Il mare Jonio della provincia di Messina inquinato da presumibili sversamenti

La legittima protesta documentata da parte di residenti e villeggianti. Verifica dei sindaci e incontro...

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La legittima protesta documentata da parte di residenti e villeggianti. Verifica dei sindaci e incontro di questi con il Prefetto di Messina.

Quest’esta estate sono stati molti i residenti e i villeggianti che hanno lamentato sui social e presso gli Enti locali, anche con documenti fotografici a seguito e in calce riportati, la presenza nella costa jonica messinese, da Taormina a Messina, di chiazze di inquinamento colore scuro o oleoso di presumibile e in alcuni casi evidente origine fecale.

Il grave problema sembra presentarsi soprattutto d’estate, ma non costantemente bensì dalle segnalazioni che si raccolgono, a settimane alterne. Come se qualcuno o qualcosa, raccogliesse questi liquidi in delle vasche per poi scaricarli magati durante la notte, o ancora che coincida con il passaggio regolare di grandi navi che ripuliscono rispettive cisterne oppure che questo inquinamento provenga da lontano e che delle cicliche correnti piuttosto regolari in questa zona di mare le riportino in prossimità del litorale jonico messinese.

Ovviamente è probabile che questo avvicendato inquinamento ci sia anche d’inverno e che si noti meno poiché non ci sono bagnanti. Una delle foto scattata durante una mareggiata mostra lampanti delle strisce di colore marrone che di certo non può essere che l’esito di sversamenti.

Il mare in generale è però limpido e pulito, lo dimostra un video effettuato proprio quest’esta estate in prossimità della battigia a Sant’Alessio Siculo e malgrado qualche giorno prima il mare fosse stato leggermente agitato, pertanto avesse smosso la sabbia del fondale in prossimità della battigia.

Va detto al riguardo che grazie pure ai social, attraverso cui i cittadini hanno fatto sentire la propria voce, alcuni sindaci si sono subito attivati per verificare eventuali perdite dai depuratori in cui più Enti locali confluiscono le loro acque di scarico.

Il sindaco di Sant’Alessio Siculo, noto centro turistico-balneare che può vantare un sistema fognario tra i più nuovi degli ultimi decenni, ha escluso qualsiasi perdita dal depuratore anche per l’attenzione e con notevoli spese che c’è verso quest’ultimo e per l’intero sistema di filtrazione delle acque nere e reflue nel paese.

Il sindaco di Furci Siculo con tanto di video pubblicato sulla sua pagina Facebbok ha documentato la sua presenza e controllo presso il depuratore consortile di Roccalumera in cui tutto si è risultato funzionante e a norma. Lo stesso ha fatto il sindaco di Santa Teresa di Riva che è la cittadina più popolosa della Riviera Jonica messinese e peraltro “bandiera blu” 2017 e 2018. il quale ha reso noto con un video sulla sua pagina di avere verificato personalmente il locale depuratore consortile senza nulla costatare di anomalo.

Anzi sempre il sindaco di Santa Teresa di Riva in una riunione con il Prefetto di Messina, presenti tutti i sindaci del comprensorio, in accordo con gli altri sindaci ha chiesto che si faccia un tavolo tecnico inerente la situazione del mare Jonio messinese. Il Prefetto ha dato disponibilità ad affrontare la questione insieme e in maniera sinergica per capire quali azioni intraprendere per evitare ogni anno nel periodo estivo quelle scie nauseabonde che rendono il locale mare invivibile. È un problema che va affrontato per la salute dei nostri concittadini oltre che per salvaguardare la risorsa più importante del nostro territorio che è il mare. È stato pertanto sollecitato un accertamento urgente delle origini di questo inquinamento. Il sindaco di Furci Siculo ha anche scritto un’espressa lettera al Prefetto di Messina chiedendo l’istituzione di un tavolo tecnico per affrontare il problema comprensoriale del mare sporco “e fare luce sulle cause

Peraltro la normativa in merito d’inquinamento è tra le più sanzionatorie.

L’articolo inserito dalla L. 22 maggio 2015, n. 68, che ha inserito l’intero Titolo VI-bis, a decorrere dal 29 maggio 2015, punisce con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: 1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna. Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.

La norma in esame punisce l’inquinamento ambientale, ovvero quelle condotte che, pur senza determinare un evento catastrofico dotato dei requisiti del disastro (ovvero vastità del fenomeno e messa in pericolo di un numero indeterminato di persone), siano comunque altamente lesive per il bene ambiente. Il bene giuridico ambiente descrive una nozione intermedia, mediante la punibilità sia per la mera lesione dell’equilibrio ambientale, sia qualora sia coinvolta la vita umana. Trattasi di reato di evento, a forma libera, integrato dall’abuso. Con abuso va inteso non solo l’assenza di qualsiasi titolo giustificativo, ma anche la presenza di un titolo scaduto o illegittimo. L’evento può essere causato sia da un’azione che da un’omissione, sotto forma di reato omissivo improprio. La norma richiede una compromissione o un deterioramento significativo e misurabile. Per compromissione va intesa una modificazione peggiorativa irreversibile, mentre il mero deterioramento indica invece un danno reversibile. Tale parificazione ha ricevuto aspre critiche, dato che accomuna dal punto di vista sanzionatorio un evento di danno e uno di pericolo per il medesimo bene giuridico. Ad ogni modo, la compromissione ed il deterioramento devono essere significativi (e quindi determinare un apprezzabile espansione dell’inquinamento) e misurabili (rimandando la norma ad una eventuale misurazione scientifica del danno. Viene richiesto il dolo generico, ovvero la volontà di compiere un abuso con la consapevolezza di poter determinare un inquinamento ambientale, motivo per cui è configurabile anche il mero dolo eventuale.

In materia di inquinamento ambientale la Suprema Corte è intervenuta innanzitutto per affermare che il delitto di inquinamento ambientale è reato di danno, integrato da un evento di danneggiamento che, nel caso del “deterioramento”, consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce oggetto in uno stato tale da diminuirne in modo apprezzabile, il valore o da impedirne anche parzialmente l’uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole, mentre, nel caso della “compromissione”, consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l’uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare, e ai fini del sequestro preventivo (nel caso di depuratori) è sufficiente accertare il deterioramento significativo o la compromissione come altamente probabili, desunti dalla natura e dalla durata nel tempo degli scarichi abusivi (Cass.Pen., sentenza n. 52436/2017); ai fini della configurabilità del reato di inquinamento ambientale non è richiesta una tendenziale irreversibilità del danno, e di conseguenza le condotte poste in essere successivamente all’iniziale deterioramento o compromissione del bene non costituiscono un “post factum” non punibile, ma integrano invece singoli atti di un’unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione, sino a quando la compromissione o il deterioramento diventano irreversibili, o comportano una delle conseguenze tipiche previste dal successivo reato di disastro ambientale.  In ultima analisi, conclude la Corte, “il deterioramento significativo può ritenersi altamente probabile, in considerazione della natura degli scarichi (provenienti da depuratori che non depurano, anzi le acque in uscita sono peggiori delle acque in entrata, come motivatamente accertato dal provvedimento impugnato), della durata degli stessi e dalle misurazioni delle materie inquinanti «notevolmente superiori ai limiti di cui alla tabella 3, allegato 5, del d. lgs. 152/2006” (Cass. Pen., n. 10515/2017). Nella sentenza n. 55510/2017 la Corte ha ribadito gli stessi concetti.

Neanche quindi la legislazione e la giurisprudenza sono teneri, e giustamente, con chi inquina e mette a repentaglio la salute pubblica e il godimento del bene comune e naturale. Ci si aspetta pertanto e con sollecitudine un’indagine sulle origini di questo ancora oscuro inquinamento del mare Jonio messinese, poiché tutto ciò compromette, pure e con notevoli danni, il turismo e quindi l’economia locale, l’immagine, l’ambiente, la flora e la fauna marina, nonché la salubrità di una bella Riviera e del suo mare in genere limpido, pulito e azzurro come pochi in Italia.

Le immagine sono proprie e qualcuna presa da Facebook.

Significato di “sversamento”: scarico accidentale o non autorizzato di liquami o detriti inquinanti, in mare o in terraferma.

Il termine “Calabrie” deriva dalla varietà del suo clima e dai diversi popoli antichi che l’abitavano. Persino quando fu costruita una strada tra la fine del ‘700 e inizio del’800, sotto il dominio Borbone e che attraversava l’intera regione, questa fu denominata “carrozzabile delle Calabrie” e la regione fu anche divisa in tre distinti territori di Cosenza, Reggio e Catanzaro. Oggi è notoriamente un’unica Regione divisa formalmente in più provincie (Catanzaro anche capoluogo regionale, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria che è anche Città Metropolitana e Vibo Valentia) con un sentimento popolare sempre più coeso che nel passato l’assenza di comunicazioni interna aveva invece accentuato.

Adduso Sebastiano

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