Marcello Sorgi, nel suo odierno Editoriale su La Stampa, scrive: “dopo il voto che chiude la stagione dei «premier scelti dagli elettori», il Presidente Mattarella si spenderà per formare il governo, senza preclusioni per nessuno”. Intanto, nel messaggio di Capodanno, Sergio Mattarella (VIDEO) sprona gli italiani a votare, guardando soprattutto ai nuovi elettori, ai ragazzi del ’99. Ma tra i giovani vince la sfiducia: per i sondaggi il 4 marzo sette su dieci non andranno alle urne.
Il passo del Colle per un governo senza preclusioni
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ominciamo da questo secondo aspetto, dato che il primo ne è in qualche modo conseguenza. Il Presidente, rinnovando la tradizione del messaggio televisivo, ha parlato soprattutto ai cittadini, ma si è rivolto chiaramente anche ai politici. Per dire agli uni e agli altri la stessa cosa: dopo cinque anni andati come si sa, e dopo l’ennesimo tentativo fallito di trovare uno sbocco per la crisi italiana, tutti possono e devono contribuire a scegliere una nuova rotta per il Paese. Saperlo fin dall’inizio è importante, dato che tra due mesi andremo a votare per eleggere il Parlamento.
Per i telespettatori che in parte distrattamente, vista l’occasione del cenone di fine anno, avranno seguito il messaggio mentre stavano per sedersi a tavola, questo dovrebbe funzionare da richiamo alla partecipazione, al rifiuto della rassegnazione e dell’astensionismo, purtroppo incoraggiati negli ultimi anni da una politica inconcludente e parolaia, capace di distruggere e bruciare nel falò delle vanità individuali anche quel poco che era riuscita a realizzare.
Ma per i politici che si accingono a gettarsi nella campagna elettorale, il tema della piena legittimazione di tutte le forze politiche a determinare il destino dell’Italia ha confermato ciò che da qualche tempo il Presidente aveva lasciato intuire con le sue ultime mosse, inclusa la conclusione formale e «ordinata» della legislatura, mentre in Parlamento proseguivano le risse su banche e Ius soli. Mattarella, insomma, non accetterà lo schema preordinato di una campagna fatta di insulti e accuse reciproche, seguita da un accordo di larghe intese tra un pezzo di centrosinistra e uno di centrodestra, il cosiddetto «Renzusconi» che molti danno già per scontato. Non lo farà, intanto perché non è detto che i numeri assai incerti che potrebbero uscire dalle urne consentano una soluzione del genere. E poi perché non ne può più dello scontro interminabile in cui reciprocamente ognuno accusa gli altri di populismo o antipolitica, magari adoperando uguali metodi e argomenti, sebbene capovolti. Al contrario, servono soluzioni serie per i problemi, programmi ben fondati, numeri non ballerini, senso di responsabilità, consapevolezza, è il caso di ripeterlo ancora una volta, che governare significherà sempre più far ciò che si deve, e non quel che si vuole.
Sarà questa, per Mattarella, la linea di confine tra una politica che aspiri a tornare a essere credibile, e un’altra rassegnata al suo cupio dissolvi; e con lo stesso metro, dopo il voto – un voto proporzionale che chiude la stagione dei «premier scelti dagli elettori» e restituisce al Presidente il compito di interpretare le indicazioni venute dalle urne – il Capo dello Stato si spenderà per formare il governo, senza preclusioni per nessuno. Se il centrodestra, unito come adesso non sembra, dovesse ottenere la maggioranza, il Quirinale non avrebbe difficoltà a riportarlo alla guida del Paese. E allo stesso modo se il centrosinistra dovesse superare le sue insanabili, ma non del tutto irrecuperabili, divisioni; e ovviamente se i 5 stelle, che al momento, con le loro ultime scelte, sembrano andare in direzione opposta, essendo impegnati in un percorso di autoriforma, riuscissero ad approdare al cambiamento di cui hanno bisogno.
Così il concetto è chiaro, il confronto è aperto e la posta è in gioco per tutti. Dopo Scalfaro, Ciampi e Napolitano, Mattarella è il quarto Presidente chiamato a fare i conti con l’infinita transizione italiana e la gravissima crisi politica che ne è scaturita, ormai da un quarto di secolo. Cinque anni fa era stato proprio il suo predecessore, ad avvertire i parlamentari che lo avevano appena rieletto al Quirinale, che non sarebbero sopravvissuti alla perdita di credibilità verso gli elettori se non si fossero dimostrati capaci di fare le riforme necessarie. A Mattarella è toccato ricordarglielo: nel suo stile, con poche, essenziali e pacate parole. Ecco perché ha parlato solo dieci minuti.
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