DIA: la mafia è cambiata, meno criminalità e più colletti bianchi

La DIA nella sua relazione al Parlamento sul secondo semestre del 2020 indica una metamorfosi delle mafie pronte a sfruttare le difficoltà finanziarie

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La DIA nella sua relazione al Parlamento sul secondo semestre del 2020 indica una metamorfosi delle mafie pronte a sfruttare le difficoltà finanziarie

Nella relazione della Dia relativa al secondo semestre 2020, appena consegnata al Parlamento, emerge come la criminalità organizzata sia cambiata.

Nell’anno della pandemia, le organizzazioni criminali sembrerebbero aver utilizzato differenti modalità di infiltrazione: “se al nord, mediante il riciclaggio, risulterebbe intaccata l’imprenditoria privata” al sud l’attenzione delle mafie si sarebbe rivolta “verso tutti i vantaggi offerti dai finanziamenti pubblici stanziati per la crescita”.

Cosa Nostra, Stidda, Camorra, ‘ndrangheta sono organizzazioni attive capaci di infiltrarsi ovunque grazie alle loro capacità imprenditoriali, dovute agli enormi capitali illeciti accumulati e alla collaborazione di imprenditori e colletti bianchi collusi.

Durante il perdurare dell’emergenza sanitaria, “la tendenza ad infiltrare in modo capillare il tessuto economico e sociale sano si sarebbe”, per gli investigatori della Dia, “ulteriormente evidenziata”. Si tratta infatti di “una strategia criminale che in un periodo di grave crisi offrirebbe alle organizzazioni l’occasione sia di poter rilevare a buon mercato imprese in difficoltà, sia di accaparrarsi le risorse pubbliche stanziate per fronteggiare l’emergenza sanitaria”.

Secondo la DIA le organizzazioni “potrebbero rivolgere le proprie attenzioni operative verso i fondi” stanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza “che giungeranno a breve grazie alle iniziative del Governo per assicurare un tempestivo sostegno economico in favore delle categorie più colpite dalle restrizioni rese necessarie dall’emergenza sanitaria”.

La Direzione Investigativa Antimafia evidenzia che le organizzazioni mafiose hanno accelerato il “processo di trasformazione e ‘sommersione’ già in atto da tempo, senza però rinunciare del tutto all’indispensabile radicamento sul territorio e a quella pressione intimidatoria che garantisce loro la riconoscibilità in termine di ‘potere’ criminale”.

A dimostrazione di questo cambiamento ci sono anche i dati: rispetto al secondo semestre del 2019 si registra da un lato il calo degli “omicidi di tipo mafioso” e delle “associazioni mafiose” (passati rispettivamente da 125 a 121 e da 80 a 41) e dall’altro un aumento dei delitti connessi con la gestione illecita dell’imprenditoria, le infiltrazioni nei settori produttivi e l’accaparramento di fondi pubblici. Gli episodi di corruzione e concussione sono passati da 20 a 27, l’induzione indebita a dare o promettere utilità da 9 a 16, il traffico di influenze illecite da 28 a 32, la turbata libertà degli incanti da 28 a 32.

L’ndrangheta resta “leader nel traffico internazionale di cocaina”, anche se “non appare più così monolitica ed impermeabile alla collaborazione con la giustizia”, ci sono state collaborazioni importanti da parte di affiliati e denunce di imprenditori e commercianti.

È considerata la ‘ndrangheta, la più ‘globalista’ delle mafie italiane tanto che negli anni si è stabilita in molti Paesi e a creare efficaci affinità con i produttori di stupefacenti dell’America Latina, così da poter essere considerata una “vera e propria holding criminale del narcotraffico”.

“La spregiudicata avidità della ‘ndrangheta non esita a sfruttare il reddito di cittadinanza nonostante la crisi economica che grava anche sul contesto sociale calabrese e benché l’organizzazione disponga di ingenti risorse finanziarie illecitamente accumulate”.

Il riferimento è una serie di inchieste che hanno visto diversi personaggi affiliati o contigui ai clan calabresi quali indebiti percettori del reddito di cittadinanza: coinvolti, in particolare, uomini delle famiglie Accorinti, Mannolo, Pesce, Bellocco. Nell’ambito dell’operazione Tantalo, ad esempio, i Carabinieri hanno deferito all’autorità giudiziaria di Locri 135 percettori irregolari di buoni spesa Covid, alcuni dei quali legati per vincoli di parentela e/o affinità a sodalizi del luogo e, circa la metà, residenti a San Luca.

I clan di Cosa nostra, non riuscendo a ricostruire la Cupola, hanno invece adottato “un coordinamento basato sulla condivisione delle linee di indirizzo e dalla ripartizione delle sfere di influenza tra esponenti di rilievo dei vari mandamenti, anche di province diverse”.

Nelle province di Palermo, Trapani e Agrigento Cosa nostra “resta egemone” e si registrano ripetuti tentativi di una “significativa rivitalizzazione” dei contatti con le famiglie all’estero: le indagini rivelano come i clan hanno “riaperto le porte ai cosiddetti ‘scappati’ – dicono gli analisti – o meglio, alle nuove generazioni di coloro i cui padri avevano dovuto trovare rifugio all’estero a seguito della guerra di mafia dei primi anni ottanta”.

Nell’area centro-orientale della Sicilia sono invece attive organizzazioni “più fluide e flessibili” che si affiancano ai clan storici. Tra queste, sottolinea la relazione della Dia, “un rilievo particolare è da attribuire alla ‘Stidda’, un’organizzazione inizialmente nata in contrapposizione a Cosa nostra ma che oggi tende a ricercare l’accordo con quest’ultima per la spartizione degli affari illeciti”.

Le indagini hanno anche evidenziato come alcune di queste organizzazioni hanno fatto “un salto di qualità” passando da gruppi dediti principalmente ai reati predatori a sodalizi “in grado di infiltrare il tessuto economico-imprenditoriale del nord Italia”.

Oltre ai “tradizionali” settori di interesse – usura, estorsioni, traffico di droga – le attenzioni delle organizzazioni si sono orientate sui settori del gioco d’azzardo e delle scommesse, anche grazie alle possibilità offerte dalla tecnologia: imprenditori riconducibili ai clan, dicono gli analisti, costituiscono società nei paradisi fiscali e creano così un circuito parallelo a quello legale che consente di ottenere non solo ampi guadagni ma anche di riciclare in maniera del tutto anonima enormi quantità di denaro.

Altro settore d’interesse, fino a qualche anno fa riservato agli ‘specialisti’ delle società cartiere e delle frodi carosello, è quello del contrabbando dei prodotti energetici poiché consente di immettere nel mercato prodotti ad un prezzo molto più basso di quello praticato dalle compagnie petrolifere.

Dai dati emergono sequestri alle organizzazioni criminali per un valore di 287 milioni e 441mila euro, tre volte di più di quanti ne sono stati sequestrati nei primi sei mesi dell’anno, quando i sequestri si fermarono a 88 milioni. Le confische sono più che triplicate: dai 42 milioni del primo semestre ai 181 del secondo.

Si creano così vere e proprie “sinergie tra mafie e colletti bianchi” con questi ultimi cui spetta il compito di curare le importazioni dei prodotti dell’est Europa e gestirne la distribuzione attraverso società create ad hoc attraverso le quali vengono riciclati i capitali messi a disposizione dalle organizzazioni. Sempre più spesso inoltre, spiega la DIA nella sua relazione, le mafie ricorrono a pagamenti in criptovalute: i bitcoin e, più recentemente, il ‘Monero’, che non consentono il tracciamento e sfuggono al monitoraggio bancario”.

La camorra ha strumentalizzato “a proprio vantaggio le gravi situazioni di disagio” dovute al “protrarsi dell’epidemia da Covid”. Nella relazione della DIA si afferma inoltre che l’organizzazione campana “resta per dinamiche e metodi un fenomeno macro-criminale dalla configurazione pulviscolare-conflittuale”. Le consorterie che operano sul territorio “sono tra loro autonome ed estremamente eterogenee per struttura, potenza, forme di radicamento, modalità operative e settori criminali ed economici di interesse”.

Queste peculiarità le “contraddistinguono dalle mafie organicamente gerarchizzate come cosa nostra siciliana e ne garantiscono la flessibilità, la propensione rigenerativa e la straordinaria capacità di espansione affaristica”. Una strategia volta a rimodulare “di volta in volta gli oscillanti rapporti di conflittualità, non belligeranza e alleanza in funzione di contingenti strategie volte a massimizzare i propri profitti fino ad arrivare, per i sodalizi più evoluti, alla costituzione di veri e propri cartelli e holding criminali.

Di qui anche il contenimento, in linea di massima, del numero degli omicidi di matrice camorristica il più delle volte ormai paradossalmente ascrivibili proprio a politiche di “prevenzione” e/o logiche di epurazione interna, finalizzate a preservare gli equilibri complessivi e a controllare ogni spinta centrifuga”.

Resta comunque “alto l’interesse della criminalità campana verso i settori più remunerativi tra i quali figura quello dei rifiuti. Inoltre, continua a trovare riscontro su più fronti l’ingerenza delle compagini malavitose nel mondo politico-amministrativo dell’intera regione”.

La Relazione sottolinea anche come vi sia la crescita di baby gang che, seppur sprovviste di background criminale, si rivelano “pericolose” per la pressione che esprimono sul territorio. È uno degli aspetti messi in luce nella relazione della Dia per quanto riguarda la realtà criminale in Campania. Accanto ai grandi sodalizi mafiosi operano “gruppi-satellite minori a composizione prevalentemente familiare e spesso referenti in loco dei primi e di baby-gang che non possiedono un background criminale di particolare consistenza e stabilità.

Queste “bande” si rivelano pericolose per la pressione che esprimono a livello locale pur di acquisire o conservare il controllo anche di limitati spazi territoriali, rendendosi spesso protagonisti di eclatanti forme di gangsterismo urbano (agguati, stese e caroselli armati)”.

La criminalità organizzata in Puglia sconta “improvvise rimodulazioni degli assetti gerarchici dei clan” e si registrano “efferate modalità con le quali sono stati compiuti agguati e gambizzazioni, episodi delittuosi che solitamente maturano in ambienti legati allo spaccio di sostanze stupefacenti”. Il contesto mafioso nella regione è dunque “in continua evoluzione” e le tensioni sono da ricondurre “non solo ai contrasti tra clan antagonisti ma anche a frizioni interne e talvolta anche a mutamenti repentini dei rapporti di alleanza”. In Puglia si evidenzia un “trend di crescita dei delitti di associazione di tipo mafioso espressivi sia delle tradizionali attività criminali del controllo del territorio, sia di quelle che denotano una vocazione affaristica e finalizzata al riciclaggio anche fuori regione”.

“L’esistenza di una multiforme varietà di sodalizi stranieri e di collegamenti con organizzazioni criminali all’estero soprattutto per il narcotraffico, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e la tratta di esseri umani, documenta come la criminalità transnazionale rappresenti una minaccia reale a fronte della quale appaiono necessari un approccio globale e una più ampia visione del fenomeno. In tal senso l’avviato percorso di cooperazione internazionale cui la dia partecipa anche attraverso una progettualità autonoma ha permesso di conseguire significativi risultati info-investigativi”.

Nella relazione della DIA si analizzano le varie consorterie straniere che operano in Italia “I criminali albanesi presenti su gran parte del territorio nazionale si esprimono attraverso diversi livelli di operatività. Alcuni agiscono in seno a piccoli gruppi anche multietnici per la commissione di reati contro il patrimonio. Di norma gli albanesi si occupano dell’approvvigionamento delle droghe che vengono poi cedute ai sodalizi autoctoni per la gestione dello spaccio”.

I gruppi cinesi “appaiono organizzati con una struttura chiusa e inaccessibile e solo occasionalmente si rileva la realizzazione di accordi funzionali con organizzazioni criminali italiane o la costituzione di piccoli sodalizi multietnici per la gestione della prostituzione, la commissione di reati finanziari e il traffico di rifiuti”.

I clan nigeriani sono attivi in Italia dagli anni ’80 e ad avere particolare rilievo sono i “cosiddetti secret cults le cui caratteristiche sono: l’organizzazione gerarchica, la struttura paramilitare, i riti di affiliazione, i codici di comportamento e in generale un modus agendi tale che la Corte di cassazione si è più volte espressa riconoscendone la tipica connotazione di “mafiosità”.

Infine la criminalità romena si manifesta sia in forma non organizzata, sia attraverso gruppi strutturati. “Costituiscono inoltre settori operativi consolidati delle consorterie la tratta di donne da avviare alla prostituzione, i reati informatici e i reati predatori. Tale criminalità risulterebbe attiva nel settore dell’intermediazione illecita e dello sfruttamento della manodopera in alcuni casi d’intesa con criminali italiani”.

Adduso Sebastiano

(le altre informazioni regionali le trovi anche su Vivicentro – Redazione Sicilia)

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