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Renzi nega lo scontro con la UE: ”il premier Gentiloni è d’accordo con me”

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Il segretario Pd: “Abbiamo colto nel segno, ora non si discute più di alleanze”

ROMA – All’Italia serve una «scossa», un piano pensato in grande per farci uscire dalla crescita misurata sempre sui decimali. Il tempo è arrivato, perché «di austerità ne abbiamo avuta fin troppa e non ha funzionato».

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uello che Matteo Renzi ha proposto nel suo libro «Avanti» – portare il rapporto deficit/Pil alla soglia del 3 per cento, violando deliberatamente il Fiscal Compact, e usare questo surplus per abbassare le tasse – è stato accolto ieri in maniera ruvida a Bruxelles, mentre Gentiloni è rimasto in silenzio e Padoan non ha sprizzato entusiasmo. Ma il segretario del Pd nega che la sua battaglia sia in contrasto con quanto sta facendo il governo in Europa. «La dichiarazione di Padoan l’abbiamo concordata ed ha ragione lui: io parlo del futuro, della prossima legislatura».

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Quanto al premier, parlando con i collaboratori Renzi spiega che è «ridicolo» immaginare una distanza tra lui e Gentiloni: «Paolo queste cose le conosce bene, ne parliamo insieme da una vita. Del resto non è una proposta estemporanea, sono due anni che il mio team ci sta lavorando e ne ho parlato anche con diversi professori di economia. Sarà questa una delle idee del Pd in campagna elettorale». Il senso del ragionamento è chiaro: Gentiloni, a differenza di Padoan, non è un tecnico. È un dirigente di primo piano del Pd, renziano della prima ora. Se è comprensibile la prudenza odierna di palazzo Chigi per non entrare in conflitto palese con la Commissione Ue, è chiaro che il leader del Pd dà per scontato che il capo del governo sappia da che parte della barricata stare.

Il giorno dopo, Renzi si gode l’effetto che fa. In un tempo che consuma qualsiasi idea in un amen, la sua provocazione in effetti ha monopolizzato il dibattito. «Abbiamo colto nel segno, lo dimostrano proprio queste reazioni contrarie di Bruxelles. Visto che la Commissione presenterà tra il 2017 e il 2019 una proposta per integrare il Fiscal Compact nel quadro giuridico dell’Ue, a quel punto la posizione ufficiale del Pd è che l’Italia debba mettere il veto. Mentre per loro era tutto scontato, adesso non lo è più, questo inserimento devono trattarlo con noi. Un primo risultato lo abbiamo già ottenuto».

A Renzi premeva tracciare una linea da cui ripartire, consapevole che la battaglia vera deve ancora cominciare. «Il punto oggi era ribadire, senza fare polemiche sterili, che l’austerità è un errore». E non a caso, a dimostrazione che «abbiamo colto nel segno», il primo a contrattaccare è stato Dijssemloem, «il custode dell’austerità, quell’olandese che accusò gli europei del Sud di dissipare i soldi in alcol e donne. Uno che per fortuna, avendo il suo partitino preso il 4 per cento, tra poco non sarà più presidente dell’Eurogruppo».

Della trattativa in Europa, minaccia di veto compresa, se ne dovrà insomma fare carico «il prossimo governo, da chiunque esso sarà guidato: Gentiloni, Renzi, Zaia, Draghi, chiunque. È una battaglia italiana, non mia». Certo, per condurla con efficacia serve un governo forte, con una prospettiva di legislatura. «Per questo mi premeva andare subito al voto, perché a Bruxelles i rapporti di forza contano eccome. Lì ti misurano al centimetro: l’apertura sulla flessibilità è nata all’indomani della vittoria alle Europee, prima non ci si filava nessuno».

L’altro effetto di cui Renzi molto si compiace è che il dibattito domestico da 48 ore ruota attorno a questo. «Non si parla più di alleanze o di legge elettorale ma di cose concrete, adesso voglio vedere chi dice che non abbiamo idee». E la sinistra che lo attacca? «Ma come fa Bersani a non essere d’accordo con il deficit al 2,9? Infatti non può, è costretto a fare polemica su come spendere quei soldi che resteranno in Italia. Ma di quello ne possiamo discutere, io sono per abbassare le tasse, loro parlano di investimenti. Benissimo, facciamo metà e metà?».

vivicentro.it/politica
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