Notre Dame e quel viaggio da diciottenne

Notre Dame e quel viaggio da diciottenne quando la generazione easy-jet era ancora una chimera...

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Notre Dame e quel viaggio da diciottenne quando la generazione easy-jet era ancora una chimera . Breve autobiografia di un’esperienza parigina oggi più viva che mai.

All’improvviso nella stanza, la voce di mio padre risuonò severamente mettendomi in guardia:” ..e comunque, devi scegliere un solo regalo per il tuo diciottesimo compleanno, puoi avere la festa con gli amici o un mese a Parigi accompagnato dai tuoi cugini più grandi”. Sgranai gli occhi, il tempo di realizzare che Parigi era lì, ad un passo da me, ci separavano solo un tagliando di carta con su scritto Alitalia. Mi fiondai e ad alta voce dissi di sì, riptendolo più volte. Cosa me ne sarei fatto dell’ennesimo festeggiamento, dell’ennesima pizzata con gli amici? Sì ok, anche un party avrebbe avuto un suo perché, ma Parigi è Parigi. La ville lumière, il Lungo Senna, la Tour Eiffel. Quante icone, quanta Francia vista sui libri, studiata attraverso la sua difficile ma meravigliosa e musicale lingua. In ognuno di noi c’è un po’ di Francia, per adesione e piacere o magari anche per contrasto o opposizione, ma in qualche modo la Francia fa parte di te, di Noi.

La Francia è vicina, irrimediabilmente vicina e prima ancora che te ne accorgi, a qualsiasi età e a qualsiasi livello culturale e latitudine esistenziale, ti entra dentro. E’ il paese della cittadinanza, dei diritti umani, della Rivoluzione, degli chansonniers. Messo insieme tutto il riconoscibile che riportava la Francia alla mia mente, mi ritrovai a preparare la valigia per il mio primo vero lungo viaggio da maggiorenne.

L’attesa, il volo, Capodichino affollata come solo il primo agosto di un qualsiasi anno vacanziero sa essere e via. Due ore dopo ero nel centro d’Europa, del mondo o almeno nel mio centro del mondo. In un turbinio di emozioni e sensazioni sconosciute giorno dopo giorno scoprivo la capitale.
Les Champs Élysées, la Tour Eiffel, la basilica du Sacre Cour, l’elenco sarebbe francamente troppo lungo eppure mancava qualcosa, mancava ancora qualcosa. Era la visita di Notre Dame, della cattedrale mai vista sino a quel momento eppure familiare come la Chiesa del proprio quartiere di casa. Uno strano effetto avvolge i monumenti e le attrazioni viste e riviste in tv e sui libri. Fanno talmente tanto parte del tuo immaginario, del tuo vissuto interiore che quando li vivi realmente ti sembra di visitarli una seconda volta, ma in realtà è solo la prima di quelle tante volte in cui avresti già voluto vivere quell’esperienza tanto immaginata e sognata.
L’impatto fu severo, maestoso, medievale appunto. Nella sua oscurità e al tempo stesso leggerezza che la protrae verso il cielo, Notre Dame incute un certo timore reverenziale, una sorta di doveroso rispetto che si deve riconoscere alle grandi opere dell’uomo.

Notre Dame è simulacro di arte, storia, cultura, è il luogo dove nel 1804 è stato incoronato Napoleone imperatore dei francesi, è testimonianza delle radici cristiane dell’Europa che si scopre moderna.
Tutta quest’austerità, come per incanto, sembra essere controbilanciata dalle vetrate istoriate dai mille colori che ne affrescavano gli interni, dal quartiere esterno dove les bouquinistes (pittori ritrattisti ndr) in punta di affilata matita disegnano i volti delle migliaia di turisti che da sempre e per sempre affollano e affolleranno la zona e, non in ultimo, dal Gobbo Quasimodo, che lì, idealmente nella fantasia di intere generazioni, aveva trovato casa.

Questa è stata la mia esperienza Parigi, la mia esperienza Notre Dame, ed oggi, nel giorno del dolore e delle macerie, quando ancora le cause di tale disastro non sono state del tutto accertate, piange per l’ennesima volta il cuore dei francesi.
Piange il cuore degli europei, di chi almeno una volta ha vissuto, ha sognato, ha visitato di essere lì.

Tanto altro da aggiungere non c’è, anche perché come sentenziò il diplomatico e cancelliere austriaco Klemens von Metternich:” quando Parigi starnutisce tutta l’Europa ha il raffreddore”. Un raffreddore che speriamo passi presto, prima che evolva in qualcosa di ben più grave.

Vincenzo Inserra

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