Ministri non laureati e Parlamentari senza cultura, cos’è il Lifelong Learning e quanto siamo rimasti indietro

Nell’era dell’informazione, basta una laurea per stabilire la competenza? La polemica contro i Ministri non...

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Nell’era dell’informazione, basta una laurea per stabilire la competenza? La polemica contro i Ministri non laureati nasconde i reali problemi della formazione della nuova Classe Dirigente

In attesa di conoscere i nomi dei Ministri della nuova legislatura, l’opinione pubblica è già pronta a scagliarsi contro il “solito Ministro senza laurea”. La polemica, negli ultimi anni, ha già coinvolto nomi illustri della politica come Altero Matteoli, Massimo D’Alema, Umberto Bossi, Giorgia Meloni, Giuliano Poletti, Beatrice Lorenzin e, per ultima, l’ex ministra Valeria Fedeli.

I dubbi e gli sfottò verso i personaggi politici, in particolare verso i parlamentari, sono stati alimentati, inoltre, da trasmissioni televisive come “Le Iene”, che si sono divertite in alcuni servizi ad “interrogare” vari esponenti dimostrando le loro evidenti lacune in attualità e cultura generale.

Ma si può, oggi, valutare la competenza di una persona solo attraverso un titolo di studio? Secondo alcuni sociologi, la risposta è no.

Se l’educazione scolastica è stata per più di un millennio lo strumento principale per creare membri adulti della società a partire dai bambini, assistiamo nella nostra epoca, definita da alcuni “Era dell’Informazione”, ad una importante spinta evolutiva sul piano culturale. L’idea di concorrenza al benessere economico e l’affievolimento del concetto di “classe”, hanno spinto una fetta sempre più consistente della popolazione a conseguire un titolo di studio universitario. Secondo i dati Istat, dall’1% del 1950, gli italiani in possesso di una laurea della fascia di età 15-64 anni sono passati al 15,7% delle ultime rilevazioni (2016).

Con l’avvento della globalizzazione e con lo sviluppo di società sempre più complesse, però, questo sembra non bastare. Alcuni settori, tra cui la politica, richiedono conoscenze e tecniche sempre più avanzate, spesso non “catechizzate” in un corso di laurea completo.

Per far fronte a questa mancanza di competenze, è nato il concetto di Lifelong Learning, o “Apprendimento Permanente”.

Il lifelong learning entra nell’immaginario collettivo intorno al 2000 dopo il vertice del Consiglio Europeo di Lisbona che si riunì per promuovere un nuovo piano di istruzione e formazione, con il fine di integrare un numero sempre maggiore di persone e lavoratori. Con le disposizioni promosse durante il consiglio,  l’Europa si pone l’obiettivo di adattare l’istruzione e la formazione ai bisogni dei cittadini in tutte le fasi della loro vita per promuovere l’occupabilità e l’inclusione sociale.

Gli strumenti per l’attuazione dell’Apprendimento Permanente sono molteplici e sono inclusi in vari modelli di Cittadinanza Attiva e progetti di inclusione. Sono sempre più frequenti, per esempio, progetti destinati alla popolazione più anziana finalizzati a fornire un approccio più consapevole nei confronti di Internet del “digitale”. Altri progetti finalizzati al contrasto all’analfabetismo funzionale (che nel nostro paese si attesta nella spaventosa percentuale del 70% della popolazione) si sono tradotti in corsi pomeridiani e serali in cui vengono impartite lezioni sull’ analisi di testi e di situazioni, anche al fine del riconoscimento di truffe e “fake news”.

Quello che contraddistingue in negativo il nostro paese, però, è la forte resistenza nei confronti di questo nuovo approccio. La classe dirigente non sembra fare abbastanza, nonostante i finanziamenti stanziati dalla Comunità Europea.

L’Italia, infatti, è una delle ultime nella lista dei paesi organizzatori di progetti orientati verso l’educazione permanente. Dati che, se accoppiati alla percentuale di analfabeti funzionali e allo scarso numero di laureati nel nostro paese (l’Italia è penultima in Europa) mostrano un quadro abbastanza inquietante.

Forse le forze politiche dovrebbero concentrare i propri sforzi e le proprie campagne, più che a “rottamare” la classe dirigente, a modificare i sistemi attraverso i quali se ne forma una nuova. Fino ad allora, le polemiche sui Ministri senza laurea serviranno solo a riempire le pagine satiriche dei giornali.

a cura di Mario Calabrese

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