Pasquale Rapicano: le rivelazioni del super pentito

Le rivelazioni di Pasquale Rapicano stanno facendo tremare la camorra stabiese.

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Le rivelazioni di Pasquale Rapicano stanno facendo tremare la camorra stabiese, il super pentito sta svelando i misteri del clan D’alessandro.

I ragazzi dei vicoli dei quartieri abbandonati di Castellammare crescono in fretta. La camorra è brava a farli suoi e crescerli secondo i loro dettami, li attira con guadagni semplici, immediati e sostanziosi per la loro età e li fa entrare in un inferno che termina sotto terra o dietro le sbarre.

E’ anche la storia di Rapicano, Luigi D’alessandro e Carmine Barba che sta prendendo forma nell’aula bunker di Torre Annunziata “Giancarlo Siani”, giornalista ucciso dalla camorra che peraltro scriveva anche di come i clan arruolavano i ragazzini negli anni 80.

Pasquale Rapicano, da ragazzo di strada è diventato il killer di punta del clan D’alessandro, fino all’arresto avvenuto nel 2020. Infatti lui stesso afferma: “Ho iniziato a 13 anni quando ho cominciato a fare il camorrista. Prima facevo le rapine, poi la scorta al boss e alla fine mi sono occupato di estorsioni, droga e omicidi”, “Quando un capo ti dice di ammazzare non fai Domande”.

Ora è collaboratore di giustizia e perciò l’asso nella manica della magistratura nella lotta contro la criminalità organizzata.

Le sue rivelazioni stanno facendo luce sui delitti e gli affari illeciti del clan di Scanzano che da quasi 50 anni sparge sangue e droga nelle strade della città delle acquee. Le sue parole e i suoi racconti, incredibilmente lucidi, pronunciate con la potenza di un terremoto fanno tremare le mura dell’aula del tribunale e i palazzi oscuri dei  D’alessandro.

 

Le dichiarazioni di Pasquale Rapicano su  D’alessandro Luigi.

Luigi classe 1998, Figlio di Pasquale d’Alessandro, erede del padrino e fondatore Michele, è entrato nel clan a 18 anni.

Secondo Rapicano avrebbe preso il posto del padre al 41 bis grazie al benestare della nonna Teresa. Infatti Pasquale Rapicano afferma: “aveva 17, 18 anni, stava al posto del padre, lo sostituiva perché stava al 41 bis, prese il posto del padre con il placet di sua nonna Teresa. Da quel momento anche lui si è seduta a tavola con noi”.

“ci incontrammo a Scanzano e parlavamo di fare cose belle a Castellammare. Dovevamo fare la droga, programmare fatti di sangue e anche pensare ai carcerati.” Ancora: “dovevamo rifornire le piazze di Castellammare.”

“Luigi era un capo pensammo pure di fare affari con le sigarette di contrabbando”. E poi riferisce Pasquale Rapicano dei rapporti con i Vitale e della presenza del baby boss nel centro antico per rendere più stretto il legame tra le due organizzazioni.

Carmine Barba, detto “o turres”, l’amico d’infanzia di Rapicano.

Carmine Barba era amico di adolescenza di Pasquale Rapicano, insieme avevano compiuto rapine, vendette, omicidi e fatto da scorta a Luigi, figlio di Michele D’alessandro. L’ex killer parla dell’ordine del suo omicidio: “non so per quale motivo ma i D’alessandro lo volevano morto. Lo dovevo uccidere io, me lo chiesero Giovannone e Ettore Spagnuolo. Io penso che non se lo meritava, gli volevo bene”

Il piano fallito per assassinare Fiorillo

“Massimo Fiorillo doveva essere eliminato”. Cosi Pasquale Rapicano afferma. L’ omicidio fu commissionato nel 2002 dal clan di Scanzano. Il movente era il passato di Fiorillo nel clan dei “falsi pentiti” fondato da Raffaele Di Somma, da poco tornato libero.

Tutto era organizzato nei minimi dettagli. Al tentato agguato parteciparono Carmine Barba, Vincenzo Guerriero, morto suicida in carcere, Renato Cavaliere, collaboratore di giustizia e Vincenzo Ingenito. Vincenzo Ingenito segnalò la presenza di Fiorillo in un bar a piazza orologio.

Il gruppo di killer si recò a casa di Barba che aveva fatto trovare pronto un motorino rubato, caschi, guanti e 2 pistole, una calibro 38 e una 9X21. La vittima non fu trovata e Barba entrò armato anche dentro il bar pensando che il Fiorillo si fosse nascosto.

Pasquale Rapicano ha inoltre dichiarato e confessato l’omicidio commesso nel 2006 di Pietro Scelzo, detto o’nasone , ribadendo di non voler fare ricorso alla condanna inflitta in primo grado. Gesto che per l’ex killer significherebbe una purificazione personale.

Tante altre sono state le dichiarazioni che hanno fatto rumore e attirato le attenzioni di tutta la magistratura: dal business della droga che valeva 6 milioni di euro all’anno, approfondito anche dalle parole di Marrazzo, ex pusher pentito, agli affari sulle pompe di benzina fino alla commistione tra camorra e politica che ha portato allo scioglimento per infiltrazioni camorristiche del comune di Castellammare di Stabia.

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