Monte dei Paschi: invito a bail-in mascherato

Ai detentori di obbligazioni subordinate del Monte dei Paschi la banca offre la conversione in nuove...

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Ai detentori di obbligazioni subordinate del Monte dei Paschi la banca offre la conversione in nuove azioni. Sulla carta a condizioni vantaggiose che però valgono solo se ci sono abbastanza volontari. Altrimenti ci sarà la conversione forzata. Unici sicuri vincenti gli istituti del consorzio guidato da JP Morgan e Mediobanca.

Mps, va in scena il bail-in mascherato

Mps propone ai suoi obbligazionisti di aderire a un bail-in mascherato. Se non lo faranno, arriverà quello vero e proprio. Ai risparmiatori si chiede di scegliere tra due alternative rischiose. Matteo Renzi può ringraziare J.P. Morgan, che gli ha creato una bella grana alla vigilia del referendum.

Bail-in “volontario”

Lunedì 14 novembre il Monte dei Paschi ha deciso di lanciare una offerta ai detentori di obbligazioni subordinate emesse in passato dalla banca. L’offerta prevede che l’istituto si ricompri quelle obbligazioni, a un prezzo molto vantaggioso per gli obbligazionisti, cioè con un lauto premio rispetto al valore che attualmente quei titoli hanno sul mercato. Peccato che il corrispettivo, pagato dalla banca ai venditori, dovrà obbligatoriamente essere investito in nuove azioni di Mps, che verranno emesse con il prossimo aumento di capitale.
Di fatto, quello che Mps propone ai suoi obbligazionisti (subordinati) è una conversione del loro credito in azioni della banca. L’offerta è accompagnata da una minaccia neanche troppo velata, contenuta nel comunicato diffuso dall’istituto. Se l’operazione di conversione di debito in azioni non dovesse avere un esito soddisfacente, “Mps non riuscirebbe verosimilmente a portare a termine l’aumento di capitale” previsto per rimettere la banca in condizioni di continuare a operare. In tal caso si aprirebbero le porte della risoluzione, prevista dalla direttiva sul bail-in (Bank Recovery and Resolution Directive) che prevede “la possibile conversione forzata dei titoli subordinati”. Come dire: o aderite all’offerta di conversione volontaria, oppure la conversione diventerà obbligatoria. È chiaro che la parola “volontaria” suona un po’ come una beffa; quello a cui stiamo assistendo è di fatto un bail-in, seppure mascherato.
Molte delle obbligazioni subordinate di cui stiamo parlando sono detenute da risparmiatori al dettaglio, che vengono posti di fronte a una scelta difficile. Se un obbligazionista aderisce all’offerta, usufruisce del premio che gli viene riconosciuto rispetto al prezzo corrente dei titoli, ma si trova in mano azioni di una banca dal futuro molto incerto. Se non aderisce, può sperare che lo facciano tutti gli altri, puntando così al rimborso integrale del suo investimento alla scadenza. In questo modo però rinuncia al premio offerto dalla banca e si tiene in mano titoli comunque rischiosi: se l’operazione non andasse in porto, la conversione forzata prevista dalla procedura di risoluzione potrebbe avvenire a condizioni molto meno favorevoli. Qualunque scelta faccia, un investitore si espone a rischi elevati.

Un disastro evitabile

La vicenda Mps si avvicina così al capolinea, cioè a un esito in cui, volenti o nolenti, i detentori di obbligazioni subordinate sono chiamati a contribuire alla ricapitalizzazione dell’istituto. Qualcuno potrebbe pensare che era inevitabile, data la mole di prestiti deteriorati accumulata dalla banca. Non è vero. Una possibilità c’era, ed era una ricapitalizzazione a carico del Tesoro italiano. Come è stato spiegato in un precedente articolo, secondo le regole europee è possibile fare ciò evitando il bail-in, nel caso di una banca di interesse sistemico. Perfino la severa Commissione UE aveva teso la mano al governo italiano prima dell’estate, proponendo una soluzione che consentisse di non coinvolgere i risparmiatori al dettaglio. Il nostro governo sembrava essere sul punto di accettare quella mano tesa, ma poi ha cambiato idea. Perché?

Il ruolo di J.P. Morgan

L’improvviso cambio di strategia avvenne quando la banca d’investimento americana J.P. Morgan si offrì di risolvere il problema con una operazione “di mercato”, nella quale sarebbero stati trovati cinque miliardi di capitali privati da mettere nel capitale di Mps. E così, nel luglio scorso la banca americana ci venne presentata come l’àncora di salvezza, in grado di garantire il buon esito dell’operazione, evitando di usare denaro pubblico e di doversi sottoporre alle condizioni della Commissione UE.
Adesso scopriamo che la pre-garanzia fornita da J.P. Morgan e dalla altre banche del consorzio (accordo del 24 ottobre) è una bufala, essendo subordinata a una serie di condizioni-capestro: (i) la vendita dei crediti in sofferenza, (ii) l’esito soddisfacente dell’offerta di conversione delle obbligazioni subordinate in azioni; (iii) l’andamento soddisfacente del marketing delle azioni di nuova emissione presso gli investitori. Solo se tutte queste cose avverranno, e quindi se tutti i rischi e i costi della complessa operazione saranno stati scaricati su altri soggetti, le banche del consorzio saranno disponibili a trasformare la pre-garanzia in una garanzia vera e propria, con la quale si impegneranno a sottoscrivere le azioni che restassero eventualmente invendute nell’aumento di capitale. Sarebbe interessante sapere quali commissioni si prendono le due banche che guidano il consorzio (J.P. Morgan e Mediobanca) e le altre partecipanti, per una operazione che presenta ben pochi rischi per loro e molti per gli altri.
Chissà se oggi Matteo Renzi deciderebbe ancora di affidarsi alla banca americana, dopo che questa ha creato una mina vagante, che rischia di esplodere proprio alla vigilia del referendum. Intanto, noi paghiamo le commissioni, visto che il Tesoro è azionista di Mps.

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lavoce.info/Mps, va in scena il bail-in mascherato (Angelo Baglioni)

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