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De Laurentiis: “Auguri a tutti i napoletani. Agnelli? Speriamo di sacrificarli…”

Il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, ha parlato alla radio ufficiale: “Vorrei la sorpresa di un po’ più sincera disponibilità di chi istituzionalmente ha delle responsabilità ma si comporta diversamente. Questo discorso non lo continuo, ma lo rimando a dopo Pasqua. Con il cuore e con il pensiero sono vicino ai napoletani ed a tutte le persone che soffrono e che trovano in occasioni come la pasqua dei modi per essere legati alla vita. Tento una mano ed un pensiero a chi soffre”.

Messaggio di unione e di felicità per la santa pasqua rivolto alla gente della Campania, poi passaggio su Jorginho: “Al di là del fatto calcistico ci dimentichiamo sempre della Campania, i cittadini di Napoli si sentono quasi su una torre d’avorio, ed è una brutta cosa. Essere napoletani è una questione di spirito e di unione, l’essere insieme deve diventare un network di felicità e di unione. Jorginho? E’ molto bello vederlo in nazionale, lo vedremo e lo applaudiremo”.

Infine scambio di battute scherzose tra lui e De Maggio: “Speriamo che anche dopo pasqua si sacrifichino gli agnelli (ride, ndr). Mi viene in mente anche il titolo del film ‘Il silenzio degli agnelli’. Ovviamente scherzo, vediamo cosa accadrà”.

Lo strano caso delle Vespe senza alveare

Ieri, come sempre, eravamo presenti al Menti per seguire la Juve Stabia e ciò che più ci ha colpito non è avvenuto all’interno del rettangolo verde. La nostra attenzione si è concentrata sul settore ospiti dello stadio, desolatamente vuoto perchè chiuso ai tifosi del Benevento. La delusione non riguarda puramente l’aspetto estetico del calcio, che se privato delle tifoserie, perde gran parte della sua bellezza e del suo fascino, ma va ben oltre queste considerazioni.
La chiusura del settore ospiti nel derby contro il Benevento segue quella avvenuta sabato scorso in occasione del match contro il Matera e, guardando ancora più indietro, alla partita contro l’Akragas, durante la quale i tifosi siciliani erano stati posti nel settore distinti proprio in virtù dell’inagibilità del settore ospiti.
Inagibilità, dovuta al maltempo delle scorse settimane che ha danneggiato la rete di protezione che ricopre la curva ospiti del Menti, costringendo dunque la Lega a chiudere il settore per giusti e comprensibili motivi di sicurezza.
Come da noi documentato con la segnalazione esclusiva del 15/03/16, il Comune ha iniziato l’opera di rifacimento e riparazione della rete, senza però poi portarla a termine o non completandola in modo idoneo agli standard richiesti dalla Lega.
Conseguenza di ciò è che la Juve Stabia ha visto chiuso il settore ospiti del Romeo Menti proprio in concomitanza di una doppietta in casa che avrebbe visto un massiccio esodo di tifosi del Matera prima e del Benevento poi. La Società stabiese è stata quindi privata di due incassi che grazie, alle tifoserie avversarie, sarebbero stati “pesanti” ed avrebbero rappresentato ossigeno per le casse gialloblè. Ci sembra profondamente ingiusto che una Società che si autofinanzia e che non ha alcun contributo dalle istituzioni cittadine e dall’imprenditoria locale possa essere privata anche dei pochi mezzi di sostentamento a sua disposizione e per problematiche di semplice risoluzione.
Altro aspetto assolutamente da sottolineare e su cui porre attenzione, sono le condizioni del manto erboso del Romeo Menti, ormai pessime. Il sintetico attualmente in uso è stato installato nel 2009 e la Lega Calcio ha più volte chiarito che, se non sarà completamente ammodernato, il rischio che la Juve Stabia sia costretta a giocare in un altro campo le proprie partite in casa è assolutamente concreto. Senza soffermarci troppo su quanto sarebbe umiliante per squadra e tifosi dover migrare verso un campo diverso, in cui essere ospiti anche nelle partite casalinghe, sarebbe problematico anche trovare questa “location” alternativa, visti i rapporti non certo buoni con le società e le tifoserie calcistiche del circondario.
Come precisato in settimana dal D.G. Delle Vespe, Clemente Filippi, tutti i lavori che riguardano il Romeo Menti devono essere effettuati con l’intervento imprescindibile del Comune, vista appunto la proprietà comunale dell’impianto sportivo.
Urge dunque una sinergia costruttiva tra la Juve Stabia ed i rappresentanti comunali, così da risolvere quanto prima la questione stadio. Da parte dei gialloblù c’è sempre stata massima disponibilità a voler chiarire la faccenda, mentre da Palazzo Farnese i tentennamenti sono stati molti e costanti. Con le imminenti elezioni amministrative tale situazione torna prepotentemente di attualità, con il Patron Franco Manniello pronto a relazionarsi costruttivamente, come sempre, con il suo nuovo interlocutore nei rapporti Juve Stabia – Comune. I precedenti rappresentanti comunali hanno sempre risposto con un inerte immobilismo alla buona volontà ed alla voglia di risolvere la questione che invece è sempre provenuta dalla Juve Stabia.
Sono ormai quasi due anni che la Juve Stabia ha “scelto” di allenarsi presso il campo comunale di Casola, anche a causa delle frizioni con il comune stabiese circa la questione Menti. Il “volo” quotidiano delle Vespe in direzione Casola non è piaciuto né ai tifosi, privati della possibilità di vedere gli allenamenti della propria squadra nel “proprio” stadio, né agli stessi gialloblù, che si trovano ad allenarsi non certo in un campo con attrezzature ed organizzazione all’avanguardia.
Si portino a termine quanto prima i lavori alla rete del settore ospiti del Menti, assolutamente urgenti e poi si metta a disposizione della Juve Stabia uno stadio in regola con gli standard previsti dalla Lega. E’ inutile pretendere maggiori sforzi da Manniello, come avvenuto anche ieri al termine del derby con il Benevento, se manca anche la sicurezza di avere uno stadio per la prossima stagione. Le Vespe rischiano di perdere il loro alveare.

Raffaele Izzo

Grande lutto nel calcio, è morto Johan Cruyff

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Il mondo del calcio perde un grande campione,  un rivoluzionario in questo sport: Johan Cruyff, leggenda di Ajax e Barcellona; si è spento all’ età di 68 anni in seguito a una  dura lotta contro il cancro.
Nella sua vita aveva vinto tante battaglie ma non è riuscito a vincere quella per la vita:
“Ho la sensazione di andare sul 2-0 nella prima parte di un match che non è ancora finito, ma sono convinto di riuscire a vincere”, aveva dichiarato pochi mesi fa.

Quando il Napoli superò l’Avellino e in gol andò Caffarelli

Il giorno 24 marzo il Napoli ha giocato otto partite, tutte in serie A, ottenendo tre vittorie e tre pareggi, con due sconfitte.
Ricordiamo l’1-0 ad Avellino nell’ottava di ritorno della serie A-1984/85
 
Questa è la formazione schierata da Rino Marchesi:
 
Di Fusco; Bruscolotti, Boldini; Celestini (85′ Favo), Ferrario, R. Marino; Caffarelli, Bagni, Penzo (88′ Carannante), Maradona, Dal Fiume
 
I gol: 54′ Caffarelli
 
Dopo ventidue giornate il Napoli era ottavo a undici punti dalla capolista verona. , una posizione in classifica che gli azzurri confermarono alla fine di quel primo torneo dell’era-Maradona. Il gol che decise il derby del Partenio porta la firma di Luigi Caffarelli che vanta 11 reti nelle sue 129 presenze in maglia azzurra: 9 in 101 partite di serie A, e 2 nelle di coppa Italia. Ha giocato senza segnare anche una partita in Europa.

Napoli forza 3000: vicino un record incredibile

Il Napoli è vicino ad un traguardo incredibile

Infatti, dal 1929 a oggi, ha messo a segno 2.996 reti in Serie A: altri quattro e sarà quota 3000: 2996 gol in 87 anni, escludendo i campionati di Serie B e i due di Serie C. Ci sono otto partite a disposizione e visto il potenziale offensivo della squadra di Sarri, è possibile che possa superare questo prestigioso traguardo nel giro poche partite. Il Corriere dello Sport scrive “in appena nove mesi l’era Sarri ha già lasciato il segno negli annali degli statistici, negli occhi della gente e sulla pelle degli avversari. Fino alla partita con il Genoa, e dunque fino all’ultima sfida giocata e vinta per 3-1 al San Paolo, il Napoli ha totalizzato 62 gol in campionato. In ottantasette anni e settanta campionati di A, il tetto dei 60 gol è stato sfondato appena nove volte (cinque nelle ultime sei stagioni)”. 

No alla cessione, due azzurri rispondono presente con il Genoa

Ecco di chi si tratta

Contro il Genoa, il terzo gol è stato confezionato da due protagonisti che, spesso, siedono in panchina: Manolo Gabbiadini stoppa il pallone, l’assist è per Omar El Kaddouri che prende la sfera e la scaraventa in rete. Per il primo 290 minuti in serie A, 370 in Europa League e 71 in Coppa Italia. Per il secondo 146 in campionato, 378 in Europa League e 90 in Coppa Italia. Il Corriere dello Sport scrive: “Entrambi hanno sempre assicurato il massimo della disponibilità. Gabbiadini proprio contento dell’attuale andazzo difficile che lo sia, però se sono stati rifiutati i 28 milioni del Wolfsburg, un motivo dovrà pur esserci. Per El Kaddouri è stato ignorato anche il Toro e s’era fatta avanti anche l’Atalanta, ma s’è conquistato una bella fetta di stima da parte del tecnico ed anche nello spogliatoio”.

Otto finali per raggiungere lo scudetto

Otto finali per raggiungere lo scudetto

Otto partite in 43 giorni, che scriveranno la parola fine al campionato più combattuto e appassionante degli ultimi anni. Non succedeva da un po’, in serie A, che all’inizio della primavera la lotta per lo scudetto fosse ancora così aperta: in un lustro che finora era stato invece dominato in un lungo e largo dalla Juventus. I campioni d’Italia rimangono sempre lassù, in pole position e favoriti per la vittoria finale: ma stavolta senza la certezza di avere in pugno il quinto titolo tricolore consecutivo. Tutto merito del Napoli, che si è ostinatamente aggrappato alla scia dei bianconeri con coraggio, abilità e perfino qualche rimpianto: per lo sfortunato sorpasso subito nello scontro diretto dello scorso 13 febbraio, a Torino. Nemmeno quel colpo da ko, peraltro, è bastato per demoralizzare gli azzurri e spingerli a gettare la spugna. Con 24 punti in palio e appena tre lunghezze di ritardo dalla vetta della classifica, infatti, la squadra di Sarri ha il diritto e dovere di continuare a sognare, in un testa a testa ad altissima quota che promette ulteriori sorprese ed emozioni.
Tutto si deciderà in meno di un mese e mezzo, da affrontare senza un attimo di respiro dopo l’indecifrabile sosta di Pasqua: assai complicata da gestire per entrambe le pretendenti al titolo, in una fase cosi delicata della stagione. Il Napoli si è rimesso ieri pomeriggio al lavoro al centro sportivo di Castel Volturno, con un occhio agli impegni delle Nazionali (12 gli azzurri in giro per il mondo) e l’altro al calendario. Sarri ha a sua disposizione solo quattro titolari (Reina, Albiol, Allan e Callejon) e può solo sperare che i suoi big ritornino alla base al più presto possibile e in buone condizioni. È slittato pure il rientro di Dries Mertens, dopo l’inversione di campo che ha evitato in extremis l’annullamento della amichevole tra Portogallo e Belgio. Jorginho e Insigne dovrebbero invece partire dalla panchina nella sfida di stasera tra Italia e Spagna. E domani notte tocca a Gonzalo Higuain, ospite con la sua Argentina in casa del Cile.
Per il Pipita sarà anche una prova generale, in vista delle prossime trasferte che attendono il Napoli: costretto d’ora in poi a giocarsi soprattutto lontano dal San Paolo le sue chance tricolori. Osservando il calendario, infatti, è legittimo pensare che il futuro degli azzurri in campionato si deciderà principalmente in tre partite fuori casa: a Udine, a Milano contro l’Inter e all’Olimpico contro la Roma. Le date fatidiche sono quelle del 3, 16 e 25 aprile: il trittico di impegni con il coefficiente di difficoltà più alto, tra gli ultimi 8 esami che dovrà affrontare la squadra di Sarri. Le altre cinque gare sono invece più agevoli, almeno sulla carta: sia il viaggio nella penultima giornata (e a giochi probabilmente quasi fatti) sul campo del Torino, sia le sfide a Fuorigrotta contro Verona (ieri è scattata la prevendita), Bologna, Atalanta e Frosinone, in cui sarà praticamente obbligatorio fare bottino pieno.
Ma Sarri non ama fare calcoli e ha già ordinato ai suoi giocatori di concentrarsi su una partita alla volta. Una raccomandazione doppiamente giustificata, alla luce delle difficoltà che aspettano il Napoli alla ripresa del campionato. Il “Friuli” (che si chiama “Dacia Arena”, dopo i lavori di ristrutturazione) è di per sé un campo tabù, dove gli azzurri non vincono dal 2007. Poi ci sono i problemi dell’Udinese, che è in cattive acque, ha bisogno di punti per raggiungere la salvezza e ha da poco cambiato allenatore, chiamando al suo capezzale Gino De Canio (un ex, tra l’altro). Infine ci sono le incognite legate alla sosta e all’orario del fischio d’inizio, fissato per le 12.30. Abbondano dunque i motivi per catalogare la sfida del 3 aprile come una delle più insidiose, sul percorso di Higuain e compagni. Solo un gradino più in basso rispetto ai successivi viaggi a Milano e Roma. Il sogno scudetto, calendario alla mano, passerà soprattutto per queste tre trasferte. È tempo di allacciare le cinture.

La Repubblica

Bruxelles, i media: “Un secondo uomo con il kamikaze della metro”

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Bruxelles: la fermata della metropolitana di Maelbeek, teatro di uno degli attacchi (ap)

Bruxelles, i media: nel mirino anche centrali nucleari. Secondo i giornali belgi, Khalid El Bakraoui non era solo a Maelbeek, ma si ignora se il complice sia morto o sia riuscito a fuggire? I terroristi spiavano un dirigente del programma nucleare. Salah vuole tornare in Francia “il prima possibile”. E il Belgio smentisce Ankara: “Ibrahim non fu estradato qui, ma in Olanda”

BRUXELLES – Un puzzle complicatissimo, quello delle indagini sulle stragi di Bruxelles. In cui si aggiungono continuamente pezzi. Un secondo uomo si trovava con Khalid El Bakraoui, il kamikaze che si è fatto esplodere nella metropolitana di Bruxelles, causando la morte di 20 persone. Lo riferisce la radio belga Rtbf. E’ stato intercettato dalle telecamere di sorveglianza: nelle immagini trasporta una grossa borsa. L’identità è ancora sconosciuta e non si sa se sia morto nell’attentato o se sia anche lui in fuga, sottolinea Rtbf.
La polizia ha anche diffuso un suo identikit ricostruito dalle immagini, registrare da una telecamera nella metro di Maelbeek, che lo mostrano insieme a Khalid el Bakraoui: si tratta di un uomo con con un berretto chiaro, sopracciglia marcate e viso allungato, che porta con sè una grossa borsa.

E questa persona si aggiungerebbe all’altro uomo sicuramente riuscito a scappare, quello con il cappello che appare nella foto della telecamera di sorveglianza all’aeroporto di Zavantem: il kamikaze riluttante. Dunque le indagini sono più che mai aperte. Fino a questo momento sono tre i kamikaze sicuramente identificati. Si tratta dei fratelli Ibrahim e Kalid El Bakraoui – 30 e 27 anni – entrambi nati in Belgio, e Najim Laachraoui, 25enne, nato in Marocco e cresciuto nelle strade di Schaerbeek: considerato l’artificiere, prima delle stragi di Parigi poi di quelle di Bruxelles. Tutti, comunque, erano noti al Belgio. Tracciati dall’Interpol, almeno dallo scorso autunno. Ma pesa soprattutto l’accusa della Turchia: il presidente Erdogan sostiene che Ibrahim El Bakroui era stato fermato lo scorso anno al confine siriano ed espulso verso il Belgio. Mentre le autorità di Bruxelles smentiscono. “Non venne estradato in Belgio, ma in Olanda”, ha precisato il ministro della giustizia belga, Koen Geens. “Allora non era noto per terrorismo, ma era un criminale comune in libertà condizionata”.

Dal fronte delle indagini, arrivano però anche anche altre indiscrezioni inquietanti. I fratelli El Bakraoui volevano colpire le centrali nucleari del Belgio. E’ quanto rivela la Dernière heure che cita fonti di polizia. Secondo il quotidiano, l’arresto di Salah Abdeslam e del suo complice Choukri a Molenbeek, ha fatto accelerare i piani della cellula terroristica che ha dovuto abbandonare uno dei suoi primi obiettivi il sistema nucleare belga. Secondo le informazioni dellla Dh, le due persone che avevano piazzato una macchina fotografica nascosta davanti alla casa del direttore di un programma di ricerca e sviluppo nucleare, non erano altro che i fratelli Ibrahim e Khalid el Bakraoui. Il video di 10 ore, contenuto nella fotocamera, era stato recuperato in una successiva perquisizione a dicembre, in occasione dell’arresto di Mohamed Bakkali. “Ora sappiamo dove volevano arrivare. La situazione è precipitata e si sono sentiti sotto pressione – ha rivelato una fonte della polizia – hanno dovuto optare per l’obiettivo più facile”.

Salah Abdeslam ha accettato il “trasferimento” in Francia e vuole tornarci “il prima possibile” ha dichiarato il suo avvocato Sven Mary, nel giorno dell’udienza in cui il tribunale deve decidere se convalidarne il fermo e valutare la validità del mandato di arresto europeo, che potrebbe facilitare l’estradizione dell’uomo verso la Francia. Per la difesa al momento Salah, che secondo i media non si sarebbe presentato in aula, non avrebbe collaborato in alcun modo con gli inquirenti che indagano sugli attentati di Parigi e su quelli di martedì scorso a Bruxelles. Dagli attentati di Bruxelles “Salah è rimasto muto” davanti agli inquirenti, ha detto Sven Mary ai media fuori dalla Camera di Consiglio. “Penso che volesse prima vedermi, perché ha avuto la visita degli inquirenti martedì e voleva prima vedermi”.

Decisiva finora è invece stata la testimonianza del tassista marocchino che ha inconsapevolmente portato i terroristi all’aeroporto: li ha riconosciuti, subito dopo l’attentato, e grazie alle sue parole è stata effettuata la perquisizione nell’appartamento in cui abitavano i sospetti. Lì sono stati ritrovati 15 chili di esplosivo di tipo tatp, 150 litri di acetone, 30 litri di acqua ossigenata, detonatori e una valigia piena di chiodi e viti.

L’avvocato di Salah Abdeslam, è stato aggredito martedì da un uomo che lo ha criticato per aver preso le difese del presunto terrorista in carcere per gli attentati di Parigi. Il legale ha dovuto chiudere l’ufficio per “garantire la sicurezza dei suoi collaboratori”, ha dichiarato. Dopo aver preso l’incarico di difensore di Salah Abdeslam, Sven Mary ha ricevuto minacce anonime, mail e offese.

Sul piano delle vittime, il bilancio resta di 32 morti e 270 feriti. Tra le vittime potrebbe esserci anche un’italiana che lavorava per le istituzioni europee, Patricia Rizzo. Al momento sono solo tre le persone identificate con certezza, due belgi e una cittadina peruviana. La potenza devastante degli ordigni ha reso più che mai difficile l’identificazione.

larepubblica / Bruxelles, i media: “Un secondo uomo con il kamikaze della metro”. Nel mirino anche centrali nucleari

Mogherini, attacco a Bruxelles: “Ora cooperazione tra le intelligence, siamo una cosa sola”

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Mogherini

L’intervista. L’Alto rappresentante per la Politica estera Ue, Mogherini: “Non esiste un ‘noi’ e un ‘loro’, i musulmani sono cittadini comunitari a tutti gli effetti”. “I governi discutono dal 2001 di scambio di informazioni: sappiamo cosa dobbiamo fare, adesso va fatto”.

BRUXELLES – Le lacrime di Federica Mogherini si sono asciugate, ma l’indignazione resta. L’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza della Ue che ci riceve all’undicesimo piano di Palazzo Berlaymont ha l’aria più combattiva che mai. “Da una parte, le lacrime hanno rivelato i miei sentimenti umani. Dall’altra mi dispiace che abbiano coperto il contenuto del mio messaggio dalla Giordania, un paese con cui condividiamo le priorità per prevenire la radicalizzazione. Abbiamo bisogno che l’Islam sia parte della nostra battaglia. Abbiamo bisogno che le voci musulmane contro il terrorismo siano udite di più. Al di là delle emozioni, il compito delle istituzioni è di reagire e di lavorare”.

Reagire, ma come?
“Dobbiamo fare quello che deve essere fatto”. Mogherini prende dal tavolo dei fogli e ce li mostra. “Guardate qui. Queste sono le conclusioni del Consiglio europeo straordinario del 21 settembre 2001, all’indomani dell’attentato delle Torri gemelle. Cito: “è necessario migliorare la cooperazione e lo scambio di informazioni tra i servizi di intelligence dell’Unione. A questo scopo occorre creare squadre di investigazione comuni. Gli Stati membri devono condividere tutte le informazioni utili riguardanti il terrorismo con Europol, sistematicamente e senza indugi”. Senza indugi? Questo risale a 15 anni fa”.
Ma il problema non è proprio che continuiamo a leggere le stesse risoluzioni?
“Il problema è che anche le decisioni prese non hanno seguito. Sappiamo tutti quello che bisogna fare, ma poi bisogna farlo davvero”.
Lei dice che ci vuole più Europa. Ma la reazione sarà probabilmente quella opposta, di erigere nuovi muri. Come pensa di bloccare questa tendenza?
“Ho appena incontrato il primo ministro francese Manuel Valls. Gli ho chiesto: come sono le reazioni a Parigi? Mi ha risposto: è come se questo attacco fosse avvenuto in Francia. Siamo così vicini che siamo ormai una cosa sola. Credo che la gente, i cittadini europei, capiscano benissimo che questo ci riguarda tutti. Che la nostra forza può essere solo l’integrazione, il nostro sistema comune “.
Non concorda con chi dice che l’Europa ha perso la battaglia contro il terrorismo?
“L’idea che l’approccio europeo non funziona e quelli nazionali sì, è una pura illusione. E’ vero il contrario. Perché quella che abbiamo oggi è la via nazionale all’anti-terrorismo, non quella europea. E’ l’approccio nazionale che non ha funzionato perché il mondo è globalizzato, l’Unione è integrata e le connessioni con il resto della regione sono forti. E’ chiaro a tutti che occorrono strumenti europei per far fronte ad una minaccia che è, come minimo, su scala europea”.
Non ha paura che la reazione della gente sarà invece quella di criminalizzare i musulmani? Non teme rappresaglie?
“Nei mesi scorsi sono stata criticata perché ho detto che l’Islam fa parte dell’Europa. Sarebbe ora che capissimo che non si tratta di una presenza esterna. Questi terroristi sono cittadini europei, nati in Europa, cresciuti in Europa. E’ l’alleanza, il dialogo, la cooperazione la coesistenza di religioni diverse che risolverà questi problemi. Se ci raffiguriamo la questione in termini di “noi”, europei e cristiani, e “loro”, arabi, musulmani, terroristi, non vediamo la verità, perché stiamo comunque parlando di europei. E alimentiamo la stessa narrazione di quelli che vogliono dimostrare che vivere insieme, fianco a fianco, è impossibile. Quali sono i valori che i terroristi stanno attaccando e che noi vogliamo preservare? Il valore fondamentale dell’Europa è proprio questo: la possibilità di vivere e di lavorare insieme al di là della nazionalità, della religione e della cultura. E’ un valore che abbiamo elaborato dopo millenni di guerre: l’integrazione delle nostre diversità non solo è possibile, ma è fonte di forza, di pace e di prosperità”.
Nessuno scontro di civiltà, allora?

“Se cadiamo nella trappola della semplificazione, del “loro” contro “noi”, rinneghiamo i nostri valori. Non è la diversità che distruggerà le nostre società, ma la paura della diversità. Questo implica un altro discorso: dobbiamo investire in una cittadinanza che sia inclusiva e partecipativa per tutti. Non ci sono europei più europei di altri: tutti devono sentirsi coinvolti”.

Non vorrà dire che è tutto e solo un problema interno?
“Certo che no. Ovunque le situazioni di vuoto di potere creano spazi in cui i terroristi possono trovare terreno per le loro attività. E questo è un problema non solo per l’Europa ma per tutta la comunità internazionale. Dobbiamo fare in modo che da questa tragedia, che fa seguito ad altre in tutta la regione negli ultimi mesi, venga una forte spinta per la soluzione in Siria e per prevenire una catastrofe in Libia”.
C’è davvero speranza per una soluzione in Siria?
“Ieri ho incontrato molti rifugiati siriani in Giordania e Libano. E da tutti ho ascoltato la stessa domanda: quando arriverà la pace? Quando potremo tornare nelle nostre case? Nessuno ha chiesto come fare a venire in Europa. Credo ci siano tre cose che la comunità internazionale può fare. La prima è consolidare ed espandere la tregua. Il cessate il fuoco tiene. Nessuno ci credeva, ma tiene: è un miracolo frutto di mesi di duro lavoro che siamo riusciti a fare insieme. La seconda è allargare l’area dove possiamo portare aiuti umanitari. E’ un modo per salvare vite umane. Quando piangiamo i morti di Bruxelles, dobbiamo ricordare che la gente muore anche in Siria. Terzo: dobbiamo convincere le parti siriane ad avviare il processo politico e impegnarsi pienamente in quel processo. Oggi pomeriggio (ieri, n.d.r.) a Ginevra incontrerò le delegazioni siriane, i rappresentanti dell’opposizione e del governo, per trasmettere loro questa urgenza. Hanno una responsabilità verso il loro popolo, che vuole la pace e chiede di poter tornare a casa. E hanno una responsabilità anche verso l’Europa e la comunità internazionale. La pace in Siria è adesso finalmente possibile. Dobbiamo tramutarla in realtà”.
© Lena ( Leading European Newspaper Alliance)
Questa intervista è stata condotta dall’alleanza editoriale Lena (Leading European Newspaper Alliance) di cui Repubblica fa parte insieme a Die Welt,El Paìs, Le Figaro, Le Soir, Tages Anzeiger e Tribune de Genève

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Gabbiadini, l’agente: “Manolo in biancoceleste? A chi non piacerebbe”

La risposta del suo agente…

“Gabbiadini in biancoceleste? Non so nulla di questa trattativa ma a chi non piacerebbe giocare nella Lazio?». Queste le parole dell’agente del calciatore – Pagliari – rilasciate in esclusiva ai microfoni di Cittaceleste.it. Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano. Lotito non ha mai dimenticato Gabbiadini: lo aveva chiesto ad Andrea Agnelli quando era ancora in comproprietà fra Juve e Samp. Nulla, Manolo era finito al Napoli per 20 milioni. Ora però quel vecchio sogno – scrive Il Messaggero – può diventare realtà, l’attaccante non ce la fa più ad essere l’ombra del “fenomeno” Higuain. A gennaio De Laurentiis aveva detto no al fotofinish a un’offerta del Wolfsburg di 25 milioni, a giugno perché dovrebbe cambiare idea con la Lazio? Innanzitutto per le pressioni di Gabbiadini. Sperava di avere più chance all’ombra del Colosseo, il Pipita – mai infortunato – non gliene ha fornita mezza: appena 727’ per Manolo fra Campionato, Europa League e Coppa Italia, comunque 6 gol (uno ogni 121’) e 3 assist. E’ insomma il bomber che serve alla Lazio e Lotito può convincere il Napoli mettendo sul piatto uno scambio col vecchio pallino partenopeo Candreva: Sant’Antonio è in uscita, dunque perché non unire l’utile al “dilettevole”? Il gioco a incastro può farsi.

TERRORISMO – Da Bruxelles a Parigi solo l’Europa unita può salvarci dai terroristi

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TERRORISMO: coda per i controlli alla stazione centrale di Bruxelles (ap)

TERRORISMO – Lo scenario. Non possiamo immaginare di difenderci se ogni Paese attua una sua originale politica di sicurezza, se le informazioni non vengono scambiate

SOLO un’Europa unita ci può salvare dal terrorismo. Solo una maggiore integrazione tra i Paesi dell’Unione può sconfiggere la jihad islamica a casa nostra. Questa tesi apparirà indigeribile a chi crede che chiudere i confini, tapparsi in casa e abbandonare Bruxelles sia l’unica via d’uscita possibile. Io penso esattamente il contrario.
Sono convinto che far vincere la logica degli Stati nazionali oggi equivalga al suicidio, alla resa di fronte ai terroristi così come di fronte ai drammi che premono alle nostre frontiere.
Bruxelles, Gare du Midi, ore 9 di ieri mattina: una folla preme all’ingresso della stazione, sulla porta 8 militari controllano soltanto a vista borse, zaini e pacchetti. Per salire sul Thalys, il treno ad alta velocità che va in Francia, basta mostrare il biglietto ad un anziano capotreno che aspetta in cima alla scala insieme ad una giovanissima assistente.
Parigi, Gare du Nord, ore 11: sulla banchina d’arrivo 18 soldati in assetto da guerra controllano i passeggeri che scendono dai vagoni provenienti dal Belgio. In testa al binario una folla ordinata aspetta di salire, ma prima dovrà passare attraverso i metal detector come in aeroporto. Possiamo immaginare comportamenti così diversi nello spazio di un viaggio durato un’ora e 22 minuti?
Possiamo immaginare di difenderci se ogni Paese attua una sua originale politica di sicurezza? Se le maglie della rete che dovrebbe proteggere le nostre vite sono strettissime o larghissime per decisione di un prefetto, di un ministro o di un singolo Parlamento? Se le informazioni su chi parte per la Siria e la Libia o su chi torna a casa dopo aver preso parte alla “guerra santa” non vengono scambiate in tempo reale? Se non si condividono impronte digitali, dna o più semplicemente targhe di automobili, video e fotografie?
Perché la partita che deciderà della vita che vivremo in questo continente dipenderà dalla capacità di scambiarci informazioni, di prevenire su larga scala, senza militarizzare ogni angolo delle nostre città. Senza smettere di viaggiare liberamente e di lavorare e studiare in ogni angolo del continente.
Dopo le bombe di Bruxelles perfino il ministro dell’Interno inglese Theresa May ha lanciato l’allarme sui rischi per la sicurezza che correrebbe la Gran Bretagna se col referendum del prossimo 23 giugno decidesse di lasciare l’Unione europea. “Verrebbero messe in pericolo – ha sottolineato – informazioni essenziali che riceviamo dai partner europei e verrebbe minacciata la cattura dei criminali come l’estradizione dei sospetti”.
Un altro esempio chiave: il governo belga ha pronto un disegno di legge ad hoc per chi ha partecipato alla jihad: prevede l’arresto o l’obbligo di portare il braccialetto elettronico. Ma farlo in un solo Paese non avrebbe alcun senso, per aggirarlo basterebbe che i combattenti islamici belgi si fermassero a Milano o che quelli francesi trovassero rifugio a Berlino. Così come nulla avrà senso se non cominceranno davvero a funzionare procedure di identificazione comuni e un database integrato.
Si può ritenere questa ipotesi dell’arresto o del braccialetto una violazione di diritti, visto che gli jihadisti di ritorno non hanno commesso reati in Europa, ma proprio un tema così delicato di libertà civili (in cui dobbiamo mettere sull’altro piatto della bilancia il diritto alla sicurezza e il diritto di andare in metropolitana senza rischiare la vita) meriterebbe un serio dibattito europeo. Magari sottraendo qualche ora all’infinita discussione sulle assicurazioni dei depositi bancari o sull’acquisto di titoli di Stato da parte della Bce.
La nostra disunità e la mancanza di una cooperazione profonda sono il rischio maggiore. Cosa sarebbe successo se negli Stati Uniti la lotta al terrorismo fosse stata appannaggio dei singoli Stati e se chi si radicalizzava in California avesse avuto la garanzia di rifarsi una verginità semplicemente passando in Arizona? Se non ci fossero state strutture federali capaci di incrociare le conoscenze? Proprio quelle strutture che per divisioni, sciatteria e frazionamento non furono capaci di intuire ed evitare l’11 settembre.
E non possiamo nemmeno coltivare l’illusione di sigillare le frontiere esterne e di alzare nuovi confini interni, perché il pericolo non arriva da uomini partiti dall’Arabia Saudita o dal Pakistan ma ce l’abbiamo in casa, è nato e cresciuto nelle periferie o nei ghetti delle nostre città. Chiudere le porte non significherebbe lasciare fuori i terroristi ma tenerli dentro.
Le indagini in corso in queste ore, la ricostruzione della dinamica degli attentati e l’identificazione dei terroristi ci confermano quanto sia micidiale non essere uniti: il Belgio ha pagato caro le divisioni tra i diversi ceppi linguistici (francese, olandese e tedesco). Divisioni che hanno impedito le collaborazioni, hanno fatto alzare muri, diffidenze e gelosie. Una nazione di poco più di 11 milioni di abitanti che oltre ai due rami del Parlamento nazionale ha tre Parlamenti regionali (Fiandre, Vallonia e Bruxelles), ognuno dei quali legifera non solo su problemi locali ma in tutto l’ambito economico e politico. Perfino sulle relazioni internazionali. Tanto che il famoso e molto discusso Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) tra Europa e Stati Uniti, una volta firmato dalla Commissione europea, avrebbe bisogno della ratifica di ognuno dei 28 Paesi che formano l’Unione ma con il voto di 35 Parlamenti. Sì perché in 26 nazioni ci sarà il voto del Parlamento, in Germania due e nel solo caso del Belgio sarà necessaria l’approvazione da parte di ben sette Parlamenti diversi…

All’aeroporto di Bruxelles e alla fermata della metropolitana di Maelbeek non è stato colpito solo il cuore dell’Europa ma è stato sfidato il nostro futuro e ci è stata posta una domanda fondamentale: vogliamo dividerci e fare la fine del Belgio?

larepubblica / Da Bruxelles a Parigi solo l’Europa unita può salvarci dai terroristi di MARIO CALABRESI

Pedullà: “Operazioni importanti a centrocampo per il Napoli”

Le ultime del giornalista

Anche a centrocampo il Napoli farà operazioni importanti e secondo Alfredo Pedullà, c’è un calciatore già pronto che è Matias Vecino della Fiorentina “da tempo pallino di Sarri, priorità assoluta malgrado la resistenza opposta anche lo scorso gennaio dalla Fiorentina”; un altro invece da far maturare potrebbe essere l’olandese dell’Atalanta Marten De Roon “reputato il profilo ideale per diventare una pedina importante con un anno di apprendistato alla corte di Maurizio Sarri”. Ma non dimentichiamo Davy Klaassen dell’Ajax.

COCAINA “Troppo ricco, non può essere spacciatore” Lo assolvono

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COCAINA

La sentenza a Firenze. Il giudice ha ascoltato uno psichiatra, un commercialista e il padre dell’imputato, che era stato trovato in possesso di oltre 3.000 dosi medie giornaliere di cocaina. “Voleva farsi una scorta smisurata”

FIRENZE – Aveva un precedente per detenzione e spaccio di una modica quantità di stupefacenti nel 1996. Perciò il 21 febbraio 2015 la Guardia di Finanza, dopo averlo fermato per un controllo, perquisì la sua auto e vi trovò 12 involucri di cellophane che racchiudevano 597,6 grammi di polvere contenenti cocaina pura per 471 grammi, corrispondenti a 3.144 dosi medie giornaliere. Lo stupefacente doveva essergli costato non meno di 30mila euro. Arrestato per detenzione a fini di spaccio, l’uomo è stato processato in abbreviato. E assolto. “Se si esclude l’elemento del quantitativo detenuto – ha scritto in sentenza il giudice Paola Belsito – assolutamente nulla negli atti di causa permette di affermare che detenesse per spacciare”. Non sono state trovate bilancine, né cellophane, né sostanze da taglio, né contatti telefonici con eventuali clienti. Richiamandosi alla Cassazione, secondo cui il possesso di droga in quantità superiore ai limiti massimi consentiti non costituisce prova decisiva della destinazione della sostanza allo spaccio, il giudice ha ritenuto che l’imputato, 42 anni, forte consumatore di cocaina e molto benestante, avesse comprato quelle migliaia di dosi per farne una provvista per suo uso personale. Prima di decidere ha ascoltato uno psichiatra, un commercialista e il padre dell’imputato, come richiesto dai difensori Massimiliano Manzo ed Emilio Bettini.

Lo psichiatra ha spiegato che da giovane il suo paziente aveva fatto uso smodato di marijuana e poi era passato alla cocaina. Segnalato come consumatore nel 2014, non si era drogato per mesi. Nel febbraio 2015, pochi giorni prima del suo arresto, i controlli si erano conclusi in maniera positiva. Ma la lunga astinenza – secondo lo psichiatra – aveva scatenato in lui il craving, un bisogno incontenibile e urgente di droga. E poiché ha una personalità infantile e tende ad accumulare oggetti, cibo e denaro, probabilmente aveva deciso di accumulare anche cocaina. Per cui l’arresto era stato una “provvida disgrazia”, perché rischiava altrimenti di assumere droga in dosi tali da morirne.

Il commercialista ha illustrato le condizioni economiche della famiglia. Il padre, che gestisce una florida azienda, ha confermato che il figlio ha ricevuto doni in denaro ed eredità dai nonni, tanto che ora ha risparmi per 400mila euro. I genitori speravano che si comprasse casa e si facesse una sua vita, ma il figlio continua ad abitare con loro, a non spendere niente e ad avere un sacco di denaro. Conclusione del giudice: “L’imputato, grazie alla disponibilità economica, anche di denaro liquido, garantitagli dalla famiglia, e al fatto di essere un figlio e un nipote unico viziato oltre ogni limite, ha potuto coltivare il suo unico vizio pensando di farsi una consistente e smisurata scorta di droga risparmiando nell’acquisto”. La procura generale ha impugnato l’assoluzione.

larepubblica / “Troppo ricco, non può essere uno spacciatore”. E lo assolvono

Giuntoli a caccia dell’occasione: Cacares nel mirino

Nome nuovo per la difesa

Martin Caceres al Napoli, il contratto del difensore uruguaiano con la Juventus andrà in scadenza a giugno e margini per rinnovare, al momento, non ce ne sono. Appuntamento a Castel Volturno per il suo agente Daniel Fonseca che tornerà in Italia probabilmente già dopo la sosta. Il Corriere dello Sport fa sapere che “il Napoli ha cominciato a valutare nuovamente e con maggiore convinzione”: ci sarà un nuovo incontro tra il direttore sportivo azzurro Cristiano Giuntoli e lo stesso Daniel Fonseca, per protarlo in azzurro a parametro zero.

Rinnovo Higuain, la controproposta di De Laurentiis

Lo riferisce Raffaele Auriemma sulle pagine di Tuttosport

Lo riferisce Raffaele Auriemma sulle pagine di Tuttosport: “Discorso diverso per Higuain. Il Napoli proporrà il rinnovo di un altro anno e la riduzione della clausola, così da permettergli di giocare la Champions e, poi, andare in un altro club l’anno prossimo. Il discorso è prematuro e la presenza della clausola da 94 milioni potrebbe non scoraggiare già adesso i club ricchi”

Blu Hotels e la SSC Napoli premiano le migliori agenzie del Sud

Tutti i dettagli…

In occasione della Borsa Mediterranea del Turismo, in programma a Napoli dal 18 al 20 marzo presso la Mostra d’Oltremare, Blu Hotels ha organizzato presso la villa D’Angelo Santa Caterina una serata in cui è stato assegnato il Top Reseller Award 2015, premio speciale per le tre agenzie di viaggio del Sud che si sono affermate per il miglior fatturato dell’anno.

I vincitori, Boca Viaggi di San Giuseppe Vesuviano, Puerto Svago di Casalnuovo di Napoli e Terre Preziose di Casal di Principe, sono stati premiati dai giocatori Manolo Gabbiadini e Mirko Valdifiori della SSC NAPOLI, di cui Blu Hotels è sponsor per la stagione calcistica 2015-2016.

Grande l’entusiasmo e la partecipazione per la serata che è stata anche l’occasione per festeggiare insieme gli ottimi risultati della stagione 2015: per Blu Hotels, prima catena alberghiera italiana nel settore leisure, il canale delle agenzie di viaggio riveste sempre maggiore importanza: infatti, fin dall’anno scorso, sono state innumerevoli le azioni incentrate sul principio di “fidelizzazione e riconoscimento” dedicate proprio al canale agenziale.

 

Per un momento così importante Blu Hotels ha scelto l’eleganza e l’esclusività di D’Angelo Santa Caterina, uno storico locale di Napoli, di proprietà del noto ristorante partenopeo Mimì alla ferrovia, che sa unire tradizione ed innovazione in cucina ad un servizio impeccabile, in un ambiente suggestivo caratterizzato anche dal panorama mozzafiato del Golfo di Napoli che gli ospiti potranno ammirare dalle splendide vetrate della suggestiva sala e dalla terrazza in cui si svolgerà l’evento.

I vincitori del Top Reseller Award saranno, inoltre, ospiti di Blu Hotels domenica 20 marzo presso lo stadio San Paolo di Napoli per assistere all’incontro Napoli – Genoa, e potranno vivere anche l’emozionante momento del walk-about, una visita guidata pre-partita che li porterà a vedere tanti ambienti dello stadio, dagli spogliatoi fino al campo da gioco.

La BMT di Napoli costituirà anche l’occasione per presentare le novità della stagione estiva con interessantissime promozioni, sconti e il nuovo catalogo che propone innanzitutto una prestigiosa apertura per l’estate 2016: il Sant’Elmo Beach Hotel**** in Costa Rei, a Castiadas (CA), splendido villaggio posizionato nella costa sud orientale della Sardegna in un tratto di costa tra i più belli dell’isola.

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Blu Hotels è da 20 anni autorevole protagonista nel mondo delle vacanze italiane e si riconferma oggi prima azienda nel settore leisure del nostro Paese. Trenta gli alberghi e i villaggi che portano in Italia il marchio Blu Hotels e che sono, dal 1993, sinonimo di qualità, prestigio, alta professionalità nel servizio.

Blu Hotels propone incantevoli strutture inserite negli angoli più belli della nostra Italia, facilmente raggiungibili e situati in zone ricche di fascino naturale.

A reggere le fila del gruppo, che ha le sue origini nella più prestigiosa tradizione alberghiera del lago di Garda, due imprenditori provenienti dalla Famiglia Risatti di Limone sul Garda, presente nel settore del turismo da oltre mezzo secolo. Il Presidente Nicola Risatti ed il Vicepresidente Fabrizio Piantoni hanno perseguito fin dal 1993 una politica di crescita costante attuando le giuste strategie per rispondere alle aspettative di una clientela ogni anno più esigente, ma anche sempre più entusiasta e fidelizzata all’ospitalità Blu Hotels.

Koulibaly-Napoli, è pronto il rinnovo

I dettagli dell’incontro tra Giuntoli e Satin

Raffaele Auriemma sulle pagine di Tuttosport scrive riguardo il rinnovo di Kalidou Koulibaly: “La priorità oggi è la conferma dei calciatori che rappresentano le colonne sulle quali costruire nel futuro. Uno di questi è Koulibaly (scadenza 2019), attualmente impegnato in Coppa d’Africa con il Senegal. Il suo agente, Bruno Satin, ha parlato di recente con Giuntoli che lo ha rassicurato sul desiderio di accontentare il suo assistito, e cioè raddoppiare l’attuale stipendio da 800.000 euro netti a stagione. Non è escluso che, a fronte di questo nuovo trattamento economico, possa essere inserita una clausola rescissoria che il Napoli sta pensando di valutare nella somma di 40 milioni. Si vedrà”

I nostri caduti ci chiedono unità e coraggio GIANNI RIOTTA *

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Gianni Riotta

Gianni Riotta – I morti nella sciagura alla miniera di Marcinelle, 8 agosto 1956, furono 262, di cui 136 italiani, dei 142 mila minatori all’opera in Belgio, del resto, 45 mila erano nostri connazionali. Patricia Rizzo, la funzionaria Ue che risulta, mentre scriviamo, dispersa nella metropolitana di Bruxelles dopo l’attentato di martedì, era figlia di quel mondo, i siciliani arrivati grazie al patto italo-belga 1946, che scambia agognato carbone con 50 mila permessi di lavoro.

A Marcinelle cadono lavoratori di 12 nazioni, nella strage della capitale europea muoiono cittadini di tanti Paesi e, come ormai tradizione, il dolore raggiunge gli italiani. A Parigi cade la ricercatrice Valeria Solesin, il suo dolce volto già familiare.

Il 19 novembre del 2001, in Afghanistan, è uccisa l’inviata del «Corriere» Maria Grazia Cutuli, fissata per sempre in una immagine tenera e coraggiosa. Nell’evento che scatenò quella guerra, l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre, erano rimasti vittime almeno dieci italiani, e 19 cadranno a Nassiriya, Iraq, in missione di pace 17 militari, 2 civili. I mass media avevano un antico cliché su «quanti italiani tra le vittime?», ma la domanda è desueta, ci sono sempre «italiani tra le vittime», nel mondo globale la patria è il lavoro, e i nostri concittadini lavorano ovunque.

Baldoni, traduttore dei fumetti di satira americani per Linus, muore a Baghdad, come il bodyguard Quattrocchi «vi faccio vedere come muore un italiano», uno è adottato come eroe da un’Italia, l’altro ricordato da un’Italia rivale, ma «sinistra» e «destra» sono etichette macabre e inutili, la morte non è talk show, la Spoon River degli italiani vittime del terrorismo internazionale deve unirci, non dividerci.

(Illustrazione di Dariush Radpour)

Chi ricorda Annalena Tonelli, volontaria in Somalia, il tecnico Tadiotto caduto a Casablanca, gli innocenti uccisi a Sharm el-Sheik, spiaggia di morte, Di Lorenzo morto a Mumbai, il volontario Frammartino colpito a Gerusalemme, il cooperante Lo Porto in Pakistan, le quattro vittime all’attacco al Museo del Bardo, in Tunisia? Non esiste una lista completa, ma dal 2001 sono almeno 63 le vittime italiane, e se unite i caduti militari nelle missioni internazionali, presto la cifra supererà gli 85 morti della strage di Bologna 1980.

Prego per un miracolo che restituisca Patricia ai suoi, stralciandola dalla lista dei dispersi, terribile come 60 anni fa fuori dalla miniera. Ma l’appello dei caduti italiani, giusto in questa settimana di Passione, dovrebbe farci insieme riflettere, senza Viva! e senza Abbasso! «all’italiana»: il terrorismo islamista non conosce amici o nemici tra di noi, considera avversario chiunque non ne condivida l’ideologia apocalittica di morte e oppressione. Non distingue tra Oriana Fallaci dura contro gli emigranti e il pacifismo cosmico di Tiziano Terzani, se ne infischia se abbiate votato Renzi, Berlusconi o Grillo o come voterete sulle trivelle, è indifferente alla vostra posizione su Israele e Palestina, Ogm, Jobs Act, unioni gay. Siate parte della Casta o la avversiate, per Isis siete comunque nemici da sterminare.

Patricia e i suoi fratelli e sorelle nel dolore chiamano l’Italia 2016 ad essere seria, unita, solidale, coraggiosa, capace di affrontare un nemico che ci impegnerà a lungo e ci terrà a lungo sulla difensiva. La nostra democrazia ha resistito agli anni di piombo, deve ora resistere agli anni della «Madre di Satana», soprannome del Tapt, perossido di acetone, l’esplosivo marchio di Isis. Se non saremo all’altezza di questa sfida, inutile ricordare i caduti nei memoriali e nei discorsi, li avremo tutti lasciati morire invano.

*lastampa / I nostri caduti ci chiedono unità e coraggio GIANNI RIOTTA

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Ischia: anche la Paganese espugna il “Mazzella”

ischia-paganese I gialloblu cadono ancora un volta tra le mura amiche contro una Paganese ormai salva. Nei primi minuti Cunzi,uno degli ex in campo trova il gol. Timida reazione degli isolani per cercare il pareggio, nel finale Palmiero sigla il gol dello 0-2. 

L’Ischia Isolaverde cade ancora una volta al “Mazzella” nel turno infrasettimanale contro la Paganese. La squadra di Mister Porta ha una timida reazione d’orgoglio, nel corso del quale costruiscono anche qualche occasione nel primo tempo. Nella ripresa cadono nettamente sia psicologicamente che fisicamente. Un altra prova opaca da parte degli isolani che va a riassumere il periodo buio che sta vivendo la squadra e la spaccatura con l’intera piazza isolana. Con questa sconfitta gli isolani vengono condannati a disputare i play out, ma di questo passo per arrivare al gradino per la salvezza servirà un vero miracolo. 

Sintesi.

La Paganese, alla prima occasione utile passa in vantaggio con l’ex Cunzi bravo a scattare sul filo del fuorigioco e a saltare Modesti in uscita. Al 16’, primo cambio nei padroni di casa con Filosa che è costretto ad uscire. Prende il suo posto Savi. L’Ischia reagisce sfiorando in successione la rete del pareggio con Gomes che impegna Marruocco e con Bruno che in due circostanze sfiora l’incrocio dei pali. Al 43’, l’Ischia protesta per l’atterramento in area di rigore di Kanoute. Ad inizio ripresa, la Paganese sfiora il raddoppio: Della Corte da sinistra vede e serve Caccavallo che posizionato l’aria piccola grazia Modesti. Al 58’, l’Ischia rimane in dieci, per la doppia ammonizione di Bruno, colpevole di aver colpito la palla con la mano. La partita s’incattivisce: sul taccuino finiscono Di Vicino e Moracci. La Paganese approfitta degli ampi spazi lasciati dall’Ischia e al 70’ colpisce il palo grazie ad un azione personale di Deli. Nei minuti finali, gli isolani tentano il tutto per tutto inserendo anche il nuovo acquisto Rubino ma in pieno recupero arriva anche la seconda rete degli ospiti con Palmiero.

ISCHIA ISOLAVERDE-PAGANESE 0-2

ISCHIA ISOLAVERDE: Modesti, Florio, Bruno, Filosa (16’pt Savi), Moracci, Spezzani, Kanoute, Acampora (33’st Rubino), Gomes (10’st Barbosa Moreira), Di Vicino, Armeno. A disp. Di Donato, De Palma, D’Angelo, Guarino, Palma, Porcino, Manna, De Clemente. All. Porta.

PAGANESE: Marruocco, Esposito, Bocchetti (1’st Dozi), Carcione, Sirignano, Della Corte, Deli(38’st Palmiero), Guerri, Cunzi, Caccavallo, Cicerelli (29’st Vella). A disp. Borsellini, Magri, Penna, Acampora, Cassata, Grillo, Tommasone, Parente. All.Grassadonia.

ARBITRO: Simone Sozza di Seregno (Ass. Stefano Viola di Bari e Alessandro Cipressa di Lecce)

MARCATORI: 6’pt Cunzi, 48’st Palmiero.

NOTE: Spettatori 408 per un incasso di € 1.775,15. Ammoniti: Spezzani (I), Cunzi (P), Bruno (I), Di Vicino (I), Moracci (I), Della Corte (P). Espulsi: al 13’st Bruno (I) per doppia ammonizione. Angoli: 7-11 per la Paganese.  Recupero: 2’pt-3’st.

 

Distruggiamo la credibilità del Califfato EMMOTT *

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Bill Emmott

Bill Emmott – Dopo atrocità terroristiche come quelle di martedì a Bruxelles o a Parigi a gennaio e novembre dello scorso anno, la pressione politica a reagire, agire, contrattaccare è sempre intensa. Ci impegniamo a non cedere al terrore, dicono tutti, però dobbiamo combattere. Ma come?

La risposta è: con la pazienza, con la determinazione e con la collaborazione.

La pazienza è al contempo la parte più difficile e la più importante.

Eppure l’esperienza tratta da ogni atto di terrorismo che si è verificato in Europa, in passato, sia in Gran Bretagna, Francia, Belgio, Italia, Germania o Spagna, è che i peggiori errori sono stati commessi grazie a reazioni dure e frettolose che servono solo ad aiutare i terroristi a reclutare più sostenitori. La cosa giusta da fare è cercare di immaginare che cosa davvero potrebbe servire agli attentatori, allo Stato islamico, e quindi evitare di farlo. Sarebbero aiutati da misure dirette a emarginare la comunità musulmana locale o da ritorsioni arbitrarie e mal congegnate.

Come l’Esercito repubblicano irlandese nel mio Paese durante gli Anni 70 e 80, ciò che lo Stato islamico più desidera vedere sono i musulmani, i loro potenziali sostenitori, in Belgio o in Francia o altrove, arrestati e imprigionati senza processo, o deportati in base a un semplice sospetto. Nulla sarebbe loro più utile per creare la prossima serie di kamikaze.

I valori europei hanno bisogno di essere difesi, non sospesi e sovvertiti. Parte di questa difesa dev’essere una reale attenzione ai motivi di alienazione in una prospettiva di lungo termine. In primo luogo la crisi economica e con essa la mancanza di lavoro e di opportunità, un risentimento condiviso con il resto della popolazione in molti Paesi della zona euro.

Questo, però, non è un problema risolvibile nell’immediato, per quanto importante. Il problema più a breve termine che i governi europei possono e devono affrontare con determinazione e spirito di collaborazione è l’ascendente dello Stato islamico nel presentarsi come causa da seguire e per cui lottare.

Negli ultimi due-tre anni lo Stato islamico e il suo leader, Abu Bakr al-Baghdadi, sono riusciti a rendersi credibili come potenza, e in particolare come una forza con la possibilità di affermarsi come uno Stato vero e proprio, che governa il territorio in Siria, Iraq e, forse, Libia. Il suo successo nel catturare le città di Mosul in Iraq e Raqqa, in Siria, in particolare, ha agito come fonte di ispirazione per molti musulmani, in Medio Oriente, come in Africa o in Europa.

Questo troppo spesso viene trascurato. Lo Stato islamico non è solo, o anche soprattutto, attraente per la sua ideologia o per la religione. Lo è per la sua credibilità. In effetti, sta facendo in Siria e in Iraq quello che la creazione di Israele, e poi la sua agguerrita difesa, hanno fatto in Palestina per gli ebrei.

La capacità di sferrare attacchi terroristici nelle città europee è parte di questa credibilità, ma non la più importante. Questo genere di attacchi, dopo tutto, sono stati messi a segno in precedenza da altri gruppi, tra cui Al Qaeda di Osama bin Laden, e da cani sciolti. La parte veramente significativa della credibilità dello Stato islamico sta nel suo nome: il suo successo nell’annettersi territorio e la creazione di uno Stato embrionale.

Quindi, dopo gli attacchi di Bruxelles, i governi europei hanno bisogno di concentrarsi su come intaccare e alla fine distruggere tale credibilità. Scongiurare ulteriori attacchi terroristici nelle loro città è un obiettivo comprensibile – e certamente per questo occorre un miglior lavoro di intelligence – ma in ultima analisi un obiettivo che non potrà mai essere pienamente raggiunto. Cambiare l’immagine dello Stato islamico in Siria, Iraq e Libia è qualcosa che è possibile, e può essere fatto.

Non è facile, altrimenti sarebbe già stato fatto. E non sarà ottenuto con sporadici bombardamenti su obiettivi dello Stato islamico da parte delle forze aeree britanniche, francesi, americane o russe. Ma potrebbe essere raggiunto se i governi europei mostrassero un’autentica determinazione e se lavorassero sodo per convincere l’amministrazione Obama che l’assunzione di un ruolo serio in un’azione militare durante il suo ultimo anno in carica è un rischio che vale la pena correre.

Il piano di inviare forze in Libia, sotto la guida italiana è una parte importante di questo scenario. Ma se dev’essere fatto, allora dev’essere fatto con un maggior numero di truppe e mezzi militari rispetto a quelle previste. Poi, i governi europei dovrebbero prendere in seria considerazione l’ipotesi di unire le forze con la Turchia, gli Stati arabi sunniti e il governo iracheno per cacciare lo Stato Islamico da Mosul.

L’obiettivo è semplice: si deve dimostrare che lo Stato islamico è perdente, una forza in declino e sostanzialmente senza speranza. Il calo dei prezzi del petrolio ha già ridotto il suo reddito. Le sconfitte militari, una dopo l’altra, lo renderebbero meno attraente come entità per cui combattere, sia in Medio Oriente o nelle città europee. Ciò può essere ottenuto solo con l’invio di vere truppe, in accordo con le nazioni arabe, per mettere a segno quelle sconfitte.

Non è una bella prospettiva. Ma l’alternativa è un continuo flusso di attacchi terroristici nelle città europee.

(traduzione di Carla Reschia)

*lastampa / Distruggiamo la credibilità del Califfato BILL EMMOTT *

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