con membrane a osmosi inversa, per estrarre tutte le impurità, compresi virus, agenti patogeni, sostanze chimiche che alterano gli ormoni e sale. L’impurità più difficile da rimuovere è proprio il sale che non è sospeso in acqua, ma disciolto. Le acque reflue pertanto sono più facili ed economiche da filtrare rispetto alla salamoia marina semplicemente perché hanno una salinità molto più bassa e quindi richiedono meno energia per pompare l’acqua attraverso le membrane.
Le acque reflue sono anche più disponibili visto che non tutte le fattorie o le città si trovano vicino al mare, ma tutte producono liquami. Inoltre dalle acque reflue si possono estrarre materiali preziosi come il fosforo e l’azoto che possono essere utilizzati come fertilizzanti. Il riciclo dell’acqua, quindi, è il primo passo contro la siccità.
Dal Parlamento italiano è stato di recente approvato il disegno di legge di conversione del Dl 30 aprile 2022, n. 36 recante ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Pnrr. Il testo reca novità sul piano ambientale e modifica anche il Dlgs 152/2006 (Codice ambientale). Le previsioni spaziano dal settore idrico ai cambiamenti climatici, dall’energia ai rifiuti. In particolare riguardo all’acqua l’articolo 23, comma 4 modifica l’articolo 21 del Rd 1775/1933 (Testo unico acque e impianti elettrici) e per le concessioni di derivazioni per uso irriguo, inserisce il criterio di privilegiare la digitalizzazione per migliorare il controllo remoto e l’individuazione dell’estrazione illegale di acqua.
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