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Elezioni 2018: gara a raccontare agli italioti la favola quotidiana

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C’è qualche cosa che non torna nelle promesse di questa gioconda e sciagurata campagna elettorale. E non sono i conti. Che quelli non tornino lo sa chiunque abbia un soffio di vita in testa, e le operazioni dei quotidiani, compreso il nostro, di mettere giù il saldo della fantasilandia è soltanto una certificazione ragionieristica del festoso delirio. È già stato detto che nessuno dei leader sarà mai in grado di tradurre in ciccia tanta costosissima munificenza, poiché abbiamo le pezze al sedere, e intanto che l’Unione Europea ci tiene d’occhio attraverso il mirino del fucile. Ma non è un problema. Siccome è molto improbabile che uno dei tre schieramenti guadagni i seggi necessari a governare in solitudine, per avere la maggioranza in Parlamento serviranno coalizioni più ampie di quelle in gara, o addirittura larghe intese, e così il responsabile del tradimento sarà sotto mano: il nuovo alleato, purtroppo indispensabile.

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avvero fantastico: si prendono impegni solenni e surreali perché tanto sarà impossibile onorarli, e la colpa se la prenderà qualcun altro.

Il giochino presuppone però che gli elettori siano tutti gonzi. Ed è qui l’aspetto straordinario della vicenda. Non tanto che i capi politici prefigurino un paese dei balocchi buono per la fiaba della buonanotte, ma che non esista un elettore disposto a prenderli sul serio. Fate la prova. Vi capiterà a cena un amico deciso a votare Silvio Berlusconi. Chiedetegli: ma davvero tu pensi che introdurrà un’aliquota fiscale unica al 23 per cento? Davvero pensi lo farà, dopo averlo assicurato a vuoto per due decenni e mezzo? Chiedete a un elettore di Matteo Salvini: ma davvero tu pensi che pagheremo il 15 per cento di tasse, di colpo, da un giorno con l’altro? Chiedete a un elettore di Matteo Renzi: ma davvero tu pensi che toglierà il canone tv, con la Rai che già non sta in piedi così? Sono mica matto, vi risponderanno. Una fumisteria collettiva fra chi chiede il voto offrendo la luna e chi lo concede tenendo i piedi per terra. Gli unici a riporre speranze in un immediato arricchimento collettivo sono forse gli elettori a cinque stelle, in buonissima parte persuasi che siamo conciati così perché la casta s’è ingoiata tutto, e che basti uno schiocco di dita per condurre l’intero popolo all’agiatezza. Dovrebbero alzare gli occhi, in certe stazioni ferroviarie, dove i pannelli dell’istituto Bruno Leoni aggiornano sul debito: più 4.469 euro al secondo, 268 mila euro al minuto, 16 milioni all’ora, 386 milioni al giorno, 11 miliardi e mezzo al mese. Ma non saranno i numeri a dissuaderli, perché tanto vogliono la rivoluzione, ovunque conduca.

Se si sceglie di mettere la croce sul simbolo di Forza Italia o del Pd è per terrore di quella rivoluzione, se la si mette sulla Lega è per disfarsi degli immigrati (auguri), se la si mette su Liberi e Uguali è per fare male a Renzi e recuperare un’idea elegiaca di sinistra. Non perché sarà tre volte Natale e festa tutto l’anno: quello lo si promette a qualche residuale ingenuotto, per sottrarlo a Luigi Di Maio o all’astensionismo, in una rincorsa fra matti e che otterrà il solo risultato di aumentare la frustrazione.

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