Con prestito Alitalia si poteva comprare 20% di Air France-Klm o intera Norwegian

In attesa di una sua improbabile vendita, il governo ha fatto salire il prestito ponte ad...

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In attesa di una sua improbabile vendita, il governo ha fatto salire il prestito ponte ad Alitalia a 900 milioni, cui si aggiungono 80 milioni all’anno per la cassa integrazione di 1600 dipendenti. Gli stessi soldi dei contribuenti potevano essere destinati a comprare il 20 per cento di Air France-Klm o l’intera Norwegian.

Compratore cercasi per Alitalia

Il bando per la cessione della compagnia di bandiera è scaduto da tempo. Per ragioni diverse, nessuna delle tre offerte presentate sembra destinata al successo. con il rischio che l’azionista di riferimento di Alitalia resti il contribuente italiano.

Prestito ponte rinnovato

Si avvicina il Natale e gli italiani, che hanno storicamente sostenuto le perdite di Alitalia ai tempi del controllo pubblico e aiutato con misure di welfare l’arrivo dei “capitani coraggiosi” nel 2008, si domandano se avranno la fortuna di trovare sotto l’albero un acquirente della disastrata compagnia di bandiera.

Il bando per la cessione dell’azienda è scaduto da tempo e le offerte vincolanti presentate entro il 2 ottobre avrebbero dovuto divenire definitive entro il 5 novembre. Ma nel frattempo la scadenza è slittata al prossimo aprile e il governo ha incrementato il “prestito ponte” all’assurda cifra di 900 milioni di euro. Per comprendere quanto sia irrealistica è sufficiente qualche confronto: nel 2008, a sostegno di un’Alitalia grande una volta e mezza per flotta e dipendenti e quasi il doppio per fatturato, il governo di allora concesse un prestito ponte di 300 milioni; invece nell’agosto 2017 il governo tedesco ha accordato un prestito ponte di 150 milioni, un sesto rispetto a quello italiano, in favore di Air Berlin, vettore più grande di Alitalia.

Qualche altro dato significativo: nel 2008 i “capitani coraggiosi” pagarono per l’acquisto di Alitalia 1.052 milioni di euro, di cui tuttavia solo 427 per cassa (e a rate); invece nel 2014 Etihad assunse il controllo di Alitalia versando solo 388 milioni. In sostanza, i due successivi acquirenti privati di Alitalia hanno pagato in tutto 815 milioni per comprarsela due volte mentre il governo italiano ha speso 900 milioni in una volta sola e non per comprarla né rilanciarla bensì per venderla. A tale onere va aggiunta la cassa integrazione straordinaria per 1.600 dipendenti, con un costo annuo stimabile in ulteriori 80 milioni.

Con 900 milioni il governo italiano avrebbe potuto acquistare, ai prezzi correnti di borsa, circa un quinto di Easyjet o di Air France-Klm, divenendone primo azionista davanti allo stato francese, oppure l’intera compagnia Norwegian, la prima low cost ad aver creduto nel lungo raggio.

I pretendenti

Al bando per la cessione hanno presentato le offerte più serie per la parte “aviation” due grandi vettori europei, Lufthansa e Easyjet, più, fuori dai termini e dai requisiti del bando, il fondo americano Cerberus.

È tuttavia lecito dubitare che qualcuna di queste offerte possa giungere a buon fine. Quella di Lufthansa sembra comprendere una quota abbastanza ridotta dell’attuale flotta e una ancor più ristretta del personale. Si tratta di numeri che non paiono accettabili per un governo uscente alla vigilia di un’elezione e in realtà neppure per un governo entrante all’indomani del voto.

Per rendere più appetibile la sua offerta, Lufthansa dovrebbe farsi carico di segmenti aziendali che non rientrano nel suo interesse, comprendendo rotte sulle quali la concorrenza dei vettori low cost è molto più agguerrita in Italia rispetto a quelle analoghe sui cieli tedeschi. Non bisogna poi scordare che nessun acquirente può essere disponibile a subentrare negli onerosi accordi che vincolano attualmente Alitalia a non espandere l’offerta sul nord Atlantico e a non realizzarne proprio verso il sud est asiatico, così come nei costosi contratti di leasing della flotta. Se Lufthansa cercasse di accontentare le richieste di un qualsiasi governo in carica continuerebbe a perdere in Alitalia molti soldi, una condizione incompatibile con un grande gruppo quotato in borsa.

Invece Cerberus, extraeuropeo, è soggetto al limite azionario del 49 per cento e avrebbe pertanto bisogno di uno o più partner comunitari. Notizie degli ultimi giorni evidenziano una possibile alleanza tra Cerberus ed Easyjet, ipotesi che avrebbe il vantaggio di rendere conforme al bando un’offerta congiunta, che solo Easyjet è legittimato a presentare in quanto vi ha aderito nei tempi previsti. È tuttavia assai improbabile che Easyjet voglia diventare azionista di rilievo di Alitalia senza rivoluzionare il suo modello di business. Infatti nel segmento dei voli nazionali ed europei Easyjet riesce a fare molto meglio di Alitalia e può aumentare la sua presenza semplicemente occupando gli spazi di mercato che il vettore nazionale in declino sta lasciando spontaneamente, senza alcun vantaggio derivante dall’acquistarlo.

Il discorso risulterebbe invece profondamente diverso se Easyjet decidesse di entrare nel lungo raggio, perché comprando Alitalia acquisirebbe anche il diritto a volare dall’Italia verso tutti i continenti. Si avrebbe in tal caso una quadruplice rivoluzione: la prima conversione al lungo raggio di un vettore low cost storico; l’attivazione di un vero hub intercontinentale sul territorio italiano, con la realizzazione attraverso Easyjet di voli di feederaggio verso l’Italia dal resto d’Europa; il rilancio di Malpensa, sede naturale dell’hub, perché Easyjet già vi trasporta quasi otto milioni di passeggeri l’anno; l’attivazione di un hub intercontinentale ‘low cost’ in grado di competere con quelli tradizionali di Monaco, Francoforte, Amsterdam e Parigi. Troppo bello per essere vero. E se questo scenario non si realizza, l’ipotesi più probabile è che l’azionista di riferimento di Alitalia resti quello storico, il contribuente italiano.

UGO ARRIGO è professore associato presso l’Università Bicocca di Milano. Ha conseguito il dottorato di ricerca in strutture e comportamenti economici presso l’università Cà Foscari di Venezia. Le aree tematiche su cui si focalizza la sua ricerca sono economia e regolazione delle public utilities, economia delle amministrazioni pubbliche, teoria delle scelte collettive, finanza pubblica, sviluppo territoriale.

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