IL SOGNO TRADITO DELL’AUTOCOSTRUZIONE (MARIA ELENA SCANDALIATO*)

Per centinaia di famiglie doveva essere l’occasione, altrimenti impossibile, per comprare casa. Finalmente un appartamento...

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Per centinaia di famiglie doveva essere l’occasione, altrimenti impossibile, per comprare casa. Finalmente un appartamento di proprietà a prezzo contenuto in cambio di decine di ore lavorate gratis nel finesettimana. Qualcosa però è andato storto e, dalla Lombardia alla Campania, la lista delle storie finite male è molto lunga: costi lievitati, debiti da saldare, dispendiosi salvataggi pubblici, edifici realizzati male e un intricato scaricabarile tra le ong e coop coinvolte che rende molto difficile far valere i propri diritti a chi si è sentito truffato

I cantieri dove la speranza è diventata incubo
di MARIA ELENA SCANDALIATO
MILANO – “Chi non può permettersi di pagare l’affitto è in affitto. Chi può permettersi di pagare l’affitto è proprietario”, recita Arthur Bloch nelle magnifiche Leggi di Murphy. Una massima, questa, che fa sorridere, ma che al tempo stesso risulta terribilmente vera. Soprattutto negli ultimi trent’anni, da quando enti locali e nazionali hanno smesso di realizzare (o di manutenere) l’edilizia residenziale pubblica, portando i prezzi delle case e degli affitti a livelli esorbitanti.

Tuttavia, esiste un modo affinché chi non può permettersi un affitto diventi, addirittura, proprietario: si chiama autocostruzione, ed è una pratica diffusa sia nel Nord America che in alcuni stati europei, tra cui Francia, Germania, Danimarca e Irlanda (dove copre il 25% dell’edilizia abitativa). Si tratta, in sostanza, di coinvolgere i futuri proprietari nell’edificazione concreta delle loro case: secchio e cazzuola alla mano, gli inquilini si trasformano in muratori, in modo da abbattere – in percentuali che variano tra il 40% e il 60% – il costo finale delle loro abitazioni.

In Italia – che pure manca di una normativa in materia –  le prime autocostruzioni hanno visto la luce negli anni Ottanta. La sperimentazione fu avviata in Lombardia con una serie di casi virtuosi –  da Biandronno, a Cremanaga e Abbiategrasso – diretti dall’architetto Giuseppe Cusatelli. Modelli positivi, lontani anni luce dall’immagine che le ultime vicende rischiano di lasciare, oggi, di questa ingegnosa soluzione, ideata  per arginare l’emergenza abitativa e il progressivo impoverimento del ceto medio. L’autocostruzione, infatti, è pensata per fasce di popolazione che non possono sostenere i prezzi di mercato, ma che comunque sono in grado di pagare un mutuo contenuto; una risposta perfetta, sia per le famiglie monoreddito, sempre più numerose, sia per i precari  e i nuovi lavoratori immigrati. Nella realtà, come vedremo più avanti, nella sua versione italiana l’autocostruzione si è rivelata spesso un incubo per i malcapitati che speravano di poterne sfruttare le potenzialità, e una trappola mangiasoldi sia per le tasche dei privati che per le casse pubbliche, con esborsi di milioni di euro destinati a ripianare situazioni completamente sfuggite di mano.

Dalla fine degli anni Novanta l’autocostruzione ha conquistato l’attenzione di Regioni e Comuni in tutta Italia, soprattutto sotto la sollecitazione di una ong –Alisei – che ancora oggi vanta ottime credenziali: riconosciuta dal ministero degli Esteri, ha nel suo curriculum collaborazioni, sia con la Commissione Europea che con le principali agenzie delle Nazioni Unite. Non sorprende, quindi, che Alisei abbia ricevuto tutta la fiducia possibile, avviando, dagli anni Duemila ad oggi, circa 24 progetti di autocostruzione per un totale di centinaia di abitazioni.

Buona parte di questi progetti, però, sono naufragati, e le società incaricate di gestire i cantieri – Alisei Autocostruzioni, Summa, Innosense Consulting, tutte srl, alcune delle quali gestite dagli stessi soci della ong – sono improvvisamente fallite e sparite come polvere nel vento, lasciando non solo i lavori incompleti, ma anche diversi debiti in capo agli autocostruttori, rimasti spesso senza casa e con migliaia di ore di lavoro buttate nel secchio. In questo caso, tornando a citare le Leggi di Murphy, “se c’erano due o più modi di fare una cosa, e uno di questi modi poteva condurre a una catastrofe, allora qualcuno l’ha fatto in quel modo”.

In Lombardia un buco per milioni di euro
di MARIA ELENA SCANDALIATO
MILANO – Per raccontare l’incredibile vicenda conviene iniziare dal Nord: tra il 2004 e il 2005 Regione Lombardia lanciò un poderoso “Programma sperimentale di autocostruzione in affitto”, che prevedeva la realizzazione, entro il 2006, di 750 alloggi in autocostruzione, di cui 600 in affitto e 150 di proprietà. L’idea era stata sviluppata dalla prefettura di Milano insieme al Politecnico, da Aler (Azienda lombarda per l’edilizia residenziale), dalla società Innosense Cosulting e – appunto – dall’ong Alisei.

Sprechi e ritardi. Su un quaderno della fondazione “Housing sociale” dedicato nel 2004 al problema abitativo in Lombardia, un intero capitolo è dedicato alle case fai-da-te: “L’autocostruzione rappresenta una soluzione avanzata per l’housing sociale […]. Dati i tempi di completamento delle costruzioni che variano dai 18/24 mesi, rientra a pieno titolo nelle misure e negli interventi adatti ad affrontare le emergenze abitativa”. Nel documento, che presentava dettagliatamente l’esperimento, l’ong Alisei e Innosense  figuravano come “enti proponenti”, la Regione come promotore e Aler come soggetto attuatore. Inoltre, veniva specificato che la regione avrebbe finanziato il piano con 11.800.000 euro. Un intervento, quello lombardo, tra i maggiori in Europa, che avrebbe dovuto coinvolgere circa 20 comuni. La realtà, invece, ha frenato ogni slancio. Di più: ha fatto perdere ad Aler e ai Comuni coinvolti, nella sola provincia di Brescia e in quella di Milano, diversi milioni di euro. Soldi sprecati o scomparsi, il più delle volte lasciando i cantieri a metà o ultimando i lavori in modo approssimativo e con ritardi pazzeschi.

Strani intrecci di parentela. A Vimodrone, comune milanese, era prevista la costruzione di 16 alloggi in “affitto con riscatto”, che gli auto costruttori avrebbero acquistato al prezzo di 90mila euro. Per procedere, nel 2006 il comune diede l’incarico ad Aler, che avrebbe finanziato l’operazione al 20% con le risorse regionali, e per il restante 80% con soldi propri. L’incarico di gestire il cantiere, acquistare i materiali e provvedere alla formazione degli autocostruttori venne affidato da Aler a due srl: Innosense Consulting e Alisei Autocostruzioni, il cui nome, a detta dell’allora presidente del cda – Ottavio Tozzo – sarebbe stato solo “ispirato” dall’esperienza nell’autocostruzione di Alisei ong. Lo stesso Tozzo, però, all’epoca era presidente di Alisei ong (lo è stato fino al 2007) e socio (fino al 2008), mentre il fratello, Ruggero Tozzo – proprietario dello 0,7% di Alisei Autocostruzioni srl – ne è il presidente oggi in carica. I lavori sarebbero dovuti iniziare nel 2009, per essere completati nel 2011: le famiglie impiegarono ore e ore di lavoro per edificare la “struttura” delle loro case. Improvvisamente, a un anno e mezzo dall’apertura del cantiere, i materiali iniziarono a scarseggiare, e i lavori si bloccarono. Alisei e Innosense scomparvero, mentre Aler fu costretta a subentrare al progetto. Risultato: ad oggi dei sedici appartamenti non resta che lo scheletro di cemento, abbandonato come le famiglie che vi avevano lavorato. Stesso copione a Trezzo sull’Adda, sempre in provincia di Milano: qui gli alloggi previsti erano dodici, e le imprese coinvolte erano la solita Innosense e la srl Alisei. I lavori iniziarono nel 2005, ma alla fine del 2008 si interruppero bruscamente: anche in questo caso Alisei e Innosense erano evaporate, e ciò che oggi resta del progetto è un enorme cantiere a cielo aperto, dominato da un ecomostro che Aler non ha neppure messo in sicurezza.  

Autocostruzione, a Trezzo ore e ore di lavoro per avere un rudere

Salvataggi a spese del Comune. Diverso, invece, l’esperimento di Paderno Dugnano. In via Ponchielli, infatti, le case sono state ultimate, e le dieci famiglie di autocostruttori vivono già nei loro appartamenti, per i quali pagheranno 350 euro d’affitto al mese con possibilità di riscatto. Per riuscire nell’impresa hanno dovuto però occupare gli alloggi lasciati a metà dell’opera e completare i lavori di tasca propria, senza contare che oggi le case presentano crepe e infiltrazioni ovunque e che le pavimentazioni esterne sono sprofondate. Vicende analoghe hanno interessato il comune di Besana Brianza, mentre a Pieve Emanuele – dove tra il 2006 e il 2009 dovevano essere realizzati 24 alloggi – ad accollarsi l’ultimazione del progetto è stato il Comune, con un costo aggiuntivo di 1.280.000 euro. In questo caso, Alisei aveva una mera funzione di consulenza tecnica, nonostante il suo fallimento abbia messo a repentaglio la riuscita del progetto. Il risultato finale è che le case sono state consegnate solo nel dicembre 2014, dopo quasi dieci anni e con un enorme dispendio di denaro.

Alla fine paga sempre l’Aler. Dulcis in fundo, la vicenda di Brescia. In località Sanpolino Aler Brescia aveva affidato alle solite Innosense e Alisei la realizzazione di 15 alloggi, co-finanziati dalla regione per 299.428 euro. I lavori iniziano nel 2007 per essere ultimati nel 2010, ma anche in questo caso qualcosa si mette di traverso: «A un certo punto il cantiere si è fermato, e Alisei è sparita», spiega Rossana Scarsato, l’architetto responsabile delle autocostruzioni per il comune. La matassa, a questo punto, passa ad Aler, che non riesce a districarla. In questo caso, stando ai documenti Aler, Innosense aveva ricevuto un anticipo del 40% sul finanziamento (pari a 372.233 euro), insieme a 55.835 euro corrisposti ad Alisei come primo certificato di pagamento; il tutto mentre Innosense diventava irrintracciabile perché ceduta ad Alisei, che nel maggio 2010 avrebbe dichiarato fallimento. Acrobazie societarie a parte, l’esito dell’esperienza bresciana è stato il più fallimentare: nel 2012, infatti, le costruzioni sono state abbattute, con relative spese a carico di Aler che, sottolinea ancora l’architetto Scarsato, “credo abbia restituito i finanziamenti regionali con gli interessi”.

Autocostruzione, a Paderno famiglie costrette a spese extra e forti disagi

Denunce inascoltate. Insomma, ad oltre dieci anni dalla partenza in pompa magna, il piano lombardo delle “case-fai-da-te” si è rivelato un pessimo affare. Soprattutto per le decine di famiglie che avevano lavorato alla costruzione delle case, dedicandovi tempo, speranze e sogni. Nella ricerca “Social housing e agenzie pubbliche per la casa” realizzata da Censis e Federcasa, a proposito del piano lombardo per l’autocostruzione è scritto: “Il rischio dell’intervento per Aler è basso, in quanto garantito da una convenzione a prezzo chiuso con Innosense-Alisei”. C’è da chiedersi a quali garanzie si riferisca la ricerca, visto che la società garante presentata da Alisei e Innosense, e dalla quale Aler Brescia accettò le fidejussioni, era una spa – Fingeneral – che nel marzo 2010 sarebbe fallita, con l’accusa di bancarotta fraudolenta ed esercizio abusivo di attività finanziaria. Ombre, queste, denunciate nel luglio 2010 da un dirigente Aler, che aveva suggerito all’azienda lombarda di rivolgersi in procura per truffa ai danni dello Stato. Purtroppo, quel dirigente non venne ascoltato; anzi: fu isolato. L’unica azione promossa da Aler contro Alisei Autocostruzioni è stata la risoluzione in danno del contratto, con insinuazione nel fallimento. Ad oggi, purtroppo, l’azienda lombarda non è in grado di completare gli interventi incompiuti, e alle famiglie che vi avevano lavorato non è stato corrisposto alcun indennizzo.

In Emilia lavoro gratis e cumuli di debiti
di MARIA ELENA SCANDALIATO
MILANO – La costola emiliana dello scandalo risale al 2004, quando la Regione Emilia Romagna delibera un “bando sperimentale per la realizzazione di interventi in autocostruzione/autorecupero” destinati a lavoratori a basso reddito; il comune di Ravenna aderisce all’iniziativa, e firma con Alisei ong un’intesa per avviare tre progetti di autocostruzione, a Piangipane, Savarna e Filetto. Il primo, affidato alla società Summa srl (di cui sempre Ottavio Tozzo era amministratore), si è concluso come da progetto, ricevendo comunque un finanziamento a fondo perduto dalla regione; il secondo, affidato ad Alisei Autocostruzioni, ha visto lievitare i costi finali delle case dai 70mila euro previsti a 135mila euro, dopo otto anni di cantiere. A Filetto, invece, gli eventi sono precipitati.

Campanelli di allarme. Qui nel 2006 si costituisce la cooperativa “Mani Unite”, che associa 14 famiglie selezionate per realizzare gli alloggi in tre anni; il progetto è affidato dalla cooperativa, con un contratto d’appalto del valore di 1.068.867 euro, ad Alisei Autocostruzioni, che nel dicembre 2006 dà inizio ai lavori. A distanza di un anno, però, emergono i primi problemi: il geometra non si presenta in cantiere, i materiali non arrivano e manca la corrente elettrica. Gli  autocostruttori scrivono alla srl denunciando lo stallo dei lavori: “Dall’ottobre 2008 […] qualsiasi tipo di fornitura è stata interrotta […]. Noi soci chiediamo che i debiti con la ferramenta vengano soluti, […], e che ci sia una perizia di un tecnico che stabilisca lo stato di avanzamento lavori”. Purtroppo, di lì a poco Alisei Autocostruzioni sarebbe fallita, con conseguenze che – a differenza delle vicende lombarde – avrebbero assunto contorni kafkiani.

L’ambiguo rapporto tra ong e srl. I finanziamenti necessari a realizzare le case, infatti, erano stati messi a disposizione da Banca Etica, esposta in diversi progetti di autocostruzione (non solo con Alisei Autocostruzioni, ma anche con le altre srl concretamente impegnate nei progetti). A Filetto, in particolare, nel 2006 l’istituto aveva concesso a “Mani unite” una linea di credito con garanzia ipotecaria (sul terreno e sui futuri immobili) del valore di 1.245.000 euro. Tra l’altro, nello stesso anno Banca Etica aveva concesso un prefinanziamento, sempre alla cooperativa “Mani Unite”, di 250mila euro, supportato da una garanzia fideiussoria di Alisei ong (non la srl: proprio la ong), rappresentata da Ottavio Tozzo (difficile capire le ragioni di questa “intercessione”, e il legame tra la srl e le disponibilità economiche della ong). Tra l’altro, Ottavio e Ruggero Tozzo sottolineano come la srl Alisei non abbia nulla a che vedere con l’omonima ong, e questo è vero, almeno sulla carta. Tuttavia, è la stessa Alisei ong a smentire questa separazione. In un lungo documento sull’autocostruzione redatto proprio dalla ong (di cui allora Ottavio Tozzo era presidente),  si legge che Alisei Autocostruzioni sarebbe «la costola italiana che, all’interno del Network, si occupa in particolare di autocostruzioni e autorecupero». Non solo: per mesi l’architetto Tozzo, come dimostrano filmati in rete e ricerche della prefettura di Milano, promosse la modalità dell’autocostruzione vantando l’esperienza che la sua ong aveva maturato, dall’Algeria a Sao Tomé, fino in Mozambico e nella ex-Yugoslavia. Infine, è da notare che nel protocollo d’intesa siglato dal comune di Ravenna con Alisei ong (non la srl) sono scritti, nero su bianco, gli impegni assunti da quest’ultima, che prometteva di “mettere a disposizione la propria struttura tecnica […] al fine di offrire al programma una solida regia e direzione edilizia […], assicurare il supporto tecnico per la direzione lavori […] e sviluppare i contatti con Banca Etica per facilitare l’erogazione dei mutui […]”. Evidentemente, era in gioco anche la ong.

La doccia gelata. Il colpo di scena arriva nell’aprile 2012, davanti al clamoroso naufragio del progetto: gli autocostruttori, già rimasti senza casa dopo 20mila ore di lavoro spese in cantiere, si vedono recapitare da Banca Etica questa raccomandata: “Vi invitiamo a volerci rimborsare immediatamente, e comunque entro 8 giorni dal ricevimento della presente, il credito da noi vantato nei vostri confronti, ed ammontante a: 1.288.605,80 euro”. La banca si premurava di “valutare le modalità più opportune per la tutela delle nostre ragioni di credito”, e di provvedere, in caso di mancato pagamento, alla “Segnalazione in Centrale rischi della posizione di sofferenza”, con tutte le conseguenze per le famiglie coinvolte.

A pagare è il Comune di Ravenna. Alla fine Banca Etica è stata costretta a rivalersi sul comune di Ravenna, subentrato alla cooperativa: per il progetto, infatti, nessuno aveva presentato garanzie fidejussorie. D’altronde, lo stesso istituto di credito aveva cercato di trovare delle soluzioni, anche perché – considerato il tipo di progetto, destinato a famiglie non abbienti – agli autocostruttori non erano mai state  richieste garanzie personali a copertura del finanziamento. Comune e banca sono poi giunti a un accordo extragiudiziale affinché il primo paghi alla seconda 780mila euro. Per gli auto costruttori, però, l’incubo non è finito: alla cooperativa, infatti, è stata notificata la decadenza della concessione del cantiere e di quanto avevano costruito, passato in blocco nelle mani del Comune. Il quale, con stupore degli auto costruttori, farà terminare gli alloggi ad Acer (azienda case Emilia Romagna), per concederli in affitto con riscatto a persone in disagio economico. Certo, gli auto costruttori avranno la precedenza nelle future assegnazioni, ma la cifra per il riscatto delle abitazioni, che nel progetto del 2006 era di 85mila euro, è lievitata a 135mila. Infine, la beffa: nel 2013 gli autocostruttori hanno denunciato il comune di Ravenna, Banca Etica e Alisei ong come corresponsabili del fallimento del progetto. Il Comune, però, ha presentato una nota difensiva in cui controdenuncia le famiglie di Filetto chiedendo loro 3 milioni di euro, perché costretto a subentrare agli obblighi con la banca, e per recuperare le spese non preventivate di 1.200.000 euro, quantificate da Acer per terminare gli alloggi. Tra l’altro, le famiglie dovranno sostenere le spese di due distinti procedimenti, visto che quello contro il comune di Ravenna è stato affidato al Tar dell’Emilia Romagna, mentre quello contro Alisei ong e Banca Etica si svolge davanti al tribunale di Ravenna.

Autocostruzione, in Campania i costi sono raddoppiati (VIDEO)

Costi raddoppiati anche in Campania
diMARIA ELENA SCANDALIATO
VILLARICCA (NA) – Spostiamoci in Campania. Nel 2009 Regione Campania e Alisei coop, cooperativa sociale con sede a Todi e Napoli, presentano il progetto “Cantieri aperti”, che prevede 40 alloggi in autocostruzione a Villaricca e a Piedimonte Matese. La regione avrebbe anticipato 2.320.000 euro, di cui il 70% erogato a tasso zero dal Fondo della regione Campania, e il 30% da Banca Etica; cifra che, alla chiusura del cantiere, sarebbe stata restituita dalle famiglie attraverso un mutuo ventennale. A Villaricca sono previsti 25 alloggi, e le famiglie, riunite nella cooperativa “Il sogno”, iniziano a lavorare nel 2011. Ogni nucleo presta 16 ore di lavoro a settimana: tutto sotto la supervisione di Alisei coop, che attraverso i soldi della regione – erogati in tranche in base all’avanzamento dei lavori – provvede alle maestranze, all’architetto, all’acquisto dei materiali e alla direzione del cantiere.

Case incompiute. Anche a Villaricca, però, iniziano a sorgere i primi problemi. I lavori sarebbero dovuti terminare nel 2013, ma alla data prevista le case non sono pronte: “Tutto si è fermato senza motivo”, racconta Maria, autocostruttrice e madre sola di un ragazzino disabile. “Nel 2014 Alisei dichiarò chiuso il cantiere, ma le case erano inabitabili, e i soldi erano finiti”. Non solo. Stando alla sua ricostruzione, ben presto i soci de “Il Sogno” ricevono una lista con i debiti da saldare: ad oggi, le 25 famiglie devono sborsare 157mila euro, cifra che nulla ha a che vedere con il mutuo previsto dal progetto. “Ci era stato detto che le case sarebbero costate 92.800 euro a famiglia: non un soldo in più”, sottolinea. In effetti, nel bando di gara con cui Regione Campania selezionò Alisei è scritto che “il mutuo dovrà coprire al 100% i costi da sostenere”. In realtà, “per rendere abitabile la casa ho già speso migliaia di euro. E non avrei potuto fare altrimenti: quando hanno chiuso il cantiere abbiamo rischiato di vederci scattare il mutuo e di pagare contemporaneamente l’affitto delle case dove vivevamo, visto che quelle dove dovevamo entrare non erano abitabili”. Risultato: ogni famiglia si è fatta carico dei lavori, e la cooperativa ha richiesto lo slittamento del mutuo al gennaio 2017.

Famiglie abbandonate. “Nel mio caso, poi, si aggiungeva un altro problema. Mio figlio è tetraplegico, e per portarlo al secondo piano di casa, per un anno ho dovuto caricarmelo sulle spalle. Avevo bisogno di un ascensore, e quando posi la questione Alisei disse che avrei dovuto pagarmelo da sola, perché non era previsto. Eppure sapevano che mio figlio è disabile: non solo ho dovuto spendere di tasca mia 30mila euro per fare un ascensore esterno, lottando per avere i permessi, ma ho anche dovuto pagare i lavori per adeguare il bagno alla sua carrozzina”. Una vicenda incredibile, visto che nel bando per la selezione degli autocostruttori una quota di punteggio era assegnata proprio alle famiglie con disabili, che nel progetto di Villaricca sono due. 

Gestione dei lavori opaca. Difficile capire perché i finanziamenti siano finiti prima dei lavori. I soci de “Il Sogno” hanno chiesto più volte la documentazione contabile dei lavori, ma nessuno ha risposto. “Sui fornitori, poi, ci sono molte ombre”, sottolinea il padre di Maria. “Sono state scelte ditte più costose di altre. Ad esempio, la gru utilizzata in cantiere costò 40mila euro, per essere poi rivenduta a 2500. Oppure i pannelli: sono stati acquistati da Alisei a 28 euro l’uno, di seconda mano, e quando noi siamo andati a comprarli nuovi li abbiamo pagati 14 euro”.

Il ruolo di Banca Etica. Banca Etica, che avrebbe dovuto attestare l’andamento dei lavori per il rilascio delle tranche di finanziamento, assicura di aver inviato cinque o sei volte sul cantiere i suoi tecnici (nonché i dipendenti dell’istituto che avevano seguito la pratica), e che lo stesso direttore della filiale di Napoli ha incontrato gli auto costruttori in due assemblee: “In questo momento il mutuo è finito e frazionato e i soci sono nell’imminenza di andare a stipulare l’atto di assegnazione dell’alloggio e del relativo accollo del mutuo”, spiega l’istituto di credito. “Sono subentrate alcune criticità, perché questa attività di assegnazione e accollo è avvenuta in ritardo a causa di dissidi interni ai soci e per dissapori con il partner tecnico individuato dalla Regione Campania (che si chiama Alisei di Perugia che nulla ha a che fare con Ravenna). Il problema nasce perché fin qui i soci non hanno sostenuto alcuna spesa e dunque avranno un mutuo al 100%, salvo il versamento di 100 euro mensili per il pagamento degli interessi di preammortamento. Stiamo negoziando con la Regione Campania e la Coop l’allungamento del mutuo per recuperare le rate non pagate ad oggi. La Regione Campania crede molto nel progetto e sta facendo tutto il possibile per portarlo a una conclusione positiva, questo ci rende fiduciosi”.

Tutto fermo a Piedimonte. A Piedimonte Matese, dov’è in corso il secondo progetto, non è giunta eco dei problemi di Villaricca. Gli autocostruttori sono dodici, riuniti nella cooperativa “Fabiana”, e le case dovranno costare di 105mila euro. «Il cantiere avrebbe dovuto chiudere un anno fa», racconta Maria Fusco, presidente della cooperativa, «purtroppo, però, ci sono stati una serie di intoppi legati alla Regione, che non sta erogando i finanziamenti. Senza i soldi non possiamo ultimare i lavori, quindi siamo fermi”.

L’imbrogliata matassa tra coop, srl e ong
di MARIA ELENA SCANDALIATO
MILANO – A Villaricca ha operato Alisei coop – da non confondere con l’ong e l’srl – che nel frattempo ha avviato nuovi progetti, di cui uno vicino Ancona. A presiederla troviamo Carla Barbarella, ex eurodeputata del vecchio Pci. Il suo nome, però, non è sconosciuto alla ong di cui abbiamo parlato finora: sia Ottavio che Ruggero Tozzo – attuale presidente di Alisei ong – ci hanno confermato che nei primi anni Duemila Barbarella ne è stata vicepresidente, e socia fino al 2006. Difficile avere questa informazione nero su bianco, visto che Alisei non ci ha fornito i documenti con le cariche ufficiali, ma solo una sua nota nella quale ricostruisce la sua posizione sulla vicenda autocostruzione. Tuttavia, Barbarella nega calorosamente tutto: “Ho costituito la mia cooperativa nel 2001, e non sono mai stata vicepresidente di nulla. Ci è piaciuto il nome Alisei perché si richiama ai venti favorevoli; tutto qui”. Eppure, Alisei ong nasce nel 1998 dalla fusione di altre due no-profit Nuova Frontiera, di Milano, e Cidis onlus, di Perugia. Carla Barbarella, allora, era anche presidente di Cidis. E ancora: in un articolo di Italia Oggi del 2002, che presentava il primo progetto di autocostruzione in Umbria, Barbarella viene intervistata da Alessandra Oristano proprio in qualità di vicepresidente di Alisei ong: “Gli spazi di intervento per moltiplicare questa esperienza sono molto ampi”, spiegava allora l’ex eurodeputata. In effetti, l’esperienza sarebbe stata moltiplicata, con i risultati che abbiamo visto.

I precedenti in Umbria. Prendiamo Marsciano, uno dei progetti umbri di “Un tetto per tutti”, che Carla Barbarella aveva lanciato con entusiasmo nell’articolo di Italia Oggi. Qui erano previsti tredici alloggi da costruire in due anni, che sarebbero dovuti costare 67mila euro ciascuno. Le cose, anche qui, andarono diversamente: Summa srl (facente capo a Ottavio Tozzo), incaricata di gestire i lavori insieme agli autocostruttori, lasciò il cantiere incompiuto, e le famiglie alla fine si trovarono con il costo della casa raddoppiato, i fornitori da saldare e le abitazioni piene di difetti e infiltrazioni.

Le posizioni di Ottavio Tozzo e di Carla Barbarella. Ottavio Tozzo ci scrive che “se facessimo una forzatura meramente aritmetica, il successo in generale” dei progetti avviati sarebbe pari “all’80%”, e che il fallimento di alcuni cantieri è stato provocato dalla crisi economica e dell’edilizia, da una sottostima di tempi e risorse, dalla rigidità delle banche, da errori nella stipula delle convenzioni e dall’indisponibilità dei soggetti pubblici (su tutti Aler) a rivedere in corso d’opera costi, scadenze e altri fattori.

Su Villaricca, invece, Carla Barbarella difende con vigore la correttezza del suo operato: “L’operazione campana si è chiusa con 2.220 euro di spesa in più a socio, e solo perché hanno voluto mettere fare delle varianti”. Sui tempi di consegna, aggiunge: “Quella degli auto costruttori è piagnoneria. I lavori sono durati di più perché non hanno pagato nei tempi i preammortamenti con la banca. Lo stesso per il rogito: non sono ancora proprietari perché rifiutano di versare l’iva del 4% prevista per l’acquisto”. Idem, sull’architetto da pagare e sulle altre spese lasciate in capo alle famiglie: “L’architetto va pagato! Probabilmente non era stato fatto prima perché la banca ha preso dei soldi dal mutuo per spese che si erano rifiutati di affrontare”. E conclude: “L’operazione è stata un grande successo, si sono costruite delle case per una cifra assolutamente accettabile, che non ha superato i 95mila euro a socio”. A Napoli si piange con il topo in bocca…non mi aspettavo queste sceneggiate napoletane…In Umbria, dove abbiamo realizzato 97 case, è andato tutto liscio. Forse perché la gente era più matura”, aggiunge Barbarella, che forse non è stata messa al corrente dei problemi nel cantiere di Marsciano e delle lamentele degli autocostruttori umbri.

Risarcimenti e revoche. L’autocostruzione, per molti, si è rivelata un fallimento, e ha distrutto intere famiglie. Certo è che, pur essendo Alisei ong diversa dalla srl tecnicamente operative nei cantieri, il suo ruolo di promotore e garante delle iniziative è innegabile. E dire che la stessa ong, in questi anni, ha avuto qualche problema. Basterà ricordare l’indagine avviata dall’ufficio per la lotta anti frode (Olaf), che nel 2010 ha portato il tribunale della Comunità europea a condannare Alisei, in via definitiva, al risarcimento di 4.750.000 euro per somme indebitamente percepite. Inoltre, l’ong ha subìto la revoca definitiva di due contributi, da parte del Comitato direzionale per la cooperazione allo sviluppo: il primo per un progetto in Etiopia a favore dei bambini di Awasa, con recupero coattivo di 188.000 euro perché l’iniziativa non sarebbe stata avviata nei tempi previsti; il secondo per un progetto in Bolivia di fornitura di energia idraulica rinnovabile, con il recupero coattivo di 279.000 euro  per le “gravi criticità emerse”, tra cui “il mancato invio dei fondi in loco”, peraltro già erogati. Fatti che, probabilmente, hanno spinto il ministero degli Affari Esteri a revocare, nel gennaio 2015, l’idoneità concessa alla ong; revoca che però è stata sospesa dal Tar del Lazio nell’aprile scorso. In attesa di un giudizio di merito, in corso in questi giorni, Alisei è stata provvisoriamente riammessa nell’elenco delle ong idonee.  

*larepubblica

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