Secondo Ferdinando Camon, invece, «il referendum segna la distanza delle due popolazioni, la lombarda e la veneta, da Roma, capitale nemica».
Se la capitale diventa un nemico
Il referendum lombardo-veneto non l’ha vinto la Lega, come dicono tutti i giornali. L’ha vinto la Liga, cioè la Lega originaria, che era nata nel Veneto e dal Veneto fu portata via da Umberto Bossi.
L
a differenza percentuale dei votanti al referendum tra Veneto e Lombardia è del 20%. Un’enormità. Poiché sotto sotto il referendum voleva segnare la distanza delle due popolazioni, la lombarda e la veneta, da Roma, il risultato mostra che la distanza è infinitamente maggiore nel Veneto. Roma per i lombardi è un’altra capitale, la capitale di uno Stato rivale. Per i veneti è la capitale di uno Stato nemico. Si va a trattare, con i risultati del referendum lombardo: nuovi rapporti, nuove relazioni, economiche e fiscali. Con i risultati del referendum veneto si potrebbe andare, se le leggi lo permettessero, a trattare la separazione. L’uomo veneto odia Roma e tutto ciò che è romano, quindi anche l’Italia, sentita come una provincia romana. Il deamicisiano quesito referendario («Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?»), fu inteso dai votanti così: «Vuoi che la Regione Veneto prenda più larghe distanze da Roma?». I veneti hanno risposto Sì. Ergo, Roma è più lontana.
COLLEGATE: Forte del successo del referendum sull’autonomia, il governatore del Veneto Luca Zaia minaccia: «Mani libere sulle tasse o vogliamo lo statuto speciale». Il governo replica: «Proposta irricevibile, è una pre-secessione». Per Marcello Sorgi dalle urne «esce un modello di leadership destinato a far riflettere, a destra come a sinistra».
Ai tempi di Bossi, Roma era ladrona, cioè rubava ai veneti per dare al Sud. Ma dopo che Bossi & C. hanno pure loro rubato, questo slogan è caduto. Adesso Roma è quella delle tasse. Fatalità, siamo a poche settimane dalla nuova ondata di tasse. Anche questo ha influito sul referendum. Dopo tante giravolte, secessione, indipendenza, la richiesta si ferma sull’autonomia, intesa come autogestione delle tasse. L’odio verso Roma è la spinta che fa emergere l’identità dell’uomo veneto, che si manifesta soprattutto come identità economica e fiscale. L’uomo è i soldi che ha. Ecco perché le tre province che hanno trainato il referendum sono Padova, Treviso e Vicenza, le tre città leader del nuovo Veneto, che formano la megalopoli diffusa Pa-Tre-Vi. Una volta la megalopoli era Pa-Tre-Ve, e Ve stava per Venezia, che però è un leviatano che marcisce nella laguna, costa più di quel che rende, e dopo il Mose passa tra le gestioni corrotte. Le figure interiori dominanti sono sempre le stesse, Berlusconi, la Chiesa. Berlusconi torna in campo, e riacquista un suo credito come uomo anti-tasse. La chiesa significa il patriarca Moraglia: con sorpresa di molti, anche mia, s’è pronunciato con decisione pro-referendum, e questo ha pesato sul voto.
Sul risultato pesa anche il voto degli immigrati, perché nelle altre regioni gli immigrati che diventano cittadini diventano italiani, ma nel Veneto diventano veneti: non dicono «noi parliamo italiano», dicono «noi parliamo veneto». E votano di conseguenza. Il Veneto venetizza, non italianizza. Adesso si va a trattare. Operazione difficilissima. Soprattutto sulla parte economica. Il Veneto dice che gli spettano 15 miliardi di tasse che non gli tornano mai indietro in servizi, ma vanno ad altre regioni. Il problema è molto semplice: quei soldi lo Stato non li ha.
fercamon@alice.it
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lastampa/Se la capitale diventa un nemico FERDINANDO CAMON
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