Il patto Draghi-Merkel contro i populisti

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Draghi critica Trump sul protezionismo, schierandosi con la Merkel a difesa degli accordi multilaterali. Ne esce una sorta di “patto di Francoforte” con Draghi e Merkel in sintonia nella sfida ai populisti e nell’approccio alla Casa Bianca.

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Il capo dell’Eurotower appare come l’ultimo baluardo europeista. Difende la cancelliera per sostenere Bruxelles: “Bisogna stare uniti”

ROMA – Come nell’autunno 2011, quando la Cancelliera accettò che fosse lui a salire all’ultimo piano del grattacielo di Francoforte e salvare l’eurozona dal disastro. Allora l’epicentro del problema era l’Italia ed erano i mercati a mettere in discussione la moneta unica. Oggi la situazione è persino più grave: le picconate arrivano da ogni dove, dalla politica e dalle piazze, dentro e fuori il Continente. Ecco perché dopo quattro anni di convivenza a tratti difficile, Merkel e Draghi si trovano di nuovo uniti nel tentativo di mettere in sicurezza la casa comune.
 All’Eurotower l’incontro di giovedì a Berlino viene derubricato come uno dei tanti e regolari scambi di vedute fra i due. Ma la situazione è tutt’altro che regolare. Ormai per far schizzare all’insù lo spread fra il Btp italiano e il Bund tedesco basta una frase di Marine Le Pen. Alla fine di quest’anno il panorama politico europeo potrebbe essere stravolto: si voterà in almeno tre Paesi fondatori dell’Unione, e nessuno sa con certezza chi e come ne uscirà vincitore. Ormai non c’è giorno nel quale l’amministrazione Trump non assesti un colpo contro l’Unione, poco importa che si parli del cambio della moneta unica o del destino della Nato. Quel «keeping us united» infilato da Draghi nelle prime righe del suo intervento a Bruxelles somiglia tanto ad uno dei motti cari alla retorica a stelle e strisce. Non è la prima volta che il governatore manda messaggi indiretti a Washington in pubblico. La stampa tedesca l’ha già ribattezzato «l’anti-Trump», l’ultimo europeista rimasto a riempire il vuoto pneumatico delle élite continentali.

Nell’agenda di Trump ci sono almeno tre cose che preoccupano Francoforte: i propositi protezionisti che si propagano come veleno nelle vene del mercato unico, la promessa di deregolamentare la finanza, le dichiarazioni che sembrano fatte apposta per mettere scompiglio nel mercato dei cambi. Se l’Unione in questi anni ha funzionato, è perché ha fatto l’esatto contrario: si è data regole comuni, ha imposto vincoli più severi alle banche, ha evitato scossoni all’euro.

Per Draghi questo è il momento in cui «stare uniti», dunque vanno difese soprattutto le ragioni di chi finora ha tenuto insieme i pezzi dell’Europa, ovvero quelle di Angela Merkel. Non è usuale sentire gli elogi di Draghi alla Germania che «fa le riforme», che «non specula sui cambi» e si è costruita «un’economia più forte e flessibile». Di fronte ad un Continente in ordine sparso, significa riconoscere che nonostante tutto se il sogno dei fondatori è ancora in piedi lo si deve anche ai tedeschi. Per paradosso in questo momento il tecnico Draghi ha le mani più libere della politica Merkel, sempre più costretta in una campagna elettorale in cui deve vedersela con la concorrenza populista di Alternative fur Deutschland.

Per il governatore Bce difendere Berlino significa anche difendere l’Unione dall’aggressività della nuova amministrazione americana, e in ultima analisi la tenuta dell’area euro da chi si è convinto possa davvero saltare da un momento all’altro. Qualche settimana fa nella risposta ad una interrogazione scritta al Parlamento di Strasburgo da parte di due deputati grillini Draghi diceva che in caso di uscita dalla moneta unica l’Italia dovrebbe «regolare i saldi finanziari», ammettendo implicitamente la sua reversibilità. Ieri nella risposta a voce è apparso quasi sprezzante: «I Trattati dicono che l’euro è irreversibile».

Sul fatto che la moneta unica costituisca un caso di successo a Francoforte non nutrono alcun dubbio. I numeri nel loro insieme gli danno ragione: l’area euro cresce da 14 trimestri consecutivi, la disoccupazione è scesa sotto il 10 per cento, la fiducia di consumatori e imprese è ai massimi da sei anni. Ma nonostante questo sembra salire un’onda inarrestabile. La speranza cui si attacca la politica europea è Martin Schulz, l’ex presidente dell’Europarlamento in grande crescita nei sondaggi dell’Spd. Se così fosse, le elezioni d’autunno in Germania saranno le uniche nel Continente in cui a fronteggiarsi per la Cancelleria saranno due leader europeisti. I nemici dell’Unione diranno che è una ragione in più per lasciarla.

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