Se Matteo rincorre i populisti

La «nuova» Tav, più corta e dall’impatto ambientale più sostenibile, è il primo messaggio del...

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La «nuova» Tav, più corta e dall’impatto ambientale più sostenibile, è il primo messaggio del Renzi che verrà. Un Renzi sempre più attento a recuperare l’elettorato malmostoso, l’elettorato che per il momento sta premiando il Movimento Cinque Stelle. Naturalmente ci sono tanti escamotage per contendere elettori ad un movimento di protesta che – da qualche settimana e per la prima volta – si sta candidando a forza di governo. Essenzialmente ci sono due strade ragionevolmente percorribili.

Il presidente del Consiglio può decidere di incrementare il profilo riformista, sfidando il populismo montante con provvedimenti controcorrente, modernizzatori, non necessariamente in sintonia con l’onda che sale. Oppure può produrre atti di governo in qualche modo capaci di «parlare» ad un elettorato mobile. Inseguendolo. Anticipandolo. Interpretandolo. Con la decisione di tagliare circa 25 chilometri di gallerie della Tav e proprio in zone densamente abitate, il governo non abbandona l’opera, ma la reinterpreta.

Lo fa ridisegnando un tracciato che era datato e aggiornandolo secondo due imperativi ritenuti categorici: riduzione dei costi e dell’impatto ambientale. In questo modo Renzi prova a non perdere il connotato modernizzatore, ma riconducendolo dentro binari più «ragionevoli» e comprensibili da un elettorato sempre più intollerante verso tutto quello che viene deciso dall’alto.

La Tav più corta e dal minore impatto ambientale è soltanto un primo segnale e nei prossimi mesi altri ne verranno. Perché oramai, è chiaro, il pericolo per Renzi viene dai Cinque Stelle e la sfida per il governo del Paese si gioca in questo duello. Il dilaniato centrodestra è fuori gioco e rischia di restarci a lungo. Certo, i sondaggi sono istantanee che fissano il presente e nulla dicono del futuro e spesso sono anche istantanee sfuocate. Eppure gli ultimi sondaggi, oramai convergenti, indicano Pd e Movimento Cinque Stelle come appaiati. In alcuni la fiducia nei confronti di Luigi Di Maio è persino superiore a quella nei confronti del presidente del Consiglio. Ma soprattutto, ecco il punto dolente nell’ottica di palazzo Chigi, un ipotetico ballottaggio vedrebbe oggi il movimento di Grillo distaccare nettamente il Pd. Sia chiaro: si tratta di sondaggi che fotografano, più o meno correttamente, gli umori degli elettori italiani all’inizio dell’estate del 2016 e nessuno può giurare che nella primavera del 2018 le intenzioni di voto saranno le stesse. Ma per un leader attentissimo ai sondaggi come Renzi, questi numeri producono inquietudine.

Fino ad oggi il presidente del Consiglio ha sempre reagito con scatti di adrenalina e di decisionismo ai passaggi a vuoto che si sono susseguiti in questi due anni e mezzo. Stavolta appare più riflessivo, meno reattivo e il ridisegno del tracciato della Tav appare un primo segnale. Verso un «grillismo» o un populismo di governo? Presto per dirlo, anche se sembrano andare in quella direzione la ricomparsa (in vista del referendum) degli slogan sulle poltrone cancellate e sui politici in meno garantiti dalla riforma costituzionale. Una cosa è certa: per un leader come Renzi sarebbe più produttivo riprendere la strada di un riformismo – «populista» o modernizzatore, dipende da lui – piuttosto che mettere mano di nuovo alla legge elettorale.

Non soltanto perché una modifica in corsa per danneggiare i Cinque Stelle finirebbe per rendere motivata l’accusa degli avversari al presidente del Consiglio di ridisegnarsi la legge a suo uso personale. Ma c’è una ragione in più che dovrebbe sconsigliare Renzi. Una ragione assente dalla discussione pubblica, ma molto forte: la legge elettorale, in applicazione delle «clausole» contenute nell’Italicum, è entrata in vigore ieri e sarebbe davvero bizzarro modificarla senza averla mai sperimentata. La legge elettorale proporzionale che ha accompagnato la trasformazione dell’Italia da Paese agricolo a potenza del G7 è durata 48 anni. Il cosiddetto Mattarellum è restato in vita 10 anni, così come il malfamato Porcellum. Strozzare nella culla l’Italicum senza averlo mai sperimentato sarebbe un unicum davvero ineguagliabile. Ecco perché la sfida di Renzi al Cinque Stelle sul terreno delle riforme che «parlano» ad un elettorato di frontiera e ancora di più ai tanti elettori del Pd trasmigrati, appare la strada più probabile. E anche quella che potrebbe riservare diverse sorprese.

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vivicentro.it/opinione lastampa / Se Matteo rincorre i populisti FABIO MARTINI

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