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Castellammare di Stabia

Depositate le motivazioni del “sistema Montante” (la “mafia trasparente”)

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Le motivazioni per la condanna a 14 anni dell’ex Presidente di Sicindustria parlano di una “mafia trasparente” (noi diremmo: sparsa e “legalizzata”).

“Servendosi degli “accessi abusivi al sistema informatico”, riuscendo a “ottenere mediante sistematiche azioni di corruzione, notizie segrete” su “indagini” o sul contenuto “della banche dati della polizia” l’ex leader di Confindustria Sicilia Antonello Montante “non gestiva potere, ma lo creava” ed “utilizzava il potere conquistato negli Enti pubblici e privati quale bacino per collocare i clientes” come “moneta di pagamento per i favori illeciti che questi gli rendevano“. Sono queste alcune delle considerazioni che il Gup di Caltanissetta Graziella Luparello ha scritto nelle 1.724 pagine delle motivazioni della sentenza del processo in cui lo stesso imprenditore è condannato a 14 anni di reclusione.

La sistemazione lavorativa o il trasferimento del pubblico ufficiale di turno, o di parenti o amici di questiscrive il Gupera la valuta spesa da Montante per remunerare i sodali; una sorta di ripartizione degli utili prodotti da un’impresa che, con modalità illecite, creava e gestiva il potere. Infine Montante era colui al quale va doverosamente riconosciuto il diritto d’autore sulla nascita dell”Antimafia confindustriale’ quale forma di ‘business’ utile a garantire un posto ai tavoli che contano”.

“Montante è stato il motore immobile di un meccanismo perverso di conquista e gestione occulta del potere che, sotto le insegne di un’antimafia iconografica, ha sostanzialmente occupato, mediante la corruzione sistematica e le raffinate operazioni di dossieraggio, molte istituzioni regionali e nazionali”. Così scrive il Gup di Caltanissetta, Graziella Luparello, nelle motivazioni della sentenza che il 14 maggio scorso ha condannato a 14 anni di carcere l’ex presidente di Confindustria Sicilia. Montante.

Aveva dato vita “a un fenomeno che può definirsi plasticamente non già quale mafia bianca, ma mafia trasparente, apparentemente priva di consistenza tattile e visiva e perciò in grado di infiltrarsi eludendo la resistenza delle misure comunicontinua il Gup Luparello “Il quadro che se ne ricava è in verità abbastanza desolante: quello di un uomo che di mestiere faceva il ricattatore seriale”, impegnato nella “raccolta incessante di dati riservati, documenti e registrazioni di conversazioni”. Secondo la ricostruzione del Gup, Montante aveva compiti di “direzione, promozione e organizzazione” di un sodalizio di cui hanno fatto parte ufficiali di Polizia, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza.

“Non può non esprimersi – scrive ancora il Gup – un giudizio assai severo sul particolare allarme sociale provocato dal sodalizio, e ciò in ragione della finalità delittuosa ad ampio spettro perseguita: eliminare il dissenso con il ricorso all’uso obliquo dei poteri accettativi e repressivi statuali, sabotare le indagini che riguardavano gli associati; praticare la raccolta abusiva di dati personali riservati, corrompere in maniera sistematica i pubblici ufficiali”. L’ex presidente di Confindustria – si legge nelle motivazioni del Gup aveva “elaborato un progetto di occupazione egemonica dei posti di potere”. Si tratta di un progetto, spiega il Gup, che “era stato condiviso da tutti coloro che traevano beneficio dalla progressiva attuazione di esso”, i quali, “del resto, non avevano alcun motivo per rifiutare le varie proposte di carriera, politica, amministrativa o industriale-associativa che via via, grazie alla innegabile abilità relazionale di Montante, si presentavano. Un progetto – sottolinea Luparello – condiviso anche da chi sapeva che Montante era la chiave di accesso a ministeri, enti pubblici e imprese private per ottenere posti di lavoro, trasferimento o incarichi di prestigio: Montante non gestiva potere, ma lo creava”.

E ne creava talmente tanto che, si apprende ancora a pagina 1635 delle motivazioni del Gup, riusciva a esercitarlo anche quando di mezzo c’era l’ex responsabile del Viminale, Angelino Alfano. Nel descrivere il ruolo di Montante, il Gup osserva: “Neppure l’allora ministro dell’interno Angelino Alfano, come da lui affermato, poteva permettersi di contraddirlo, e, nell’anno 2013, a sostegno della presunta “primavera degli industriali”, era stato persino “delocalizzato” il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, che, senza alcun precedente nella storia della Repubblica Italiana, si era riunito a Caltanissetta: un’autentica genuflessione istituzionale innanzi a colui che nel 2015, nel pieno della bufera mediatica per il suo coinvolgimento nell’indagine per mafia, riusciva persino a farsi rafforzare il servizio di scorta”. Montante era stato arrestato nel maggio del 2018 con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. I Magistrati indagavano su presunti legami mafiosi dell’industriale nisseno ed è così che hanno scoperto la rete di spionaggio che lo teneva informato in tempo reale degli sviluppi della inchiesta. Lo scenario aperto dal lavoro dei Pm di Caltanissetta ha fatto emergere connivenze istituzionali e politiche. Oltre a quello di Montante sono venuti fuori i nomi di ufficiali delle forze dell’ordine e di politici. Dopo la conclusione dell’inchiesta, l’industriale ha scelto il processo in abbreviato.

Il sistema: raccomandazioni, favori e pressioni – Durante il processo, i Pm hanno ricostruito la rete attorno all’ex numero uno degli industriali: vertici delle Forze di polizia e dei Servizi, Prefetti, imprenditori, giornalisti, magistrati che a lui si rivolgevano per avanzamenti di carriera. Ognuno aveva una richiesta. L’inchiesta ha raccontato come l’imprenditore di Serradifalco – paesino in provincia di Caltanissetta – fosse il destinatario di decine di richieste di raccomandazione: gli investigatori ne hanno trovate almeno una novantina, arrivate tra il 2007 e il 2015, e altre 40 di soggetti che erano stati “certamente” segnalati. L’elenco con nomi e cognomi venne recuperato nel corso delle indagini: un file excel all’interno delle cartelle ‘curric per sen’ e ‘tutti’; un altro file denominato ‘curriculum vitae 11.06.12’ trovato nel server ormai dismesso della società M.s.a. Poi le carte sequestrate sia nell’abitazione di Montante che negli uffici di Confindustria Sicilia a Palermo.

Gli altri imputati, accusati vario titolo per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, alla rivelazione di notizie coperte dal segreto d’ufficio e al favoreggiamento, sono stati condannati quasi tutti: il colonnello Gianfranco Ardizzone, ex comandante provinciale della Guardia di Finanza di Caltanissetta a 3 anni (la richiesta era di 4 anni e 6 mesi), il sostituto commissario Marco De Angelis a 4 anni, (chiesti 6 anni e 11 mesi), il capo della security di Confindustria Diego Di Simone a 6 anni (chiesti 7 anni, 1 mese e 10 giorni), il questore Andrea Grassi è stato assolto da due capi d’imputazione ma condannato a un anno e 4 mesi per un altro (chiesti 2 anni e 8 mesi). Assolto, come avevano chiesto i Pm, il dirigente regionale Alessandro Ferrara.

Nella sentenza di condanna di Antonello Montante viene definito “l’ennesimo atto predatorio in danno della cosa pubblica, che «si svolgeva sotto il cono d’ombra di Confindustria Sicilia”. Il riferimento è alla (mancata) scalata dell’imprenditore di Serradifalco all’Azienda siciliana trasporti (AST), nella quale Montante era entrato con lo 0,038% delle quote, una sottoscrizione di poche decine di migliaia di euro che avrebbero garantito all’ imprenditore nisseno un diritto di prelazione nelle operazioni di privatizzazione dell’AST. Quell’operazione non si fece. Ma la Regione, proprietaria del 100% di Ast, sarebbe costretta a pagare – e in parte l’ha già fatto – le parcelle al professionista che curò all’epoca le perizie per il progetto di fusione tanto caro a Montante. Benedetto Buccheri (81 anni, ex docente di Ragioneria del “Crispi” di Palermo) ha chiesto alla direzione generale dell’Ast il «pagamento delle spettanze dovute» per i «due incarichi» come «esperto per conto del Tribunale di Palermo in occasione del progetto di fusione». E il conto, per l’azienda regionale, è salato: un «credito residuo» che «per la sola somma capitale e al netto di interessi e rivalutazione, come per legge» ammonta a «un importo pari alla somma di circa euro 200.000». Una cifra, si legge nella richiesta, «al netto degli acconti già versati» al professionista, «pari a circa euro 60.000» sempre «al netto gli oneri di legge», s’intende. In una prima comunicazione, del 10 settembre, Buccheri parla di «debito dovuto come da accordi intercorsi con l’allora direttore generale», ma in una successiva istanza del 1° ottobre chiede la «immediata liquidazione delle somme residue discendenti da quanto determinato dal Tribunale Penale e Civile di Palermo nei due prefati decreti già messi nelle vostre mani». Il presidente di Ast, Gaetano Tafuri, che per primo nel 2010 denunciò «l’operazione farlocca» di far entrare Montante dentro Ast con lo 0,003% delle quote, non ha «alcuna intenzione di pagare la parcella». E anzi: ha «chiesto agli uffici una relazione dettagliata sulla somma già corrisposta». La posizione è netta: «Non tiro fuori un euro. Semmai ci fossero i titoli, del debito risponderanno gli amministratori e i dirigenti dell’epoca». Con una certezza sventolata: «Il tempo del saccheggio di Ast è finito». Resta il fatto che le due perizie sulla fusione “montantiana” di Ast rischiano di costare quasi 300mila euro. E cioè quanto vale il patrimonio netto di Jonica Trasporti: 295mila euro, di cui 120mila di capitale sociale e 175mila di riserve. L’azienda, che svolge il servizio di trasporto nella fascia jonica messinese con 18 dipendenti, non naviga in buone acque. E i revisori dei conti stimano una perdita, a fine 2019, di oltre 200mila euro. A questo punto è la Regione a dover decidere cosa fare col “socio” Montante. E con le parcelle d’oro, magari legittime, per le perizie sulla scalata che non si fece.

Del sistema Montante ci siamo occupati in diversi altri articoli cui alcuni qui appresso elencati, anche perché quel “metodo” (che noi diremmo: sparso e legalizzato, da centro, destra e sinistra) in Sicilia e in italia ci sembra diffuso, tanto che da queste pagine lo si è sempre combattuto a 360°, senza distinzioni di estrazione, livelli e palazzi: “Sicilia, Caltanissetta, 12 rinviati a giudizio dal Gip al processo Montante”, “Sentenza del Gup di Caltanissetta: condannato Montante a 14 anni (la sentenza)”, “Sicilia, indagato ex senatore precedentemente della commissione antimafia”, “Processo Montante, sentito come test il Presidente della Regione Siciliana”, “Maggiore della Guardia di Finanza cerca di inquinare le prove. Arrestato”, “La Regione Siciliana ha un contratto con un condannato per corruzione”. In quest’ultimo articolo ci è parso di trovare quell’anello mancante che dimostrerebbe come quel “sistema Montante” ci fosse già da tempo, quanto meno dal 1998.

Sicché la domanda sorge spontanea, ma pure la risposta, ovverosia: com’è possibile che in quasi, almeno 17 anni, poiché è da circa il 2015 che si sono avviate indagini su quel “sistema”, non ci si è accorti pressoché di nulla, in particolare la Magistratura, Forze dell’Ordine, Commissioni nazionali e regionali antimafia, blasonati intellettuali e giornalisti, la politica di centro, destra e sinistra e infine la cosiddetta società civile. La risposta appare come inevitabile, poiché l’Italia e specialmente la Sicilia, è a detta di tutti una Nazione e una Regione, culturalmente fondata sulla cronica miopia, ipocrisia, opportunismo, elusione, inganno, benaltrismo e anche omertà, specialmente dagli scranni più alti all’ultimo sgabello, con tutti i riflessi conseguenziali, quale soprattutto indolenza, corruzione, venalità, feudalesimo, clientelismo, voto di scambio, favoritismo, mercimonio, spartizione, tutto da sempre sotto gli occhi di tutti, tranne chi non può o non vuole vedere. Amaramente eloquente (e quasi incredibile) è il multi-processo (siamo al quater) per l’uccisione nel 1992 del Magistrato Paolo Borsellino e la sua scorta “Fiammetta Borsellino “Abbiamo avuto indagini e processi fatti male””. Forse una mera e generica spiegazione la si può trovare in quest’altro articoloL’arrogante indignazione che qualcuno possa risponderne.

Montante, attraverso la quota del 49% della sua Msa Spa (Mediterr Shock Absorbers) in Jonica Trasporti, partecipata di Ast, avrebbe provato ad ottenere un posto in prima fila in caso di privatizzazione della società regionale degli autobus. Per il Gup di Caltanissetta un “interesse privato alla fagocitazione dell’immenso patrimonio immobiliare dell’azienda dei trasporti”. Della Jonica Trasporti, la società mista pubblico-privata, di fatto al 51% della Regione Siciliana e 49% di Montante, ci siamo occupati in un altro articolo dell’anno passato <<… Alla guida dell’Atm di Messina è stato designato come presidente Giuseppe Campagna. Di Roccalumera, Campagna è stato vicepresidente dell’Ast ed è esponente del partito di De Luca Sicilia vera. Ha esperienza politica come capogruppo di minoranza nel consiglio comunale di Roccalumera. È dirigente dell’Enfip, un ente di formazione che afferisce al patronato Fenapi. È stato anche presidente della Jonica Trasporti…>> e in alcuni sopra menzionati, cui l’ultimo <<… La Jonica Trasporti era una s.r.l. costituita nel 1999 a capitale totalmente pubblico con unico socio l’AST, l’Azienda Siciliana Trasporti di proprietà della Regione Sicilia (in sostanza un’azienda pubblica regionale per trasporto di persone all’interno un’altrettanta pubblica del medesimo settore). Per decreto assessoriale regionale, acquisì tutte le concessioni insieme ai rispettivi contributi cosiddetti a chilometro e per acquisto pullman nonché il personale maschile, di una ditta locale di Santa Teresa Riva (ME), la STAT>> dopo che quest’ultima nel 1999 venne dichiarata fallita a seguito delle conseguenze economiche di quattro attentati e parallelo blocco dei finanziamenti della Regione Siciliana. Incendi subiti nel 1991 e 1992, con nove autobus distrutti insieme ad un fuoristrada e una vettura, che furono definiti dagli stessi Inquirenti e Giudici di “matrice mafiosa” ma che tuttavia dieci anni dopo il Tribunale di Messina ha posticipato come avvenuti nel 1995 in quanto ciò risulta “dalle indagini esperite” (?) e la Cassazione rigettò il ricorso.

Appaiono pure significativi dei recenti articoli inerenti la decennale gestione dei servizi pubblici di linea in Sicilia Trasporto pubblico locale: Impugnata dal Governo Conte2 la proroga regionale siciliana <<… A renderlo anche noto è la deputata Cinquestelle all’Ars Stefania Campo: “In Sicilia c’è un oligopolio di aziende che gestisce il trasporto pubblico locale in barba alle norme comunitarie sulla trasparenza. Il Consiglio dei Ministri impugna una proroga che noi denunciamo da mesi. Adesso Musumeci e Falcone non hanno più scuse” …>>, e “All’AST, l’azienda di trasporto pubblico siciliana, si assumerebbe per simpatia dei dirigenti” <<… Nell’esposto inviato alla Procura di Palermo, ai Carabinieri della stazione Resuttana Colli e al comando regionale della Guardia di Finanza, il gruppo di giovani escluso dalle selezioni rivela che “l’azienda ha proceduto per chiamata diretta selezionando amici, parenti e compari”. Già a gennaio dell’anno passato c’erano state contestazioni analoghe contro l’AST per cinquanta autisti che sarebbero stati selezionati attraverso una società privata di lavoro interinale. Procedimento già in uso da tempo e fra mille polemiche nelle società siciliane a capitale pubblico. Scriveva allora il sindacato Fit-Cisl “è evidente come questa procedura dai molteplici passaggi e con il coinvolgimento di un’agenzia di lavoro interinale si mostri debole rispetto alla trasparenza del concorso pubblico” …>>. E indicativo della annosa situazione è un altro articolo “Funzionaria dell’ Ast talpa del latitante” <<… Il capo della Cosa nostra agrigentina, il superlatitante Giuseppe Falsone, sapeva in diretta delle indagini della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Grazie alle preziose indicazioni che un insospettabile avvocato in servizio all’ Azienda siciliana trasporti, Gaetana Maniscalchi, avrebbe fornito a uno dei principali favoreggiatori del padrino, Giuseppe Sardino …>>.

Il giudizio di appello del “sistema montante” verrebbe infine spostato a Catania. A sostenere l’accusa non saranno pertanto i Magistrati di Caltanissetta. Tocca adesso a Roberto Saieva, Procuratore generale di Catania, scegliere – nella squadra dei suoi sostituti – chi dovrà rappresentare la Procura. Il motivo è stato la dichiarazione di astensione di Lia Sava, Procuratore generale chiamato a rappresentare l’accusa in appello. Sava ha quattro sostituti: Lucia Brescia, Fabiola Furnari, Carlo Lenzi e Antonino Patti. Il Magistrato s’è avvalso della facoltà prevista dall’articolo 52 del Codice di procedura penale, che prevede l’astensione da un processo «quando esistono gravi ragioni di convenienza». Trattandosi di un Pg, la stessa norma prevede che sia il Procuratore generale presso la Cassazione a decidere sulla richiesta. E, in caso di accoglimento, «può essere designato alla sostituzione» un altro magistrato «appartenente all’ufficio ugualmente competente determinato a norma dell’articolo 11». E da qui si arriva alla competenza di Catania. Ragioni formali e soprattutto «di opportunità», si vocifera a Caltanissetta, dove – dopo la netta vittoria in primo grado – nessuno vuole concedere vantaggi procedurali (né mediatici) alla difesa dell’imputato eccellente. Non dovrebbero esserci “problemi di formazione”, invece, per Maria Grazia Vagliasindi, presidente della Corte d’Appello nissena, chiamata a designare il collegio giudicante.

Adduso Sebastiano

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