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RETROSCENA – De Laurentiischiama Giuntoli dopo Bergamo: sarà al San Paolo con la Roma

I dettagli del retroscena

La Repubblica riferisce che il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis ha voluto rapportarsi con il direttore sportivo Cristiano Giuntoli per farsi raccontare tutto dopo il ko rimediato dagli azzurri contro l’Atalanta, “l’autoesilio del presidente del Napoli ha ormai i giorni contati” perchè tornerà a seguire la squadra da vicino. Dopo quasi due mesi di assenza, infatti, De Laurentiis tornerà al San Paolo in occasione della sfida di sabato 15 ottobre contro la Roma.

Insigne, il Napoli vuole una nuova bandiera

Il talento azzurro è a caccia di riscatto

Secondo Il Mattino, Insigne che è considerato un punto fermo dal club azzurro, come ribadito più volte dal presidente De Laurentiis, deve, però, ancora definire il suo rinnovo contrattuale: il discorso è slittato dopo un primo contatto tra gli agenti e il presidente azzurro a luglio nel ritiro a Dimaro. Se ne riparlerà più avanti mentre in questa fase sono arrivati gli annunci dei rinnovi di Koulibaly e Albiol, dopo quelli precedenti di Callejon e Hamsik e sono in arrivo quelli di Hysaj, Mertens e Ghoulam. Trattativa ancora da mettere a punto quella del rinnovo di Insigne con relativo aumento economico e il punto di convergenza da trovare sulle nuove cifre. Ragionamento da allargare al progetto che legherà Lorenzo al Napoli del presente e del futuro: la volontà di base del club è di far diventare il napoletano una bandiera e quella di Insigne di diventare un simbolo negli anni della squadra della sua città. In questo momento la voglia di Insigne è solo di sbloccarsi al più presto e di segnare il primo gol stagionale con il Napoli: in questa sosta avrà modo di lavorare con Sarri e il preparatore atletico Sinatti.

Dalla Spagna – Callejon-Napoli, ultima stagione in azzurro

Lo riporta un giornale spagnolo

José Callejon, attaccante del Napoli, è tornato nella nazionale spagnola a due anni di distanza dall’ultima convocazione nel 2014, ed è sotto i riflettori della stampa iberica: i giornalisti di El Confidencial hanno riferito che in estate tanti club hanno contattato il presidente azzurro Aurelio De Laurentiis per chiedere informazioni su José Callejon, ma ogni offerta arrivata non raggiungeva i venti milioni di euro. Nel rinnovo contrattuale per quattro anni firmato dallo spagnolo, inoltre, sarebbe stata abbassata la clausola rescissoria da 32 a 23 milioni di euro. Chi è vicino al calciatore assicura che potrebbe essere l’ultima stagione in azzurro.

E De Laurentiis cosa pensa della sconfitta di Bergamo?

E De Laurentiis cosa pensa della sconfitta di Bergamo?

La Repubblica racconta di un presidente deluso e molto dispiaciuto, ma non infuriato. Ovviamente nessun commento sul match, rivisto in differita tv e a tarda notte: “Il presidente aveva voglia di capire, anche se per il momento non si precipiterà di corsa a Castel Volturno” per due motivi: a mente fredda il patron non ne sente l’esigenza, e poi gli tocca un altro viaggio di lavoro in direzione Londra. Con Maurizio Sarri contatti formali: “i due non si sentono da un po’ e l’amara trasferta di Bergamo non li aiuterà a riavvicinarsi”.

Napoli, ma che mi combini?

La sconfitta di Bergamo brucia…

Arriva a Bergamo contro l’Atalanta il primo stop stagionale del Napoli. Sul difficile campo della Dea, gli azzurri incappano in una brutta sconfitta, figlia forse più della stanchezza che di altri fattori. Il gol del giovane ariete bergamasco Petagna, accompagnato da un pizzico di fortuna, arriva subito dopo la bella e convincente vittoria in Champions contro il Benfica. Forse i troppi complimenti hanno ubriacato i calciatori partenopei, facendo sottovalutare la delicatezza dell’impegno in campionato. L’Atalanta si presenta in maniera ordinata, prudente e pronta a ripartire. Pronti via, il Napoli cerca di affondare con tiri da lontano e calci piazzati. Come spesso accade però, scampato il pericolo, gli avversari prendono coraggio. L’asse Gomez-Petagna funziona a meraviglia, con il “Papu” vera spina nel fianco di un Hjsai che quest’anno sembra non riuscire a prendere le misure dei suoi dirimpettai. Proprio i due attaccanti combinano a meraviglia, e un mezzo pasticcio tra Koulibaly e Ghoulam fornisce un assist involontario che Petagna deve solo scaraventare in rete.

La reazione del Napoli però non è veemente come ci si aspetterebbe. Le gambe sembrano pesanti, le ali sono scariche, e il gioco solitamente fluido e mnemonico ne risente parecchio. Sarri preferisce non dare una scossa, magari cambiando subito qualcosa nel modulo. Evidentemente se ne pentirà, se in conferenza stampa avrà da recriminare sul modulo impiegato. Il primo tempo finisce con qualche nervosismo e sterili manovre spesso interrotte dagli interditori bergamaschi. Il secondo tempo si apre senza grandi sussulti. Gli attaccanti azzurri sono sistematicamente anticipati, e i lanci lunghi, non una specialità della casa, si susseguono sempre più frequenti. Nemmeno l’ingresso di Gabbiadini nel finale, schierato stavolta accanto a Milik, riesce a creare pericoli nell’area atalantina. Il gigante polacco ha pochissime occasioni per mostrare le sue doti, anche perché si gioca troppo lontano dalla porta di Berisha. Sarri si sbraccia, cerca soluzioni che però non arrivano. Fatto sta che gli azzurri rischiano più volte di capitolare, non ultimo su un coast to coast dell’ex mai troppo rimpianto Grassi, che però arriva esausto davanti a Reina che lo ipnotizza.

Non ce la sentiamo di parlare di forcing finale, perché il Napoli non riesce mai ad imbastire un vero assalto all’arma bianca, per strappare un pareggio che a dire il vero sarebbe stato ingiusto. Arriva così la prima sconfitta in campionato, che sancisce, se mai ce ne fosse bisogno, la difficoltà di portare avanti il discorso Champions parallelamente a quello del campionato. Imparare ad alternare i giocatori, facendoli girare in maniera costante, dovrà essere la sfida del prossimo futuro. I punti guadagnati in trasferta sono i più preziosi, fanno morale e fanno si che gli avversari ti temano. Qualcuno la chiama maturità, altri saper gestire la rosa. Qualcuno tira in ballo la mentalità. Quel che è certo, è che bisogna ripartire da questi errori, non nuovi per questa squadra, e sapervi porre rimedio. Altrimenti, riuscire a stare dietro a certi ritmi, sarà davvero difficile.

a cura di Fabiano Malacario

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“Regolarmente Lancia 2016” – Montoro (AV) VIDEO on the road!!!

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Il raduno automobilistico organizzato da MITO Delta Club con il presidente Antonio Amabile, riservato ai modelli Lancia Delta Integrale e vetture Lancia costruite entro gli anni 70, ha richiamato numerosi equipaggi giunti da varie parti della Campania, della Basilicata, Sicilia, Calabria, Abruzzo, Lazio…
Grande l’accoglienza della città di Montoro e di tutta l’amministrazione.

Ecco il VIDEO della stupenda manifestazione a cura di Carmine Matrone:

Mani In Tasca (Mauro Lo Piano)

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L’espressione Mani pulite indica una serie di inchieste giudiziarie iniziate negli anni novanta in Italia, caratterizzate da numerose indagini giudiziarie condotte a livello Nazionale nei confronti di esponenti della Politica, dell’Economia e delle Istituzioni italiane. Le inchieste portarono alla luce un sistema di corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti, ai livelli più alti del mondo politico e finanziario italiano.
cipputi portafoglioCon tangentopoli, i processi iniziarono a fare scalpore, divennero mediatici, furono gli anni di “Mani Pulite”. Poi col passare del tempo molti Magistrati divennero famosi, tale notorieta’ li porto’ a “lavorare” piu’ con la Stampa che con i loro incartamenti giudiziari;
Quel periodo sara’ ricordato negli annali giudiziari come una delle piu’ controverse pagine della nostra Democrazia.

Protagonista indiscusso di innumerevoli processi mediatici, trasmissioni televisive, interviste, Di Pietro rappresento’ uno dei piu’ importanti matador della Giustizia italiana, una specie di giustiziere della politica corrotta italiana un Charles Bronson reale, punto di riferimento per tanti giovani che avevano trovato in lui, la luce della legalita’.

La corruzione esiste e’ sempre esistita ed esistera’ sempre, il mondo politico ne porta la bandiera, continua ad essere un mondo di corruzione, il facile arricchimento, la bella vita piaceva a tutti diversi furono i suicidi che si ebbero in quel periodo.
La cosa che piu’ passo’ inosservata fu che molti Giudici spararono nel mucchio, molti di coloro che vennero portati in carcere con troppa fretta, furono a distanza di anni completamente scagionati da ogni accusa. Solo che una ferita simile per un innocente non si potra’ mai cicatrizzare, si formano nella psiche solchi cosi’ profondi, che non potranno essere mai colmati.
Quando si distrugge l’immagine di un uomo, e’ come averlo ucciso nell’anima, nessun risarcimento potra’ compensare tutti i giorni, i mesi, gli anni passati in carcere senza uno straccio di prova a suo carico.

Per un Magistrato e’ facile spiccare un mandato di cattura, tanto se sbaglia lo ha fatto in buona fede, chi sbaglia non paga. Sulle manette facili, perche’ un Cittadino sia piu’ cautelato, bisognerebbe andarci con i ” piedi di piombo”

A distanza di quasi 24 anni, uno dei Magistrati che tenne banco con le sue arringhe sempre moraliste nelle aule dei Tribunali di Milano, e di tutt’Italia, e’ stato condannato al termine di una serie di ricorsi, dal Tribunale di Roma a pagare 2.5 milioni e mezzo di euro al Movimento dei  Riformisti di Achille Occhetto e Giulietto Chiesa.
Sto parlando di Michele Di Pietro, l’ex magistrato si sarebbe indebitamente appropriato nel 2004, tramite un’associazione parallela al suo partito, di ingenti somme di denaro, parte dei quali erano finanziamenti pubblici, che sarebbero dovuti andare al Gruppo politico “Il Cantiere”.
Dulcis in fundo :
Il Cantiere, questo e’ il nome del gruppo politico del quale faceva parte anche il giornalista Elio Feltri, avrebbe dovuto incassare piu’ di 5 milioni di euro, ma non ne percepi’ nemmeno un centesimo di quei fondi pubblici.
Indovina Indovinello :
Da chi furono incassato quel bel tesoretto? dall’associazione ‘Italia dei Valori”, composta dallo stesso Di Pietro, sua moglie Susanna Mazzoleni, e la tesoriera Silvana Mura. Quando i componenti di una presunta banda di malfattori sono pi’ di due si puo’ parlare di associazione a delinquere di stampo economico.
E non finisce qui ;
La Camera ha sborsato finanziamenti ad un soggetto giuridico che non aveva per Legge i titoli per incassarli, poiche’ in quel periodo Di Pietro non era segretario di nessun partito, ne’ di un movimento politico. Di Pietro, fu eletto eurodeputato insieme a Chiesa in un momento successivo, quindi dovra’ risarcire in quanto essendo socio del sodalizio a 3 (Di Pietro, Mazzoleni, Mura), del 50% delle somme incassate cioe’ 2.5 milioni di euro, mentre l’altra meta’ la deve restituire personalmente alla Camera.
Questa volta i ruoli si sono invertiti, un Ex magistrato di Mani pulite preso con le mani nel sacco, in questo caso si puo’ parlare di mani in tasca. Il periodo dei primi anni 90 lo si puo’ paragonare a quello dell’inquisizione, si arrestavano le persone senza un barlume di prove, l’importante era che il tintinnio delle manette degli arrestati  facessero scalpore sui giornali di Mezzo Mondo, Fu il protagonista indiscusso di innumerevoli trasmissioni televisive, poi diventato segretario di un Partito che aveva un ruolo importqnte nel firmamento politico, la sua arroganza; prepotenza sfrontatezza nell’apostrofare gli altri lo ha portato in virtu’ della condanna di ieri dalle ”stelle alle stalle”

Gli studenti italiani in Cina maggiori di quelli che vanno in USA

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La Cina piace sempre di più agli studenti italiani che la scelgono come meta per fare un’esperienza universitaria. Nel 2015 i ragazzi partiti per il Paese asiatico hanno superato quelli che sono andati negli Stati Uniti. Secondo gli esperti, la formazione ricevuta in Cina è inferiore a quella made in Usa, ma le chance lavorative risultano maggiori.

Gli studenti italiani trovano l’America in Cina

Pechino supera gli Usa come meta universitaria . Gli esperti: formazione inferiore, ma più chance lavorative

TORINO – Trovano lavoro più facilmente dei loro colleghi (il 78,2% ha un’occupazione a un anno dalla laurea, mentre la media si ferma al 70,4%) e hanno stipendi più sostanziosi (1386 euro netti contro 1132, calcola AlmaLaurea). Gli esperti li descrivono «pragmatici» e attenti a ritagliarsi un posto nel mondo che cambia, e si sposta a Est. Chi sono? Gli italiani che decidono di svolgere un’esperienza di studio in Cina. E quanti sono? Sempre di più. Se solo 5 anni fa – secondo i dati dell’ambasciata della Repubblica Popolare in Italia – erano 3516, quest’anno sono circa 5600. E, sorpresa, se l’Europa – con Spagna, Francia e Germania – continua a occupare il podio delle mete preferite dagli universitari italiani, la Cina ha però scalzato gli Stati Uniti, diventando il primo Paese extraeuropeo di destinazione.

Crescita costante 

Da un decennio il numero di studenti internazionali in Cina (la maggioranza arriva dall’Asia, seguono Europa e Africa) cresce al ritmo di un +10%, seppure con un rallentamento negli ultimi due anni. Nel 2015 – calcola il ministero dell’Istruzione cinese – erano 397.635 (e un milione circa i cinesi che hanno fatto il viaggio inverso). Terza destinazione universitaria globale dopo Usa e Regno Unito, la Cina, con l’obiettivo fissato di 500 mila presenze nel 2020, mira a superare Londra, complice anche la Brexit.

«Oggi la Cina non è più un mondo altro – commenta Marina Timoteo, direttore di AlmaLaurea e dell’Istituto Confucio presso l’Università di Bologna – ma un attore sempre più integrato a livello globale nei flussi di mobilità degli studenti stranieri. Una spinta notevole, poi, viene dagli Istituti Confucio». Sono centri di lingua e cultura cinese creati e controllati dalla Repubblica Popolare che diffondono conoscenza sul Paese ed erogano borse di studio: sono 500 nel mondo, 12 in Italia, il primo proprio dieci anni fa, quando la Cina – a livello universitario – ancora non insidiava i «concorrenti». Nel 2005 gli italiani con in tasca una laurea e un’esperienza all’estero erano il 7,9%, tra loro lo 0,9% a Pechino (il 2,3% negli Stati Uniti): nel 2015 il, seppur lieve, sorpasso, con gli Usa al 2,8% e la Cina al 2,9. Gli italiani che decidono di fare un’esperienza in Cina provengono principalmente da lauree triennali (69%) e studi linguistici (71%), e sono donne (71%, dati AlmaLaurea).

Ma perché studiare in Cina? Una scelta pragmatica, concordano gli esperti. «Le università cinesi non possono ancora competere con quelle occidentali, basta pensare che i figli degli accademici cinesi vanno a studiare all’estero – spiegaGiovanni Andornino, docente di Relazioni internazionali dell’Asia Orientale all’Università di Torino e coordinatore di TOChina, unità di lavoro sulla Cina attiva presso l’ateneo -, ma stanno salendo negli indici internazionali. Si candidano ad essere attori importanti per le prossime generazioni, soprattutto in settori come architettura e tecnologia. Se si guarda al mondo del lavoro, la Cina è fra i Paesi che offrono più opportunità: è un pezzo importante del futuro e i ragazzi vogliono parteciparvi».

Una scelta impegnativa, sottolinea Andornino, «perché non è un Paese semplice,sia dal punto di vista politico, visto che tutto è sottoposto a uno stretto controllo, sia ambientale, per i problemi di inquinamento. Ma in futuro ci sarà più domanda di Italia in Cina, da qui la scelta di questi ragazzi». Che, per lavorare in o con la Cina, devono impararne lingua e cultura. Come ha fatto Kavinda Navaratne, project manager di TOChina che ha alle spalle due esperienze a Pechino e Hangzhou: «Un programma di scambio con casa pagata e contributo spese. E alla fine la laurea nei due Paesi».

Circa 40 mila studenti stranieri in Cina (erano 8500 nel 2006) ricevono borse di studio dal governo (a cui vanno aggiunte quelle delle università o degli Istituti Confucio), che lavora per migliorare servizi e offrire corsi in inglese. Sforzi e investimenti per ritagliarsi un nuovo ruolo da protagonista rispetto all’Occidente.

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lastampa/Gli studenti italiani trovano l’America in Cina ELISABETTA PAGANI

Gentiloni: “Sui migranti l’Europa va a sbattere”

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All’indomani del referendum fallito in Ungheria sulle quote dei migranti, abbiamo intervistato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che mette in guardia l’Europa: “Se non fa rispettare gli accordi presi dagli Stati va a sbattere”. Per Gentiloni “la politica Ue sembra succube dei veti: sull’economia è fiscale, ma poi lascia fare quello che si vuole sui rifugiati”.

Gentiloni: “Sui migranti l’Europa va a sbattere se non fa rispettare gli accordi presi”

Il Ministro degli Esteri: sull’economia è fiscale e poi lascia fare quello che si vuole sui rifugiati

ROMA – «Se l’Unione europea resta ferma al dogma dei decimali in economia e all’idea che ciascun Paese fa quel che vuole sul tema migratorio, va a sbattere». Lo ripete più volte il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ragionando del futuro dell’Europa all’indomani del referendum ungherese.

In Ungheria non c’è il quorum, ma in 3 milioni hanno votato no ai migranti. Come vanno interpretati questi due dati?  

«Il voto in sé non è stato il plebiscito cercato, per cui è una sconfitta per chi l’aveva promosso. Purtroppo, però, dire che questo significhi una svolta nella politica migratoria europea sarebbe un’illusione».

Se l’Ungheria insistesse a rifiutare di accogliere 1300 migranti sarebbe giusto infliggerle una sanzione?  

«Io non posso credere che la Ue, così arcigna sui decimali di bilancio nonostante sia evidente la necessità di dare impulso alla crescita economica, sia invece comprensiva verso Paesi riluttanti ad applicare le decisioni sui migranti o addirittura tollerante verso chi alza muri».

Si usano due pesi e due misure a seconda che si parli di economia o migranti?  

«È come se ci fosse una specie di licenza di infrangere le regole per quanto riguarda la questione migratoria».

Infatti il ricollocamento dei migranti non è stato fatto se non in minima parte…  

«La politica europea sembra succube di veti vari e rischia di essere immobile, in attesa della prossima tragedia. A inizio anno l’Italia ha proposto il Migration compact, a giugno la Commissione l’ha fatto proprio: dopo 4 mesi non solo la parte operativa è ferma – le intese con 5 Paesi africani – ma addirittura lo stanziamento, seppur modesto, di 500 milioni di euro chiesto dalla Commissione, è stato bloccato».

Si fanno addirittura passi indietro?  

«Speriamo che quei soldi siano sbloccati al più presto, ma ho l’impressione che in Europa si consideri la questione migratoria come nata nel luglio 2015 e risolta a marzo con l’accordo con la Turchia. Mentre è iniziata da anni e durerà ancora anni, e lo stesso accordo con la Turchia va continuamente mantenuto: per ora regge, ma con qualche incrinatura».

Noi sappiamo quanto la crisi migratoria sia antica: ieri era l’anniversario del naufragio del 3 ottobre 2013. Cosa è cambiato da allora nell’approccio europeo? 

«Qualcosa dal punto di vista della condivisione dell’attività di soccorso in mare, ma pochissimo da quello dell’accoglienza comune».

Sperate nella rifondazione di una nuova Unione entro l’anniversario del Trattato di Roma di marzo?

«A Roma ricorderemo che, senza Unione, l’Europa rischia l’irrilevanza nel mondo globale. Ma l’Ue non può vivere in attesa di un anniversario: servono subito rimedi concreti».

Quel che arriverà di certo sono i negoziati sulla Brexit: saranno avviati a marzo, fa sapere la premier Theresa May… 

«È positivo che finalmente Londra abbia indicato i tempi. La signora May ha lasciato intendere che si tratterà di una sostanziale uscita dal mercato unico, per cui bisognerà definire nuove relazioni tariffarie e commerciali, non semplicemente dare un’aggiustatina. Ci vorrà un atteggiamento equilibrato, non pregiudizialmente ostile, sapendo che ci vorranno anni di negoziato».

Uscita dal mercato unico significa anche no alla libera circolazione delle persone? Per gli italiani vivere e lavorare a Londra diventerà difficile?  

«Certamente non avranno problemi gli italiani che sono già nel Regno Unito. Per il futuro, i britannici invocano sempre il principio di reciprocità. Giusto. Ma siccome hanno bisogno di un’unione doganale, non credo possano limitare più di tanto la circolazione dei cittadini Ue».

Ministro, allargando il fuoco al Mediterraneo: cosa significa per l’Italia prendersi un ruolo da pivot in quell’area, per usare un termine usato da lei?  

«Era un modo per richiamare la centralità di un’area decisiva per i nostri interessi nazionali, come ha scritto domenica nel suo editoriale Molinari su “La Stampa”. Siamo riusciti a riportare il Mediterraneo in cima all’agenda di Ue e Nato: fino a due anni fa si parlava quasi solo di Ucraina. Guidiamo con gli Usa il tavolo libico e svolgiamo un ruolo chiave in quello siriano; promuoviamo un’agenda positiva sulle opportunità economiche, in una regione in cui siamo al quarto posto negli scambi dopo Usa, Cina e Germania. In prospettiva, si tratta di ricostruire le basi di coesistenza e reciproco riconoscimento tra attori della regione: ne parleremo tra due mesi a Roma nella seconda edizione di Med Dialogues».

La regione significa anche Siria: siamo a un passo dalla rottura tra Usa e Russia?  

«Noi siamo stati tra i primi a considerare la presenza russa in Siria come un’opportunità, una leva per indurre il regime siriano a passare dalle bombe al negoziato. Ora c’è il rischio che il tavolo russo-americano salti: per evitarlo, serve da Mosca l’impegno chiaro, non teorico, di fermare l’offensiva di Assad ad Aleppo».

In Libia invece sembra che non si riesca mai a sradicare Isis…  

«È vero che restano sacche di resistenza, ma, in poco più di due mesi, l’offensiva delle forze che appoggiano il governo Sarraj, anche a costo di numerose perdite ha molto ridotto la presenza di Daesh (Isis in arabo, ndr.): a Sirte si parla di un paio di caseggiati».

A proposito di Libia: ci sono novità dei connazionali rapiti a Ghat?  

«Lasciamo lavorare i nostri apparati e le forze di sicurezza».

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lastampa/Gentiloni: “Sui migranti l’Europa va a sbattere se non fa rispettare gli accordi presi” FRANCESCA SCHIANCHI

Il progetto per salvare tre banche potrebbe ricadere sui conti pubblici

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Secondo Stefano Lepri il progetto del Tesoro che sta lavorando per completare il salvataggio delle quattro banche finite nella bufera nel 2015, potrebbe avere delle ricadute sui conti pubblici mentre invece, per il governo si tratta di un piano che “non può fallire”. Sull’operazione messa in moto dal Tesoro per salvare tre banche in difficoltà, è scoppiato un braccio di ferro con la Bce. L’istituto lombardo chiede un intervento deciso del governo per sbloccare i fondi, ma la partita appare complessa.

Le spine della soluzione europea

Sorreggere le banche con soldi pubblici non piace a nessuno. Però al punto in cui siamo c’è il rischio che quei costi ci ricadano addosso lo stesso, sia come depositanti sia come debitori. La strada scelta finora dal governo italiano, chiamare le banche sane a farsi carico di quelle malate, presenta sempre più ostacoli. Data l’impopolarità condivisa da politici e banchieri, sarebbe meglio se si riuscisse a percorrerla. Anche riuscendoci, tuttavia, potremmo essere costretti a tenerci per anni un sistema creditizio appesantito, costoso per i suoi clienti famiglie o imprese che siano, poco dinamico nel rispondere ai nuovi bisogni dell’economia. Ne vale la pena?

La contemporanea crisi della Deutsche Bank può segnare una svolta. Da una parte, innervosendo i mercati rende più difficile rastrellare risorse private per gli aumenti di capitali necessari a molti istituti nostri. Dall’altra, impone una evidenza anche alla Germania che finora la negava: le questioni bancarie nell’area euro costituiscono un problema politico ancora irrisolto.

Proprio nel momento in cui il ritorno di poteri alle nazioni viene da alcuni presentato come rimedio alla crisi, vediamo invece tutta la fragilità di poteri rimasti tenacemente nazionali, come quasi sempre quelli che controllano le banche. La Vigilanza comune europea operante da due anni scopre forse più in fretta le cattive gestioni, ma non esistono strumenti collettivi per porvi rimedio.

Troppo presto si è dichiarato chiuso il processo di risanamento seguito alla grande crisi. Anche Berlino ora deve riflettere se non sia stata prematura la direttiva europea sui salvataggi bancari (Brrd) che impone perdite ai creditori delle banche prima di autorizzare un intervento pubblico. La Deutsche di obbligazioni ne ha in giro per 140 miliardi, altro che i 5 del Montepaschi.

Le difficoltà non riguardano solo i Paesi deboli. Per tutti le nuove tecnologie significano sportelli e personale in eccesso rispetto ai servizi da fornire alla clientela comune. In più la Deutsche è ancora troppo impegnata in quei settori speculativi che dopo la crisi dovevano essere ridimensionati, e non lo sono stati abbastanza.

Le banche hanno sbagliato, peggio per loro, se la cavino da sole, si potrebbe ribattere. Ma non è soltanto questione di tenerle in piedi. C’è un problema politico di stabilità dell’area euro che è stato eluso finora proprio per proteggere gli assetti di potere esistenti. Ovvero: una unione monetaria può essere stabile solo se in essa operano molte banche transnazionali.

Tra il 2010 e il 2011 crisi da bolla finanziaria come quelle dell’Irlanda o della Spagna (Paesi che avevano i conti pubblici in ordine, lo si ricordi) furono scatenate dal rientro massiccio e precipitoso dei capitali nei Paesi di appartenenza. L’unione bancaria intrapresa dal 2012 in poi offre solo una cornice per costruire un sistema che non soffra di questa debolezza.

Oggi alcuni Paesi, come la Francia, possono ritenere che le loro banche siano al riparo. Negli altri un uso del denaro pubblico è altamente impopolare. Un intervento collettivo con capitali dell’Esm, il meccanismo di stabilità dell’area euro, sarebbe invece nell’interesse di tutti se sorretto da un progetto che agevoli ristrutturazioni e fusioni al di là dei confini.

Di questo avremmo bisogno. La situazione politica non è propizia. I banchieri italiani possono continuare a dare la colpa agli organismi europei troppo severi, i banchieri tedeschi ai tassi bassi della Bce di Mario Draghi. Se si continua così, occorre avvertire che sui cittadini potrebbero ricadere in futuro costi più alti.

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ESCLUSIVA – Morris Molinari: Juve Stabia squadra di qualità e con un ottimo tecnico. Sarò per sempre un tifoso delle Vespe

ESCLUSIVA – Molinari: Juve Stabia squadra di qualità e con un ottimo tecnico. Vi svelo i momenti più emozionanti di quei magici play off..

La nostra redazione ha avuto il piacere di parlare con Morris Molinari, colonna della Juve Stabia che volò in Serie B superando l’Atletico Roma. Il legame tra Molinari ed i colori gialloblù non si è mai interrotto.

1) Morris innanzitutto segui la Lega Pro? La Juve Stabia sembra davvero essere partita col piede giusto. Sì, seguo la lega Pro e soprattutto le Vespe. La squadra è già brillante e sa quello che vuole, merito dell’ottimo lavoro svolto da allenatore e direttore sportivo. Fare una buona partenza è importante, ma non fondamentale, quindi sarà importante tenere i piedi sempre ben saldi a terra.

2) La grande novità rispetto agli anni scorsi sono forse i centrali difensivi più esperti e meno giovani. Tu sei stato il difensore forse più importante della storia gialloblu, conosci Federico Amenta e Santiago Morero? Sì, sono calciatori che conosco bene. Credo che a volte si sottovaluti quel ruolo del difensore centrale; le basi di una squadra partono proprio da lì assieme al portiere, quindi un pizzico di esperienza in più fa sempre bene. Loro sono i giocatori giusti e credo sia stata fatta un’ottima scelta.

3) Nuovo corso del Presidente Manniello è anche la scelta di puntare su allenatori giovani, magari con un pizzico di esperienza in meno dei colleghi, ma con tanto entusiasmo. Pancaro e Savini due stagioni fa, e quest’anno Fontana. Sei d’accordo con questa scelta o pensi che un allenatore con tanti anni di esperienza possa dare qualcosa in più? Chi va sull’esperienza sa di rischiare meno cogliendo subito buoni risultati, come in effetti è stato con Braglia. Ci sono allenatori giovani che possono portare idee nuove andando a stimolare la squadra in modo diverso. Questo può essere positivo, ma allo stesso tempo rischioso. Conosco Fontana e credo che abbia subito un grave torto con la squalifica. Spero possa recuperare al più presto il tempo perso.

4) La nuova riforma della Lega Pro ha profondamente cambiato la struttura dei play off, rendendo gli spareggi un vero campionato a parte. Secondo te le Vespe possono ambire alla promozione diretta o è troppo sperare in un risultato simile? Negli ultimi anni abbiamo visto Frosinone, Carpi e Crotone arrivare in Serie A e siamo rimasti tutti stupiti. Gli unici a non stupirsi forse sono stati proprio loro poichè avevano programmato tutto questo. Certo poi hanno avuto palesi difficoltà nell’affrontare realtà più strutturate ma intanto ci sono arrivati. Questo significa che se si lavora in un certo modo si può ottenere tutto ma bisogna crescere in ogni settore, non solo quello che riguarda il campo. Esaltarsi al punto giusto per le vittorie e deprimersi il giusto per le sconfitte. Ci vuole equilibrio, anche da parte dell’ambiente.

5) Tornando alla tua esperienza alla Juve Stabia, al tuo arrivo ti saresti aspettato la nascita di un rapporto così profondo e duraturo con i tifosi Stabiesi? Arrivai a Castellammare non più giovane. Mi ero promesso che prima di smettere avrei voluto giocare in Campania visto che non lo avevo mai fatto; mi incuriosiva l’ambiente. Avevo altre offerte, ma scelsi subito la Juve Stabia e dal primo giorno capii di aver fatto la scelta giusta.

6) Pochi giorni fa il tuo ex compagno, Giorgio Corona, ci ha confidato che il suo ricordo più toccante del 19/6/11 sono le parole di Manniello “Giorgio sei una bella persona” e la sua risposta “Presidente siamo una bella famiglia”. Tu se pensi a quel giorno ti ritrovi in mente il tuo gol o qualcosa di diverso? Mi torna in mente il momento in cui entrammo nello stadio di Castellammare la sera della vittoria contro l’Atletico Roma; fu incredibile vedere il Menti pieno di tifosi festanti. Ancora, ricordo con emozione la lettera, che Cazzola lesse nello spogliatoio, di un tifoso che ci spiegava la situazione di Fincantieri alla vigilia dei play off e ci spingeva a dare il massimo. Anzi non ho mai avuto modo di ringraziarlo per quella lettera e colgo l’occasione per farlo ora.

7) La forza della tua Juve Stabia probabilmente era il gruppo, amici prima ancora che compagni. Ci sono ragazzi con i quali ti senti ancora e con cui il legame non si è mai interrotto? Certo, mi sento con diversi miei compagni. Alla lunga non è semplice mantenere rapporti vivi a causa delle distanze e degli impegni ma con Facebook diventa tutto un po’ più facile.

8) Guardando in generale alla Lega Pro, il girone C sembra al solito il più equilibrato. In quello A l’Alessandria di tanti ex stabiesi sembra essere nettamente favorita, così come nel B forse il Venezia di Inzaghi la farà da padrona. Sei d’accordo? Sì, è un’analisi corretta. In Alessandria, Venezia, Parma, Foggia e Lecce credo ci sia qualcosa in più rispetto alla media dei gironi. Questo non vuol dire nulla, dovranno sbagliare poco anche loro per vincere

9) Tornando a te, cosa stai facendo ora? Hai progetti professionali in cantiere e se sì in che ruolo ti vedi meglio? Negli ultimi due anni ho lavorato per un paio di squadre di Lega Pro. Ora sto facendo qualcosa per conto mio ed ho iniziato a seguire qualche ragazzo come agente.

10) Un saluto ai tifosi che davvero non hanno smesso di stimarti e che per te provano ancora un affetto smisurato. La passione e l’amore che hanno gli Stabiesi per la propria squadra raramente si trova. Auguro le più belle soddisfazioni, calcistiche e non, a tutta la città di Castellammare. La mia famiglia tiferà sempre Juve Stabia.

Raffaele Izzo

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Il governo prevede che Ubi rilevi tre banche in difficoltà

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Sull’operazione messa in moto dal Tesoro per salvare tre banche in difficoltà, è scoppiato un braccio di ferro con la Bce. L’istituto lombardo chiede un intervento deciso del governo per sbloccare i fondi, ma la partita appare complessa. Secondo Stefano Lepri il progetto del Tesoro che sta lavorando per completare il salvataggio delle quattro banche finite nella bufera nel 2015, potrebbe avere delle ricadute sui conti pubblici mentre invece, per il governo si tratta di un piano che “non può fallire”.

Ma è braccio di ferro con la Bce per sbloccare l’acquisto degli istituti

Il gruppo lombardo Ubi chiede l’intervento dell’esecutivo sull’Eurotower. Quell’offerta rigettata del fondo Apollo che voleva risarcire i risparmiatori

Una parola brutta e difficile, Rwa. Sta per Risk weighted asset e chi lo considerasse un mero tecnicismo commetterebbe un errore madornale. Intorno a questa parola e alle sue implicazioni si gioca una parte sostanziale della complicata partita per puntellare il traballante sistema bancario nazionale. Gli Rwa si possono tradurre come «attività ponderate per il rischio» e sono dei modelli statistici sulla base dei quali le banche devono accantonare capitale per ogni prestito effettuato in funzione della rischio associato a quel tipo di prestito. Dire se l’accantonamento è adeguato spetta alla Bce.

Una delle condizioni poste da Ubi Banca per l’acquisto di Banca Marche, Etruria e CariChieti è quella di poter utilizzare per gli Rwa delle tre banche i propri modelli. Sterilizzando di fatto le perdite passate senza farle pesare nei propri conti. Secondo gli analisti se la Bce fosse d’accordo, Ubi Banca potrebbe recuperare circa 400 milioni di euro di capitale. Non è l’unica condizione richiesta dall’istituto guidato da Victor Massiah. C’è anche la possibilità di far pesare l’avviamento negativo dei tre istituti o il recupero fiscale delle ingenti perdite accumulate con la risoluzione. Su gli Rwa però la posizione della Vigilanza di Francoforte è particolarmente rigida. La differenza tra fare l’operazione e non farla passa da lì. Per questo Ubi ha chiesto al governo un intervento deciso, «politico», per sbloccare una questione che per quanto tecnica può avere pesanti risvolti sistemici. La posta in gioco è la stabilità del sistema bancario, che proprio a partire dalla risoluzione delle quattro banche, nel novembre scorso, non ha più avuto pace.

Per capire quanto pesano gli Rwa, serve raccontare che proprio su questo punto il piano di Montepaschi presentato lo scorso 29 luglio è rimasto incerto fino all’ultimo. Senza il via libera della Bce a non considerare l’operazione di scorporo delle sofferenze per 27,7 miliardi, arrivato in extremis nella mattinata del 29 luglio, Mps avrebbe dovuto lanciare un aumento da sette miliardi invece che cinque. Date le difficoltà che incontra la banca senese per far partire una operazione da cinque miliardi, è ragionevole pensare che chiedere sette miliardi avrebbe significato decretare da subito la fine della storia.

Così come adesso sull’operazione proposta da Ubi incombe il «no» della Bce sugli Rwa che rischia di mandare a monte l’acquisto, con conseguenze imprevedibili per l’intero sistema bancario. A cominciare dal Fondo di risoluzione, azionista delle quattro banche, che ha ricevuto un prestito da 1,65 miliardi proprio da Ubi, Unicredit e Intesa, garantito dalla Cdp. Non casualmente, quattro dei soggetti presenti ieri al Mef. Avrebbe dovuto essere rimborsato con l’incasso della vendita delle quattro ma l’incasso sarà zero, ragionevolmente.

Sull’operazione incombe anche l’impegno preso con Bruxelles di vendere entro il 30 settembre. Termine trascorso senza comunicazioni ufficiali di proroga ma con generiche rassicurazioni che niente sarebbe accaduto se si fosse andati più in là. A questo punto giova ricordare che lo scorso 30 luglio vennero dichiarate non ricevibili le offerte di due fondi Usa, Apollo e Lone Star, per l’acquisto di tutte e quattro. Le cronache hanno riferito di ragioni «più formali che sostanziali», ma nessuna motivazione ufficiale è mai arrivata. L’offerta di Apollo, secondo quanto ricostruito da più fonti, prevedeva anche una forma di ristoro per i risparmiatori. Con gli obbligazioni che avrebbero ricevuto azioni e i vecchi azionisti degli warrant. Questione più di sostanza che di forma.

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lastampa/Ma è braccio di ferro con la Bce per sbloccare l’acquisto degli istituti GIANLUCA PAOLUCCI

Braccio di ferro con la Bce per salvare quattro banche

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Il Tesoro sta lavorando per completare il salvataggio delle quattro banche finite nella bufera nel 2015. Per il governo si tratta di un piano che “non può fallire” e prevede che Ubi rilevi tre istituti in difficoltà. Sull’operazione, però, è scoppiato un braccio di ferro con la Bce. L’istituto lombardo chiede un intervento deciso del governo per sbloccare i fondi, ma la partita appare complessa. Secondo Stefano Lepri il progetto del Tesoro potrebbe avere delle ricadute sui conti pubblici.

Mossa a sorpresa del governo per salvare le quattro banche

Vertice blindato al Tesoro con Bankitalia, Cdp e i colossi del credito. L’operazione Ubi non può fallire, cresce il pressing su Intesa e Unicredit

ROMA – Il nuovo muro contro muro con la Bce rischia di far saltare la cessione di tre delle quattro famigerate «good banks» italiane salvate a fine 2015 dal Fondo di risoluzione mandando in tilt il delicato equilibrio che governo e Bankitalia hanno costruito in questi mesi allo scopo di puntellare il sistema del credito. Per il governo l’operazione-Ubi, unica pretendente rimasta in campo, «non può assolutamente fallire». Perché, complice la fibrillazione innescata dal disastro della Deutsche bank, un eventuale flop potrebbe creare un effetto contagio e arrivare a mettere a rischio un piano ben più importante, anche dal punto di vista politico, come il salvataggio del Monte dei Paschi. Dopo che il Tesoro, la scorsa settimana, ha ottenuto da Bruxelles una nuova proroga per la cessione di Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Carife, da Francoforte è infatti arrivato uno stop che rischia di compromettere tutta l’operazione. E per questo ora si cerca di correre ai ripari.

Il «caso Deutsche» e noi  

Il tema banche è stato al centro del vertice blindatissimo che si è tenuto ieri nel tardo pomeriggio al Tesoro. «Non si è entrati nel dettaglio di singoli casi», hanno fatto sapere in serata fonti del Mef, ma ci si sarebbe limitati ad analizzare lo stato del nostro sistema bancario anche alla luce delle tensioni sui mercati internazionali degli ultimi tempi. Nel corso delle due ore di confronto «tutti» avrebbero avuto modo di conoscere «tutto», spiega un’altra fonte. «Dobbiamo avere un dialogo continuo su questa situazione di transizione, per irrobustire il sistema» aveva dichiarato nel pomeriggio il ministro Padoan anticipando il senso del vertice col gotha bancario nazionale.

I problemi sul tappeto sono molti e spesso fortemente intrecciati tra loro. Chiamano in causa la Commissione Ue e la Banca centrale europea (che ora a Ubi chiede un aumento di capitale da 600 milioni che la popolare bergamasca giudica inaccettabile), e vanno dalla gestione delle sofferenze, al possibile ruolo del Fondo interbancario di garanzia (ultima spiaggia per evitare la liquidazione di Carife) e di altri big come Intesa e Unicredit, col maxi aumento di capitale di Mps che resta la grande incognita dei prossimi mesi. Ma sul quale, ancora ieri, Padoan è stato molto netto: «non ci sono piani alternativi: ci sarà un’offerta al mercato che sono convinto che avrà successo». Assolutamente escluso un intervento pubblico, «nessuna intromissione».

Secondo fonti del Mef quello di ieri è stato di un incontro «di routine, che fa parte di una consuetudine che si va consolidando». Però non capita spesso di vedere riuniti assieme il ministro dell’Economia, il governatore di Bankitalia, i vertici delle tre banche più importanti (Intesa, Unicredit e Ubi), i rappresentanti di Acri e Abi (il dg Giovanni Sabatini), il presidente della Cassa Depositi Costamagna e il numero uno del Fondo Atlante Penati. «Il governo farà di tutto per non far fallire l’operazione Ubi», spiegava ieri una fonte dell’esecutivo. E per evitare che un eventuale contraccolpo possa arrivare a compromettere i piani per Mps.

A caccia di nuovi fondi  

Come già avvenuto in passato ci si vorrebbe affidare alle cosiddette «soluzioni di sistema». Con un occhio a Cdp e Fondo Atlante ma soprattutto a Banca Intesa ed Unicredit, verso le quali sarebbe già ripartito il pressing. Da loro, che pure hanno già finanziato ampiamente i due fondi Atlante ed erogato assieme ad Ubi un prestito ponte da 1,6 miliardi destinato alle 4 «good banks», ci si aspetta un ulteriore sforzo, ad esempio per togliere dal groppone di Ubi i 3,4 miliardi di nuove sofferenze che le 4 banche hanno generato da inizio anno. Ma Intesa non ne vuole sapere e Unicredit ha altri guai di suo, per cui entrambe fanno muro. Per ora.

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lastampa/Mossa a sorpresa del governo per salvare le quattro banche PAOLO BARONI

STABIA: 500 sfonda guardrail raccordo Castellammare-Napoli

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L’auto a bordo della quale viaggiavano due giovani ha sfondato il guardrail e si è fermata nella scarpata che divide il raccordo dai palazzi adiacenti

CASTELLAMMARE di Stabia – Rocambolesco incidente sul raccordo autostradale di Castellammare di Stabia dove, stando a quanto si è potuto annotare dai primi accertamenti, una 500 nera in viaggio verso Napoli, per evitare uno scontro frontale di ben più gravi conseguenze con un’auto che proveniva a forte velocità sulla stessa corsia, e quindi contromano, si è vista costretta ad effettuare una manovra eludente buttandosi, a sua volta, sulla corsia opposta sfondando il guardrail che ne delimita il percorso con adiacente “scarpata” oltre la quale, a non grande distanza, si trovano le prime abitazioni dell’ormai famigerato (per i frequenti incidenti che vi accadono) Corso Italia. Luogo che forse, nota dettata dall’amarezza dei fatti, per questo è stato prescelto anche come sede dell’Ospedale cittadino. Se non altro i soccorsi medici ed il ricovero ospedaliero possono così avvenire in tempi rapidi, visto che non devono combattere con l’altra piaga cittadina: “il caos del traffico”.

Ben magra consolazione si dirà! Vero! Ma tant’è, è l’unica nota soddisfacente che un cronista amareggiato può annotare in una situazione di viabilità, e di controllo della stessa, come quella stabiese.

Se di note positive non se ne possono avere, almeno lasciatecene immaginare qualcuna, perdonateci e rallegriamoci per il fatto che forse è proprio per questo che sul posto sia subito giunta un’ambulanza con personale del 118 seguiti poi dai vigili del fuoco e, ancora a seguire, da un loro carro gru appositamente fatto giungere sul luogo da Napoli (sic!), con il quale hanno riportato sulla carreggiata l’auto protagonista del fortunoso “tangenziale” tra le corsie.

Comunque le condizioni dei giovani a bordo, per fortuna, pare non siano gravi e questa è una nota positiva. L’unica, in verità!

I rilievi del caso sono stati effettuati dagli agenti della polizia Municipale di Castellammare e dagli uomini della polizia, tutti “prontamente” giunti sul posto, traffico permettendo! Del caos creatosi nel traffico non ne parliamo tanto, probabilmente non è stato nemmeno distinto dagli automobilisti: è condizione naturale alla quale sono, ormai, abituati!

FRANCESCO MARESCA

Novellino: “Insigne sta pagando il dualismo con Mertens”

Novellino a radio Goal

Ai microfoni di Radio Goal, è intervenuto Walter Novellino, ex allenatore azzurro: “Il ko di Bergamo è un incidente di percorso, gli episodi non sono stati fortunati e i partenopei hanno pagato un po’ di stanchezza. Alcuni giocatori mentalmente non erano dentro l’impegno e qualcosa si paga, mentre i nerazzurri avevano maggiore rabbia e fame di punti. Insigne è il calciatore che mi sta deludendo in questo momento, da lui mi aspetto molto di più e va aiutato. Lo conosco bene e so che sta pagando il dualismo con Mertens”.

Callejon, a gennaio via? Due club spagnoli su di lui

Dalla Spagna su Callejon

José Maria Callejon: sarà un futuro lontano da Napoli? Prospettiva complicata, complicatissima, eppure le squadre disposte ad accaparrarselo non mancano. Secondo quanto riporta la testata spagnola Don Balon, sull’attaccante iberico avrebbero messo gli occhi sia il Valencia, del neo tecnico Prandelli, sia il Siviglia. Le due squadre starebbero provando a strappare il ragazzo ad ADL e riportarlo a casa già a gennaio. Difficile, però, che il presidente ci rinunci a stagione in corso.

Auriemma: “Al Napoli serve un mediatore”

Le parole di Raffaele Auriemma

Il giornalista di Premium Sport, Raffaele Auriemma, ha rilasciato alcune dichiarazioni nel corso di Si gonfia la rete, trasmissione in onda su Radio Crc: “Il problema del Napoli è che non ha un mediatore che faccia il suo lavoro sia con la stampa che con i tifosi e che aiuti mister Sarri. Non può essere incolpato solo il presidente serve un uomo di calcio che conosca le dinamiche di gioco”.

Il Governo gioca la carta dell’ecobonus

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Il governo è al lavoro sulla manovra: la legge di stabilità dovrà rispettare i vincoli Ue e varrà 23 miliardi di euro. Tra le misure per rilanciare l’economia l’esecutivo sta studiando un ecobonus che punta a ridurre fino al 70% i consumi energetici in 12 milioni di fabbricati che hanno più di quarant’anni. Gli interventi potrebbero essere finanziati al 90% dallo Stato.

Manovra da 23 miliardi, il governo studia l’ecobonus per il condominio. Ecco tutte le misure

Interventi fino a otto miliardi per previdenza, aziende e Comuni. Il Tesoro prepara una legge di Stabilità rispettosa dei vincoli Ue

ROMA – Come sempre, l’ultima parola spetterà a Matteo Renzi. Ma per il momento pare proprio che la manovra prossima ventura contenuta nella legge di Stabilità si attesterà sui 23 miliardi di euro, di cui ben 15 destinati a disinnescare le solite clausole di salvaguardia sull’Iva. E i 7-8 miliardi di interventi possibili saranno imperniati su quattro interventi strategici prioritari (pensioni, investimenti pubblici dei Comuni, sostegno agli investimenti privati, bonus energetico), che affiancheranno alcuni interventi già annunciati (soldi per gli statali, per i salari di produttività, per le assunzioni, per il Fondo per la povertà). Soprattutto – se tutto andrà come nelle aspettative del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che in queste ore si sta spendendo per evitare ulteriori complicazioni con la Commissione Europea – la legge di Stabilità 2017 non sarà una dichiarazione di guerra nei confronti di Bruxelles e della Bundesbank.

Pure criticando aspramente la generale linea di austerità incarnata dall’ala rigorista della Commissione, pur rivendicando a viva voce la fondatezza delle richieste di ulteriore flessibilità dei conti a suo tempo formulate, a quanto si apprende da fonti del Tesoro, l’Italia presenterà una manovra rispettosa dei vincoli europei, con un rapporto deficit/Pil 2017 intorno al 2 per cento.

I numeri potrebbero cambiare, si sa. Ma se venissero accolte le indicazioni stilate al ministero di Via Venti Settembre, ben 15 dei 23 miliardi della manovra verranno inevitabilmente ingoiati dalle solite clausole di salvaguardia per evitare la stangata dell’Iva. Non resta moltissimo a disposizione, e per questo la filosofia della legge di Stabilità sarà quella di usare il poco che c’è per rispondere a due esigenze principali. Primo, misure per alleviare una serie di emergenze sociali (e già che ci siamo conquistare consensi). Secondo, un altro pacchetto di provvedimenti per cercare di rianimare gli investimenti pubblici e soprattutto quelli privati, mobilitando con interventi «intelligenti» e poco costosi le risorse non attivate.

Nel pacchetto «sociale», che vale 3,3 miliardi, la voce più significativa è quella relativa all’accordo sulle pensioni con i sindacati. Ieri il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, a L’Intervista di Maria Latella su SkyTg24, ha chiarito che nella legge di Stabilità entreranno le misure sulla quattordicesima, sull’Ape e la ricongiunzione gratuita dei contributi versati in enti disparati, per quasi 2 miliardi di euro. Gli altri punti dell’intesa invece no.

Alla voce interventi per lo sviluppo il governo scommette su misure per favorire gli investimenti pubblici più semplici da attivare e da realizzare: quelli realizzati dai Comuni.

L’anno scorso 500 milioni di stanziamenti concessi da Roma ai sindaci per ripianare i disavanzi misero in moto investimenti per 2 miliardi di euro. Quest’anno si spera di salire a quota 800 milioni-1 miliardo.

Due invece sono le misure ideate per attivare investimenti dei soggetti privati, sempre utilizzando una leva fiscale, e sempre seguendo strade già battute con qualche successo quest’anno. Parliamo innanzitutto dell’ecobonus, lo sconto fiscale del 65 per cento concesso a chi realizza dei miglioramenti energetici nel proprio appartamento. L’idea è consentire – attraverso una serie di meccanismi – che questi ecoinvestimenti possano essere pensati e progettati a livello di condominio. Verrà messo a disposizione un miliardo.

Secondo capitolo, gli sconti per le imprese, su cui si potrebbe arrivare a 3 miliardi. Verrà rifinanziato il “superammortamento” del 140%; verrà attivato il nuovo “iperammortamento” del 250% per chi spende in ricerca e tecnologie smart; e verrà rifinanziato il Fondo centrale di garanzia che copre il credito delle piccole e medie imprese.

Fin qui i progetti allo studio del ministero dell’Economia. Progetti costruiti con una certa attenzione, ma che certo dal punto di vista quantitativo pesano poco, e rischiano di non essere sufficienti a rianimare la stanca e stagnante economia italiana. Per questo Palazzo Chigi spera ancora di riuscire a sfondare il muro dei veti di Bruxelles.

Super ammortamento  

AL PIANO INDUSTRIA 4.0 ARRIVA UNA MAXI-DOTE

Dovrebbe attestarsi sui tre miliardi la «dote» a disposizione delle imprese dalla legge di Stabilità. Le linee di azione, rivelate qualche giorno fa dallo stesso ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda in occasione del lancio del piano «Industria 4.0», si basano sull’utilizzo (e il potenziamento) di uno strumento che è stato particolarmente apprezzato dalle aziende: parliamo del super-ammortamento per chi investe soldi negli investimenti.

Il primo passo, dunque, è la conferma per tutto il 2017 del superammortamento del 140% per l’acquisto di beni strumentali, che sarà incrementato al 250% – e sarà chiamato «iperammortamento» – per gli investimenti nelle voci più innovative, come ad esempio le tecnologie legate alle smart factories, ma anche per bioeconomia, agrifood e ottimizzazione dei consumi energetici, e tutte le tecnologie che traino lo sviluppo più moderno e innovativo. Al contrario, sarà ridotto al 120% l’ammortamento per i veicoli e i mezzi di trasporto.

Facendo i calcoli, il vantaggio fiscale proposto ai potenziale investitori è di quelli davvero consistenti. Ipotizzando infatti un investimento di un milione di euro, con il superammortamento del 140% il risparmio fiscale per l’azienda in cinque anni è pari a 96mila euro, mentre con l’iperammortamento al 250%, il beneficio sale addirittura a 360.000 euro, con un incremento pari al 275 per cento.

Giustamente le imprese che producono macchine e impianti da ammortamento «iper» sperano di riempire alla grande i loro elenchi ordinativi. In realtà per adesso non è tanto chiaro quali siano i beni strumentali meritevoli di tale vantaggio fiscale; toccherà al governo indicarli in modo preciso.

Oltre al super e all’iperammortamento, il governo vorrebbe confermare per tutto il 2017 anche la «nuova Sabatini», la norma che contribuisce a coprire gli interessi pagati alla banche per il finanziamento di investimenti in beni strumentali. Lo sportello per la presentazione delle richieste è stato chiuso all’inizio di settembre per esaurimento dei fondi.

Energia  

LO SCONTO ECOLOGICO PREMIA IL RISPARMIO

L’obiettivo è molto ambizioso: usare la leva dei bonus fiscali per ridurre fino al 70% i consumi energetici di 12 milioni di fabbricati che hanno più di quarant’anni. E che dal punto di vista dell’isolamento termico sono dei colabrodo, costosi da riscaldare e da raffreddare, e dannosi per l’ambiente. Uno dei progetti allo studio del governo – tra le diverse opzioni – è quello messo a punto dall’Enea, l’Agenzia nazionale per l’energia, che prevede di trasformare in condominiale l’ecobonus del 65%. E grazie a un fondo di 4-5 miliardi costituito da Cassa depositi e prestiti, banche e operatori – per sostenere i lavori, permettere di fare interventi energetici più consistenti a livello di un intero fabbricato, e non più come oggi procedendo appartamento per appartamento. Senza gravare esageratamente sulle tasche dei proprietari degli immobili: il 10 per cento dell’operazione deep renovation energetica verrebbero restituiti gradualmente in bolletta, come avviene per il canone Rai.

Quando si parla di ristrutturazione energetica, se si devono fare le cose sul serio – e non solo cambiare la caldaia di casa e mettere finestre a doppi vetri – si parla di cifre significative: dai 200mila euro in su. Il costo di questi interventi ben più consistenti, e decisamente difficili da sbloccare in un’assemblea di condominio a spese dei proprietari, verrebbe finanziato per il 90% da un fondo ad hoc, mentre il rimanente 10% resterebbe a carico dei proprietari. Il fondo o chi per lui potrà recuperare le risorse investite in dieci anni, incassando il bonus del 65 per cento erogato dallo Stato, mentre la differenza è ripresa attraverso il risparmio energetico generato con l’addebito agli utenti nella bolletta energetica degli appartamenti. Una sorta di cessione del credito, insomma, con l’intervento delle Esco, le società specializzate in lavori di riqualificazione energetica.

Non è detto che un meccanismo analogo non si possa utilizzare, con i dovuti aggiustamenti, anche per la ristrutturazione antisismica. Che anch’essa va realizzata a livello di intero fabbricato.

Comuni  

UN MILIARDO DA SPENDERE

Si potrebbe arrivare a quota un miliardo in legge di Stabilità per il finanziamento dei Comuni, risorse che verranno utilizzare per sbloccare gli investimenti individuati dai sindaci. Investimenti che secondo tutti gli esperti sono quelli più rapidi da mettere in moto. Di dimensioni minori, ma più vicini e utili ai cittadini. E le normalmente generano un impatto economico di gran lunga superiore.

Già l’anno scorso a copertura del Fondo pluriennale vincolato erano stati messi a disposizione dei sindaci 660 milioni dal governo. L’impatto stimato in termini di opere è stato tra il miliardo e mezzo e i due miliardi di euro. Quest’anno al ministero dell’Economia si progetta di stanziare una somma superiore; in più, però, i primi cittadini potranno utilizzare per i loro progetti anche una quota parte degli avanzi di amministrazione. Un segnale che si intende dare per premiare le città che godono di una buona e prudente gestione; una richiesta di vecchia data dei sindaci «virtuosi».

Un’operazione che peraltro può essere utile anche e soprattutto per riconquistare consensi e per dare un po’ di respiro a chi gestisce gli Enti locali. Non è un caso che l’altro ieri il sindaco di Pesaro Matteo Ricci, vicepresidente del Pd nazionale, e in lizza per la presidenza dell’Anci, abbia chiesto a Renzi nel corso di una manifestazione referendaria che la normativa sui finanziamenti ai Comuni «sia confermata anche nella prossima legge di stabilità. È un’azione espansiva per l’economia – ha detto il primo cittadino di Pesaro – che in Italia ha sbloccato più di due miliardi di lavori. Per la prima volta, finalmente, sono stati premiati quelli che hanno gestito bene e non quelli che hanno gestito male. Avanti su questa strada: i Comuni possono mettere in campo tanti e tanti cantieri».

Sono cantieri che a differenza di quelli giganteschi delle grandi opere infrastrutturali sono sotto gli occhi dei cittadini elettori mentre sono in corso e quando sono terminati: si tratta di strade, di scuole, di impianti sportivi, e di piccole ristrutturazioni di uffici.

Pensioni, contratti e welfare  

DUE MILIARDI ALL’ANNO PER LA PREVIDENZA

Vale un paio di miliardi l’anno per i prossimi tre anni l’operazione concordata dal governo con i sindacati in tema pensioni. Ma del pacchetto sociale faranno parte anche i fondi per i rinnovi dei contratti dei pubblici dipendenti (700 milioni), quelli per detassare il salario di produttività e favorire il welfare complementare aziendale (600) e le risorse del Fondo Povertà (500). Sicuramente verrà gradito l’allargamento della quattordicesima dei pensionati. Come ha detto ieri il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, i beneficiari saranno circa un milione di pensionati con un assegno pari a 1,5-2 volte il minimo. Gente che prima non aveva la quattordicesima e invece ora l’avranno. Per gli altri, coloro che sono già al di sotto di questa soglia e che ricevevano questo assegno, l’incremento sarà attorno al 30%, «anche se dobbiamo ancora fare un po’ di lavoro per calcolarlo con precisione».

Scatta l’anno prossimo anche l’Ape, l’anticipo pensionistico che permetterà a chi compie 63 anni (e quindi è distante meno di 3 anni e 7 mesi dall’ età di vecchiaia) di lasciare il lavoro prima grazie ad un prestito pensionistico. Prestito che in alcuni casi – come dimostrano le simulazioni che pubblichiamo in altra parte del giornale – sarà oneroso. Difficile prevedere se questa misura avrà successo; certamente piacerà alle fasce più disagiate, che potranno beneficiare dell’Ape «sociale» senza tagli.

Nella manovra ci sarà anche spazio per la ricongiunzione gratuita dei contributi versati in enti diversi. Una situazione sempre più comune per i giovani, che cambiano spesso contratto e settore. Prima la ricongiunzione si pagava; adesso sarà gratuita, e la pensione sarà costruita pro-quota in base alle diverse gestioni. Al contrario due punti dell’intesa con i sindacati – i lavoratori precoci, gli usuranti e il lavoro di cura delle donne – per ora sono accantonati.

Quanto al salario di produttività si punta ad aumentare le soglie di reddito da 50 a 80mila euro. E a raddoppiare da 2000 a 4000 euro la quota di salario detassabile soggetto alla mini-aliquota del 10%.

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lastampa/Manovra da 23 miliardi, il governo studia l’ecobonus per il condominio. Ecco tutte le misure ROBERTO GIOVANNINI

Ugolini: “Il Napoli ha meritato la sconfitta”

Le parole di Massimo Ugolini

Massimo Ugolini giornalista di Sky è intervenuto ai microfoni di Radio Goal, trasmissione in onda sulle frequenze di Radio Kiss Kiss Napoli: “Capita alle migliori squadre di perdere in campionato dopo una partita di Champions League impegnativa come quella che sostenuto il Napoli contro il Benfica. Ma c’è una cosa che fa riflettere non abbiamo visto il solito Napoli in campo, mi aspettavo un turnover diverso, magari Gabbiadini in campo, Hamsik fuori e uno tra Rog e Diawara dentro al posto di Jorginho che non sta attraversando un ottimo momento. Sarri imparerà da questo errore. A mio parere si può giocare anche con le due punte”.

Momento no per Jorginho, ci sarà qualcuno a sotituirlo?…

Jorginho e il suo momento negativo

Il centrocampista azzurro Jorge Luiz Frello Filho, in arte Jorginho, voluto fortemente da Rafa Benitez, è alla sua terza stagione al Napoli. Il primo anno con il mister spagnolo non è stato dei migliori per il brasiliano, impiegato poco in campo, Jorginho non è riuscito a dare dimostrazione delle sue capacità. Dalla scorsa stagione, con l’arrivo di Sarri, ha giocato con maggior frequenza mettendo in mostra tutte le sue abilità, tanto da essere giudicato uno dei migliori centrocampisti d’Europa. Quest’anno sembrava essere iniziata un’altra stagione da sogno per Jorginho, la stagione della consacrazione per lui, ma da qualche turno di campionato a questa parte il brasiliano non sta dando il meglio di se in campo, sempre poco attento, sembra stanco. Visti gli acquisti fatti durante la sessione estiva di calciomercato, il suo sostituto potrebbe esordire a breve, che sarà uno tra Rog e Diawara? Staremo a vedere.

a cura di Gennaro Di Dio

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