Dalle borse una scossa per l’Europa FRANCESCO MANACORDA*

Nei giorni in cui si discute dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea come di un’eventualità...

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Nei giorni in cui si discute dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea come di un’eventualità realistica e si infittiscono gli scambi di accuse tra Stati membri dell’Ue sulle rispettive banche, è una buona notizia che le due grandi Borse del continente siano in trattative avanzate per una fusione. Dall’unione tra la Borsa di Londra (che controlla anche quella milanese) e quella di Francoforte potrà nascere un colosso delle transazioni finanziarie, in grado di competere con i grandi mercati statunitensi e di coltivare anche aspirazioni di crescita fuori dal continente.  

È un bene, insomma, che mentre l’Europa politica dà segni di sbandamento e rischia la frammentazione, qualcosa si muova dal basso, dalla concretezza delle imprese che stanno sul mercato ogni giorno, dando così il segno che solo una prospettiva comune è quella che permette di competere; specie nell’epoca della globalizzazione. Creare un campione continentale nei mercati finanziari non è una semplice questione di orgoglio (inter)nazionale né un’esaltazione della proprietà europea: il principale singolo azionista del London Stock Exchange è il Qatar, mentre i soci della Deutsche Boerse sono per oltre un terzo investitori istituzionali Usa. 

Anche questi soci extraeuropei, come tutti, potrebbero ovviamente beneficiare di una possibile fusione, ma gli effetti più concreti si potrebbero avere proprio per le imprese europee che desiderano quotarsi e che potrebbero avere una Borsa più forte ed efficiente per raggiungere i capitali che cercano impiego sui mercati finanziari. Anche per questo incoraggiare le fusioni transnazionali potrebbe essere un compito utile per l’Unione europea, rinunciando magari talvolta ad eccessive preoccupazioni antimonopolistiche che hanno tradizionalmente animato Bruxelles.  

Se c’è da rallegrarsi perché in Europa qualcosa si muove, sebbene fuori dalle stanze ufficiali, la possibile fusione tra Londra e Francoforte deve spingerci però anche a una riflessione sul ruolo dell’Italia. Borsa Italiana è già stata assorbita – nel 2007 – dal London Stock Exchange, quando le banche nazionali che la controllavano decisero di aderire all’offerta britannica. Difficile dire, a nove anni di distanza, se questo sia stato un vantaggio o meno per lo sviluppo del mercato finanziario di casa nostra, anche perché nel frattempo le banche italiane hanno ridotto la loro presa sull’Lse decidendo di non muoversi assieme e cedendo parte delle quote che avevano in origine. Insomma, una proprietà italiana frammentata ha finito per contare poco nelle scelte strategiche della nuova Borsa.  

Un tema simile potrebbe riproporsi per le banche. Da Bruxelles, oltre ai paletti messi negli ultimi mesi dalla Commissione al governo italiano sul tema dei crediti deteriorati – la conseguenza è una soluzione insufficiente per risolvere il problema dei nostri istituti – arrivano adesso osservazioni «tecniche», come riporta oggi sul giornale il nostro corrispondente Marco Zatterin, che segnalano l’esistenza di rischi specifici, e maggiori della media, per il sistema bancario italiano.  

Premesso che ciascun Paese europeo ha i suoi problemi nel settore, esiste una specifica questione bancaria italiana? Difficile negarlo. La spinta del governo per rimuovere dal basso le incrostazioni di potere politico – partendo dalle banche popolari e da quelle di credito cooperativo – sta incontrando molte resistenze. E per quel che riguarda la presa della politica dall’alto, attraverso le Fondazioni, ci sono stati e ci sono atteggiamenti differenziati che si riflettono in qualche misura anche sull’andamento delle maggiori banche, da Intesa-Sanpaolo a Unicredit per finire con la situazione difficile di Mps. Il dato comune che rischia di accomunare le Bcc, le Popolari e alcuni grandi istituti, è il desiderio di alcuni azionisti di non cambiare nulla per non perdere presa e potere. Anche per questo frenano le aggregazioni bancarie. Ma in un mondo che – nelle banche come nelle Borse – si va concentrando, decidere di rimanere piccoli e soli non pare la scelta giusta.  

*lastampa

 
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