La Repubblica scrive su Napoli-Milan: “All’andata finì 4-0 per Sarri, a proposito di rivincite. Ma anche gli azzurri hanno la necessità di rialzare la testa, dopo aver perso due partite consecutive in cinque giorni. Dalla silenziosa vigilia di Castel Volturno sono trapelati due indizi: la conferma degli undici titolarissimi e del solito modulo tattico (4-3-3), nonostante l’insolito black-out offensivo delle ultime gare. Il tecnico ha messo sotto pressione gli attaccanti durante la rifinitura: provando nuovi schemi per ritrovare il gol perduto. Poi tutti a casa fino a stamattina, senza il solito ritiro della vigilia. Di pressione intorno al Napoli ce n’è già abbastanza e i giocatori ne hanno approfittato per tirare il fiato: prima della settimana di fuoco che li attende al San Paolo”.
Il record di presenze e incassi è un segnale chiaro per i giocatori
La Repubblica scrive sull’atmosfera che stasera ci sarà al San Paolo: “Sarà una maratona di quattro giorni: stasera il Milan e giovedì la rivincita contro il Villarreal. Il Napoli si gioca a Fuorigrotta una fetta importante delle sue ambizioni di stagione, rimaste intatte nonostante i passi falsi nelle ultime due partite. Il pareggio a Bologna della Juve offre subito agli azzurri una chance straordinaria per riprendersi il primo posto solitario in classifica, operando il controsorpasso nei confronti dei rivali. Alla squadra di Sarri serve una vittoria e può fare la differenza anche la carica dei 55 mila tifosi (300 quelli del Milan) attesi al San Paolo, in prima linea in una lunga settimana. Il record di incasso e presenze in campionato è un segnale molto chiaro per i giocatori, chiamati a rialzare la testa e a ritrovare immediatamente la strada smarrita. Nulla è ancora perduto, a patto però di ricavare il massimo dalle prossime due sfide”.
Pietro Bartolo: “Io, medico della speranza, nell’isola che accoglie tutti”. ALESSANDRA ZINITI*
Dall’ambulatorio nel cuore del Mediterraneo all’Orso d’oro di Berlino: “La mia gente dà tutto senza mai chiedere nulla “.
Il Pungiglione Stabiese: Tutti i problemi sono stati risolti? Lo dirà solo la prossima gara
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Link per ascoltare dal pc: https://37.187.93.104/start/viviradioweb/ (il link è ottimizzato per Google Chrome, per altri browser web bisogna installare Java https://www.java.com/it/download/)
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Link per ascoltare dai dispositivi mobili: https://lyra.shoutca.st:8212/
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Sui cellulari e dispositivi mobili è possibile installare l’applicazione TUNEIN e cercare ViViRadioWEB
- ( https://www.spreaker.com/show/vivi_radio )
“Il Pungiglione Stabiese” programma webradio condotto da Mario Vollono andrà in onda oggi 22 febbraio ECCEZIONALMENTE alle ore 19:00.
In studio ci saranno Gianluca Apicella (Magazine Pragma), Salvatore Sorrentino e Claudio Scotognella (ViViCentro.)
Parleremo della vittoria stile “tennis” della Juve Stabia con il Martina Franca.
Avremo come ospiti telefonici Ciro Raimondo ex difensore della Juve Stabia che vinse il campionato di serie C2 1992-1993.
Parleremo della prossima partita con il Cosenza con il collega Antonio Clausi di CosenzaChannel.it
Chiuderemo la puntata come di consuetudine parlando del settore giovanile della Juve Stabia.
Ci collegheremo telefonicamente con Mario Turi allenatore della formazione Primavera della Juve Stabia che il 19 febbraio 2013 riuscì ad eliminare la Juventus dalla Viareggio Cup.
Avvisiamo i radioascoltatori che è possibile intervenire in diretta telefonica chiamando il numero 081.048.73.45 oppure inviando un messaggio Whatsapp al 338.94.05.888.
Gli ascoltatori possono inoltre scrivere, nel corso del programma, sul profilo facebook “Pungiglione Stabiese” per lasciare i loro messaggi e le loro domande.
“Il pungiglione stabiese” è la vostra casa. Intervenite in tanti!
Vi ringraziamo per l’affetto e la stima che ci avete mostrato nel precedente campionato e speriamo di offrirvi una trasmissione sempre più bella e ricca di notizie.
Canale di SIcilia: soccorso di Nave Dattilo a 110 migranti (VIDEO)
Video di alcuni momenti dell’operazione di soccorso condotta nella giornata di ieri, 21 febbraio 2016, dalla Nave Dattilo CP940 della Guardia Costiera a favore di un gommone nel Canale di Sicilia, con a bordo 110 migranti.
Francia, gaffe del Ct Deschamps: “Per la difesa seguo Koulibaly”. Ma Kalidou è già del Senegal!
È uno dei pilastri del Napoli di Maurizio Sarri, amatissimo dal San Paolo: da quando Kalidou Koulibaly – già 21 presenze quest’anno – ha preso in mano le chiavi della difesa azzurra, difficile passare. Difensore apprezzato anche in Francia, il suo paese d’origine. Parola di Didier Deschamps, CT della nazionale francese. Ospite nel programma “Canal Football Club” di Canal Plus, l’ex Juve ha infatti svelato come stia seguendo il difensore nell’ambito di una possibile convocazione futura in Bleu. “La difesa? Seguo anche Koulibaly”. Presentatore che però cinque minuti dopo gli ricorda come Koulibaly… non sia convocabile! Semplice il motivo. Perché il difensore del Napoli ha già una presenza con il Senegal. Quando? Bisogna risalire al 5 settembre 2015, una partita con contro la Namibia: di esordio si trattò. “Davvero ? Beh, vedremo…” ha concluso Deschamps, rimasto sorpreso dalla notizia. E pure leggermente deluso perché sì, sarebbe davvero un peccato. Ma carta canta a quanto pare…
gianlucadimarzio.com
Napoli-Milan, i convocati: Grassi ancora out
Napoli-Milan alle ore 21 al San Paolo per il “monday night” della 26esima giornata di Serie A. Dirige il match l’arbitro Banti di Livorno. I convocati: Reina, Gabriel, Rafael, Hysaj, Maggio, Strinic, Ghoulam, Albiol, Regini, Koulibaly, Chiriches, Allan, David Lopez, Chalobah, Jorginho, Valdifiori, Hamsik, El Kaddouri, Callejon, Mertens, Insigne, Gabbiadini, Higuain
Ancora fuori Alberto Grassi. L’ex centrocampista dell’Atalanta è reduce dall’infortunio al menisco da oltre un mese, Sarri ha preferito non rischiarlo e non accelerare i tempi del suo rientro post operazione.
Insigne, l’agente: “Rinnovo? In estate ricevuta una risposta che non ci è piaciuta”
Fabio Andreotti, agente di Lorenzo Insigne, ha rilasciato alcune dichiarazioni a Radio Crc: “Il Milan sta pianificando un progetto importante per il futuro con giovani già pronti. Tuttavia, il Napoli in termini assoluti oggi è superiore ai rossoneri. C’è da stare attenti alla squadra di Mihajlovic perché viene da un trend positivo. Nella gara di Torino tra Napoli e Juve ho visto grande equilibrio. A Villarreal invece gli azzurri hanno preso gol su palla da fermo. E’una situazione che non fa tanto testo. Il Bayern su Lorenzo?Lo apprendo adesso, ma non mi meraviglia perchè il Napoli è una squadra importante con calciatori forti che fanno gol a molti club europei. Il rinnovo con il Napoli dipenderà solo dal club, ci è stata data una risposta in estate che non ci è piaciuta. Lorenzo sta bene a Napoli e De Laurentiis conosce bene la nostra volontà. Non ho avuto nessun contatto con il Bayern per Lorenzo, ma gli occhi di questi grandi club non mi meraviglierebbe”.
Renzi alla stampa estera: ”il 22 dicembre inauguriamo la Salerno-Reggio Calabria”
La Salerno-Reggio Calabria
Matteo Renzi all’incontro con la stampa estera, esordendo con un: “Fatemi fare una pubblcità progresso” ha annunciato:
“Così come si è finalmente inaugurata la variante di valico, anche se sembrava impossibile, il 22 dicembre inauguriamo la Salerno-Reggio Calabria. Tenetevi forte”.
L’annuncio è stato accolto da un visibile, ed udibile, scetticismo per cui Renzi ha replicato:
“A tutti quelli che hanno fatto ‘oohhh’, dico che sarete costretti a fare un pezzo di strada in macchina: guiderò io e anche se la strada è migliore vi sentirete male lo stesso…”.
Ronaldo: “Scudetto? Tifo Napoli, non potrei mai dire Juve!”
La Gazzetta dello Sport ha intervistato Ronaldo, ex campione di Inter, Milan, Barcellona e Real Madrid:
Se li aspettava quei cori, Ronaldo?
“Non mi aspettavo niente, non mi ero chiesto “cosa succederà?”, e soprattutto non ero venuto a San Siro per vedere cosa sarebbe successo, ma solo perché mi andava di rientrare in quello stadio”.
Pentito?
“Ma perché? Sono andato in giro per Milano per quattro giorni e non ho fatto altro che foto e autografi, non sa quanta gente mi ha fermato con affetto. Quelli che mi hanno insultato sabato sera per me sono una minoranza. E comunque non posso avercela più di tanto con chi non sa la verità, o ha fatto finta di non capirla”.
Qual è la verità?
“Io nel 2007 volevo tornare all’Inter e a Branca lo dissi chiaramente. Lui disse che doveva parlare con Moratti, mi tennero in ballo più di una settimana perché il mio ritorno dipendeva dalla partenza di Adriano. E alla fine scelsero Adriano”.
E chi vince lo scudetto?
“Mi piacerebbe tanto dire Inter, ma per come si sono messe le cose mi sa che è più facile pronosticare una qualificazione alla Champions. Almeno per quest’anno”.
E fra Napoli e Juve?
“Tifo Napoli: secondo lei potrei mai dire Juve?”
Sarri prende una decisione a sorpresa per sgonfiare di tensioni la vigilia
Tuttosport scrive sull’atmosfera che si respira in casa Napoli: “Per sgonfiare di tensioni la vigilia, Sarri ha scelto il silenzio e ha abolito il ritiro-pre partita. In queste occasioni bisogna allenare pure la testa e lasciar sedimentare le scorie del doppio ko: a ricaricare la squadra provvederà un San Paolo tutto esaurito mentre il resto lo farà il ritorno dei “titolarissimi” con sei avvicendamenti rispetto al match di Europa League al Madrigal. Non è dato a sapersi se basterà la quel che è certo è che la partita di stasera può rappresentare un punto di svolta nella stagione di entrambe le squadre. Come, peraltro, lo è stata già la gara di andata”
Gruppo compatto e motivato dopo gli schiaffi di Juve e Villarreal
La Repubblica scrive sulla squadra partenopea: “Somiglia a un bivio, anche se il Napoli si è concesso il lusso di una vigilia tranquilla, oltre che silenziosa. Tutti a casa. Niente conferenza per Maurizio Sarri e niente ritiro per i giocatori, nonostante l’enorme importanza della sfida di stasera (ore 21) contro il Milan. Da Castel Volturno, dove gli azzurri si ritroveranno solo per la colazione, è trapelata la massima concentrazione del gruppo: tornato compatto e motivato dopo i due schiaffi subiti in cinque giorni, contro Juve e Villarreal”.
Ecco perchè Sarri ha voluto evitare la conferenza stampa pre-Milan
La Gazzetta dello Sport scrive su Napoli-Milan: “Sarà necessario gestire bene le tensioni del momento. E Maurizio Sarri ha pensato bene di evitare la conferenza pre gara: non è la prima volta che preferisce il silenzio, lasciando trasparire un piccolo cedimento nervoso, dopo le due sconfitte consecutive. Bisognerà capire fino a che punto la squadra ha saputo metabolizzare le due sconfitte consecutive, condizione che non si era mai verificata prima, con Sarri in panchina. Toccherà all’allenatore ridare fiducia ai suoi, perché le motivazioni ciascuno se le trova da solo data l’importanza della partita di questa sera. Rientrerà Gonzalo Higuain, dal primo minuto. Ed è questa la notizia che spinge ad avere maggiore fiducia in questo Napoli. E ci saranno tutti gli altri titolari dopo il turnover europeo. Insomma, le condizioni ci sono tutte per rivedere lo spettacolo che il collettivo ha sempre saputo assicurare, soprattutto al San Paolo: il Napoli è l’unica squadra di Serie A che non ha mai perso sul proprio campo. Urgono i tre punti, per il primato, ma anche per evitare il crollo mentale”
Il caso-simbolo di Totti metafora della perdita. (Paolo Conti)
La parabola del giocatore ricorda uno dei segreti della felicità. Tutto è a tempo: il successo, la gloria, le passioni, il denaro, la salute. Facile a dirsi. Ben più duro viverlo.
L’incredibile vicenda di Francesco Totti, campione-simbolo di una squadra e di mezza Capitale, appassiona anche il pubblico non calcistico. Perché riguarda qualsiasi uomo o donna quando si trova di fronte all’abisso della perdita di ciò che implica la propria stessa identità. Totti «è» la Roma per la lunga dedizione, l’incondizionato amore per la città e per i compagni di squadra. Eppure tanta massa emotiva, quando si percepisce che un lungo capitolo di vita è finito per sempre, e dunque mai nulla tornerà come prima (atleticamente, con la squadra, con i tifosi) conta poco o nulla. Semplicemente è difficile (impossibile?) rinunciare ad «essere Totti», il Capitano.
Il terrore per l’abisso della perdita riguarda tanti campi. L’amore: intere biblioteche parlano di distacco, della fine della passione, dell’abbandono. Perché è un’impresa non sentirsi più «l’uomo» o «la donna» dell’altra persona, e spogliarsi di un abito affettivo. E così per gli incarichi di responsabilità (nella politica, nell’industria, nella finanza, nella cultura, nel mondo televisivo): non «essere» più ministro, assessore, direttore, divo tv può minare personalità solidissime. Allora c’è sempre la residua speranza (l’avrà certo anche Totti) che un ultimo gesto, un’estrema frase, possa cambiare la rotta di ciò che invece è già archiviato. Ma non avviene quasi mai.
La parabola di Totti ricorda uno dei segreti della felicità, ricordare che tutto è a tempo: il successo, la gloria, le passioni, il denaro, la salute. Facile a dirsi. Ben più duro viverlo.
Questa storia ci porta diritti alla metafora delle metafore, alla morte. Perché quando si chiude un capitolo di vita, anche non volendolo, si pensa sempre a Lei. Ieri Aldo Cazzullo raccontava che Umberto Eco «ha riso fino all’ultimo della morte bevendo whisky, mangiando noccioline e raccontando storielle in piemontese». E si trattava di morire. Allora, ma sì, è possibile smettere anche di «essere» il capitano, o l’amante, o il ministro, o l’autore di best seller. Due dita di whisky, ghiaccio, ironia e distacco.
L’egemonia ha bisogno di un’idea. E’ necessario restarle fedeli (Ernesto Galli Della Loggia*)
Al di là della «rottamazione», il presidente del Consiglio non sembra riuscire ad essere protagonista di alcuna vera rottura. Il «renzismo» resterà al massimo una strategia di governo (e di sottogoverno) di successo per un Paese fermo.
In molti suppongono che Matteo Renzi, ormai padrone assoluto della Rai, abbia in animo di usare i potenti mezzi di Viale Mazzini per elaborare e diffondere il «renzismo». Non a caso, e sempre per muoversi nella stessa direzione, osservano altri, già da qualche tempo egli ha deciso di fondare un think tank con sede a Bruxelles, di nome «Volta». E più d’uno — per esempio il direttore del FoglioClaudio Cerasa — aggiunge che tutto ciò farebbe pensare al desiderio da parte del premier di costruire una forte prospettiva ideologica considerata necessaria al consolidamento della sua leadership: con l’intento, addirittura, di trasformare il «renzismo» in un’egemonia culturale.
Magari, mi verrebbe da dire (naturalmente pensando a un’accezione non prescrittivo-autoritaria del termine egemonia). Magari oggi ci fosse in Italia chi si proponesse un disegno così ambizioso. Cioè di tentare di costruire un consenso di ampie dimensioni intorno a una visione per così dire alta e forte del futuro del Paese, essendo inoltre capace di mobilitare a tal fine le necessarie risorse culturali e intellettuali. Ripeto: magari! Una collettività, infatti, non può rinunciare per un tempo troppo lungo — come invece mi sembra stia facendo l’Italia — a guardare lontano, ad avere dei valori che la orientino nel suo cammino, ad avere un’idea di sé e del suo ruolo nel mondo.
E la politica, dal canto suo, o è tutto questo, o è capace di essere il motore di tutto questo, o è routine, pura amministrazione. Il che forse potrà pure andare bene quando tutto va bene. No di certo, però, in tempi come quelli che viviamo. Non mi sembra tuttavia un’impresa affatto facile, per Renzi, consolidare ideologicamente la propria leadership o addirittura costruire un’egemonia culturale. Dirò di più: mi sembra un’impresa impossibile.
Avere dei buoni propositi non basta, infatti. Non basta — come è sua abitudine — profondersi in esortazioni a base di «L’Italia è un grande Paese», «Possiamo farcela», «Non prendiamo lezioni da nessuno». Non basta neppure avere delle idee, anche delle buone idee e magari arrivare perfino a realizzarne qualcuna. È necessario avere una idea: e mantenervisi fedele. Vale a dire avere un traguardo complessivo che faccia tutt’uno con un principio ispiratore di carattere generale. È necessario proporre al Paese non dirò un destino ma almeno una vocazione. Raffigurarsi per esso un percorso esemplare, e in funzione di questo essere capaci di animare le forze presenti ma nascoste, di indovinare quelle nuove da suscitare. Tutto questo dovrebbe oggi fare la politica in Italia per incarnare un progetto.
Ma le riesce impossibile, perche la Seconda Repubblica — e non è certo colpa di Renzi — ha alle spalle il nulla. Laddove invece per immaginarsi un’identità e un futuro, e per raccogliere le energie capaci di conseguirli, un corpo politico deve avere alle spalle qualcosa. Deve avere quella che oggi si dice una narrazione, cioè un racconto del passato che ne giustifichi in modo forte il presente e si apra verso l’avvenire. Così come per l’appunto furono, pur con i limiti e le contraddizioni che sappiamo, l’antifascismo e la Resistenza per la Prima Repubblica. La Seconda ha invece alle sue spalle che cosa? Mani Pulite. Vale a dire un’inchiesta giudiziaria necessaria ma costellata di ambiguità. Non le lotte ma gli avvisi di garanzia. Al posto di Ferruccio Parri, Antonio Di Pietro: è facile capire la differenza.
Il vuoto su cui galleggia la Seconda Repubblica spiega bene la scelta fatta dal presidente del Consiglio circa coloro che dovranno in vario modo gestire il «Volta». Amministratori delegati e dirigenti di grandi imprese (da Lazard ad Autostrade), scrittori, docenti di governance e di public affairs, direttori di musei, esperti di innovation, responsabili di organizzazioni umanitarie, economisti, un paio di professori di diritto e di scienza politica. Per una buona metà inglesi, americani, spagnoli, francesi, tedeschi: i quali si può presumere che sappiano dell’Italia quanto io so del Michigan. Insomma un think tank all’insegna dell’eterogeneità e del più provinciale internazionalismo, infarcito di «grossi nomi» (o presunti tali) messi lì, si direbbe, al solo, italianissimo scopo, di «far bella figura». E che quindi servirà a poco o nulla.
Resterà dunque il vuoto della Seconda Repubblica: vuoto di ideali politici, di futuro, e di una prospettiva per la compagine nazionale. E il presidente del Consiglio resterà privo di quel progetto culturale che viene attribuito alle sue intenzioni. Per il quale, lungi dal servire una cosa come il «Volta», servirebbero semmai dei veri gruppi dirigenti.
Cioè quegli insiemi coesi di personalità, di competenze e di intelligenze, con il gusto per gli affari pubblici, che per solito o nascono in un Paese in seguito a una frattura storica (una rivoluzione, un drammatico cambio di regime), e dunque con una prospettiva fortemente innovativa, o, all’opposto, si formano intorno a una tradizione. Intorno cioè al rapporto con un retaggio culturale, incarnato da un ambiente familiare, da un’appartenenza sociale, da un’istituzione, spesso collocato in un luogo specifico, in un paesaggio, e generalmente tenuto vivo da un sistema d’istruzione adeguato.
Ma Matteo Renzi non rappresenta certo alcuna tradizione né, al di là della «rottamazione», sembra riuscire ad essere protagonista di alcuna vera rottura. Il «renzismo» dunque resterà al massimo una strategia di governo ( e di sottogoverno) di successo per un Paese fermo, in attesa timorosa di ciò che gli potrà capitare domani.
*corrieredellasera
Chi aspetta un passo falso del premier. UGO MAGRI*
Alle opposizioni, che per contratto cercano di far cadere il governo, si sono aggiunti come in un Lego pezzi del cosiddetto «establishment». Cioè gruppi e personaggi finora sempre presenti nelle mappe del potere reale, abituati a condizionare la politica. Ma che ultimamente si sentono messi da parte, in qualche caso sfidati da Renzi. Per cui reagiscono contestandolo.
La lista di questi pianeti ostili si sta allungando.
All’ inizio c’era ruggine coi giudici per la polemica sulle ferie (anche grazie a Mattarella i rapporti con le toghe sembrano adesso migliori, ma definirli ottimi sarebbe eccessivo). Poi le crisi bancarie hanno scosso alcuni santuari della finanza: in Consob e perfino in Via Nazionale non tutti apprezzano il piglio decisionista di Palazzo Chigi. Le nomine di Calenda e di Carrai sono state vissute come dita negli occhi da due corporazioni, rispettivamente la diplomazia e gli apparati della sicurezza, sempre tenute dai politici in palmo di mano. La Cirinnà e le unioni civili hanno alienato le simpatie di un mondo ecclesiastico già frustrato dalla straripante novità di papa Francesco. All’elenco si potrebbero aggiungere i sindacati, che una volta erano capaci di far cadere i governi con il semplice annuncio di uno sciopero. Ma da allora i tempi sono molto cambiati…
C’è insomma una quota di alta burocrazia (non tutta), di «civil servants» (specie i privilegiati), di potentati economici (quelli rimasti) che al capo del governo rimproverano di muoversi con una determinazione sconfinata. Si sentono rispondere da Renzi, vedi ieri nell’Assemblea nazionale Pd, senza alcun timore reverenziale: come se gli attacchi venissero da una casta di mandarini cinesi, anzi di «illuminati aristocratici con molti veti e pochi voti», i quali «per decenni hanno fatto la morale alla politica per apparire cool all’ora dell’aperitivo o del brunch». L’ultima cosa che farà Renzi, sotto il fuoco nemico, sarà di apparire titubante o tremebondo. Nello stesso tempo il premier sa bene che una fetta di classe dirigente lo sta aspettando al varco. Che qualcuno spera di rimpiazzarlo con personalità meno anti-casta. E che per farcela dovrà attraversare, di qui a fine anno, tre anelli di fuoco.
Il primo cerchio sarà la trattativa sul deficit con l’Europa. Sono in discussione non solo gli zero virgola della flessibilità, ma gli obiettivi di rientro dal debito e dunque i 35 miliardi delle cosiddette clausole di salvaguardia che l’Italia dovrebbe rastrellare tra 2017 e 2018. Se il tentativo di «cambiare verso all’Unione» non andrà in porto, se insomma la risposta di Bruxelles sarà negativa, addio tagli delle tasse e spinta ai consumi. Andremo incontro a una nuova stretta di austerità. E i contraccolpi saranno tali da far sognare non solo Brunetta, ma tutti coloro che ai piani alti tifano Merkel in funzione anti-premier.
Il secondo cerchio verrà a coincidere con le elezioni amministrative di giugno: ogni grande città persa dal Pd sarà messa sul conto del premier e considerata prova che la fortuna sta girando altrove. Infine, a ottobre, ecco la «madre di tutte le battaglie», come ebbe a definire Renzi il referendum costituzionale. Anche se non avesse preso l’impegno di dimettersi in caso di sconfitta, è del tutto evidente che nessun premier potrebbe restare al suo posto una volta sconfessato dal popolo. I sondaggi non sono così favorevoli alla riforma come si sarebbe portati a credere, esiste un margine di incertezza.
Ma se Renzi precipitasse, non è detto che il club dei suoi critici avrebbe motivo per brindare. Dipende. Se riuscissero a rimpiazzarlo con qualche personalità meno incline alle rottamazioni, allora certo avrebbero ottenuto il massimo. Se viceversa spalancassero la strada a Grillo o a Salvini, in quel caso passerebbero dalla padella alla brace. Il crinale tra critica e destabilizzazione, oltre che sottile, è dunque assai scivoloso.
*lastampa
ROMA 5 PALERMO 0| Calcio champagne all’Olimpico, Roma sul velluto
Roma- Dopo le incessanti polemiche sul caso Totti-Spalletti, arriva il momento della sfida tra Roma e Palermo, in posticipo serale all’Olimpico, valido per la 26esima giornata di campionato.
Quando l’altoparlante dell’Olimpico annuncia il nome del tecnico giallorosso, arriva la bordata di fischi dei tifosi. Com’era prevedibile, il pubblico sta con il suo capitano che, arrivato in tribuna vip, viene accolto dal coro “c’è solo un capitano!”. Più chiaro di così…
Primo tempo
Il primo acuto è di Salah al 4’, ma non controlla bene la palla che sfila sul fondo.
Al 9’ Vazquez si distingue per un bel cross sul primo palo, ma Szczesny blocca con sicurezza. Ancora Salah al 12’ che tenta l’azione personale, un po’ avido ignora Dzeko e prova la conclusione, ancora palla largamente fuori.
Al 23’ Dzeko protegge una preziosa palla, verticalizza per Keita sulla destra,
al 26’ fallo di Vazquez su Nainngolan che viene atterrato in area ma l’arbitro lascia proseguire.
La Roma pressa in area avversaria, i rosanero sono in evidente difficoltà.
Al 28’ clamoroso errore di Dzeko che su cross di Maicon, a porta vuota, calcia malissimo con l’esterno sinistro bruciando un gol praticamente fatto.
Il pubblico reagisce con veemenza, ma il bosniaco si fa perdonare subito: al 31’ su assist di Pjanic, stoppa di petto e calcia in rete, la palla sfila tra le gambe di Alastra, è il gol dell’1 a 0!
Per Salah non è il momento: fa partire un altro siluro da fuori area al 35’, palla che finisce altissima sopra la traversa.
Il Palermo prova a reagire ma i giallorossi non concedono spazi, al 44’ brivido per i rosaneri: fallo di Gonzalez su Dzeko, punizione dal limite calciata da Pjanic, la palla si infrange sul palo sinistro, Palermo graziato dal legno.
Secondo tempo
La Roma è agguerrita, al 52’ arriva il raddoppio giallorosso: corner per la Roma, Keita riceve in area e mette ko il portiere con un cucchiaio in stile Totti.
Roma 2- Palermo 0
Al 60’ arriva il tris a firma di Salah che, su assist di Dzeko , tira col mancino ad incrociare.
Al 62’ raddoppio dell’egiziano che fa un gol incredibile!!! Nainggolan in arrivo da sinistra palla al piede, dà un’occhiata a destra e crossa per Salah che stoppa di petto, controlla, si porta in avanti ma è ostacolato da un avversario, allora dal fondo tira a giro e la palla entra con gli effetti speciali!!!
Roma 4- Palermo 0.
La Roma ormai va che è una bellezza, gioca sul velluto. Addirittura Dzeko segna il 5 a 0 ma la rete viene annullata per fuorigioco. Al minuto 71’ sostituzione per la Roma: esce Miralem Pjanic per lasciare spazio a Iago Falque e nel Palermo Gilardino lascia il posto a Durdevic. Ma la sostituzione più attesa in casa giallorossa arriva al minuto 77: fuori Maicon, dentro Kevin Strootman dopo ben 393 giorni di assenza. Il calvario del cavallo di razza del centrocampo romanista sembra ormai alle spalle e questa notizia non può che impreziosire una serata già perfetta. C’è tempo anche per Perotti, che all’86’ minuto rileva Salah. Dzeko cala la cinquina all’89’ e firma la doppietta personale di testa!!!
La gara può finalmente dirsi conclusa, la Roma batte il Plaermo per 5 a 0.
FORMAZIONI
Roma (4-3-1-2): Szczesny; Maicon, Manolas, Rudiger, Digne; Florenzi, Keita, Pjanic; Salah, Nainggolan; Dzeko
A disp.:De Sanctis,Castan, Torosidis, Emerson, Vainqueur, Iago, Uçan, El Shaarawy, Perotti, Sadiq
All.:Spalletti
Palermo (3-5-2): Alastra; Struna, Gonzalez, Andelkovic; Morganella, Hiljemark, Brugman, Jajalo, Pezzella; Vazquez, Gilardino.
A disp.: Posavec, Vitiello, Rispoli, Trajkovski, Bentivegna, Cionek, Chochev, Quaison, Balogh, Cristante, Maresca, Djurdjevic
All.:Iachini
Arbitro:Giacomelli
Us Meta – ASD San Paolo 1970 2-1: Gargiulo non basta!
Partita equilibrata, è il San Paolo a passare in vantaggio al minuto 15′ con un gran tiro dalla distanza di Vincenzo Gargiulo che non dà scampo al portiere avversario. Il Meta va all’attacco subito ma il portiere del San Paolo si supera su un paio di occasioni. Nella ripresa il San Paolo sembra meno tonico e su uno svarione difensivo i padroni di casa portano il risultato in parità con Marciano. Solo due minuti e il Meta ribalta il risultato con una conclusione dalla distanza di Di Palma che finisce sotto la traversa. Al 20esimo il San Paolo rimane in 10 per doppia ammonizione di Sirico. Fischio finale, Us Meta – ASD San Paolo 1970 2-1.
I negoziati di Bruxelles non hanno scongiurato la brexit
E accordo sia, allora sulla brexit. Il nostro premier, parafrasando sui vari punti degli accordi, ha commentato positivamente gli esiti dei negoziati con il primo ministro della Gran Bretagna. ‘Il bicchiere è mezzo vuoto e mezzo pieno.. anzi pieno per tre quarti’ – ha dichiarato. Ovviamente intendeva in favore dell’Unione. Ma in Europa, quella più propensa a riconoscersi un ruolo di appartenenza al vecchio continente, non si festeggia nulla, né sul presunto scongiurato pericolo della brexit, né sul contenimento delle concessioni, che non sono state comunque ‘regalini’ a buon mercato. Il problema sta forse nei Trattati, che non sono porte blindate per quel che concerne l’esigenza di unità e maggiore integrazione. Sono porte socchiuse, e da tutte quelle fessure passano i venti di libertà e autodeterminazione di quei paesi dell’Unione che non si sono mai riconosciuti dentro l’anima indivisibile dell’Europa.
Paesi che non cedono nulla in termini di slancio verso l’obiettivo della vera unione dei popoli europei; gli inglesi non esprimono questo sentire, è assolutamente evidente che nei loro orizzonti non ci sono traguardi di questo tipo, ma solo ed esclusivamente un allinearsi per ragioni di puro tornaconto. Certo, nelle considerazioni su questa struttura sovranazionale – qual è l’Unione Europea – non si può prescindere da motivazione di carattere economico, ma non si possono nemmeno ignorare le ragioni culturali, antropologiche, sociali, che caratterizzano e conferiscono identità al vecchio continente. Entrare dalla porta e uscire dalla finestra, esprime un po’ di squallore, dato il puntiglioso sottolineare ‘della ferma, ostinata volontà, di stare a distanza di sicurezza’ dalle briglie di questa Unione. L’Europa ‘usa e getta’, è una concezione che non ha aderenza con i principi più nobili che hanno ispirato i padri fondatori, e certo non sarebbe piaciuta a Churchill. Ma tant’è..
Visto che si punta solo alla questione economica, e gli inglesi avrebbero più da perdere rispetto agli altri paesi dell’Unione qualora decidessero di uscire, ci si chiede perché questa grande paura di lasciarli andare per i fatti loro, se non sentono alcun vincolo nei confronti di quel nobile, civile, fiero senso d’identità in cui si riconoscono gli europei. C’è in ogni caso un’ostentata ‘presunzione’ in questo sdegnoso rifiuto di conciliare con le norme dei trattati. Il premier inglese ha sottolineato in particolare che, nei loro intendimenti, c’è quello di acquistare maggiore autonomia, e dunque la volontà di allontanarsene, il timore di sentirsi la pastoia ai piedi, qualora si arrivasse ad un governo unico e all’unione anche politica dei paesi membri. Un rischio da scongiurare, per loro. Ha senso che un paese così refrattario e ‘ribelle’, se ne stia in periferia? E se si arriverà davvero a formare gli Stati Uniti d’Europa, il Regno Unito, che ruolo potrebbe svolgere davanti ad uno Stato federale? Quale forza di gravità?
Di certo, gli inglesi che andranno ad esprimere il loro voto tra qualche mese (il referendum è stato indetto per il 23 giugno prossimo) – brexit sì, brexit no – forse non faranno neppure valutazioni di questo tipo, buona parte, secondo i sondaggi, voteranno istintivamente per correre da soli, e se otterranno questo sospirato ‘divorzio’, non sarà una prateria sconfinata di vantaggi nel contesto geografico del continente. Chissà se Cameron, e gli altri 5 ministri che dovrebbero conciliare con lui sull’opportunità di stare nell’Unione, dividendo in due il governo sulla linea di ferro della brexit, riusciranno ad aprire gli occhi al popolo inglese.
Per quel che riguarda gli accordi di Bruxelles, in verità non vi sono reali ragioni per essere soddisfatti. Come già era previsto, le ‘trattative’ si sarebbero concluse solo col ricorso al compromesso, perché chiaramente nelle intenzioni di Cameron e del suo entourage di governo, c’erano rischi e margini di manovra ben calcolate, nel senso che si chiedeva 10 per strappare 6/7. Ed è quello che più o meno si è ottenuto, anche in ambito di accesso al welfare state, da parte dei lavoratori europei che svolgono attività nel Regno Unito. Cameron aveva chiesto un limite a tali benefici per 13 anni, e gli accordi si sono raggiunti invece per 7. Il governo inglese potrà esercitare pertanto il limite di accesso ai diritti previdenziali (sanità e indennità di disoccupazione), per 7 anni, cioè fino al 2024.
Cameron comunque ritiene di avere conquistato terreno sulla dibattuta questione delle immigrazioni, con un migliore controllo sulle frontiere, e una gestione più favorevole del welfare per il governo.
Sull’indicizzazione degli assegni dei lavoratori che hanno sul loro stato di famiglia figli residenti nel paese d’origine, si è stabilito che essi avranno diritto all’assegno per i minori a carico, secondo il reddito medio del paese d’origine, quindi in base a questi criteri gli assegni saranno erogati. In questo delicato punto della trattativa, gli inglesi avranno diritto al beneficio pieno solo a partire dal 2020.
Il premier inglese ritiene di avere raggiunto i suoi obiettivi, perché del suo ‘pacchetto’ di richieste, si è portato a casa buona parte di quello che aveva chiesto; in fin dei conti questa era la sua condizione per la permanenza nell’ UE. In virtù delle sue battaglie, da inquilino privilegiato, ha ottenuto una sorta di ‘Statuto speciale per la Gran Bretagna’, e tiene a sottolineare che rivendicherà sempre la propria indipendenza nel consesso dei 28 paesi membri, si è assicurato che non farà mai parte di uno stato federale (se mai ci sarà in futuro..), né l’esercito del Regno Unito potrebbe mai essere parte di questo super stato..
In breve, ha ottenuto ulteriori vantaggi e autonomia, uno status particolare di privilegi, in cambio di nessuna volontà di avvicinamento al vero spirito di Unità, che tradotto in pratica, significa tenersi lontani dalla vera Europa, se non per le proprie convenienze e opportunità di carattere puramente economico. Un’Europa ‘riformata’, che non sembra ancora abbastanza duttile per i sudditi di Sua Maestà, visti gli umori del dopo Bruxelles, ossia un senso d’insoddisfazione, o quasi indifferenza, che è anche peggio. I quotidiani sono un po’ scettici e cauti, dall’Indipendent, al Financial Times, al Daily Express, al The Guardian. Nessuno esprime ottimismo, sembra un terreno chiodato la questione della brexit. Timori, tuttavia ve ne sono nel mondo economico, e alla City; quando si ragiona con i numeri, la razionalità non è un optional.
La crisi delle certezze è aperta sull’economia globale, e non è il migliore momento per rischi così importanti; per la Gran Bretagna, la brexit, potrebbe essere la carta peggiore sulla quale puntare i propri azzardi. Ma si sa: sono sempre i popoli, nel bene e nel male, a scrivere la loro storia. E’ ineluttabile.
Napoli-Milan: probabili formazioni
“Monday Night” al San Paolo: Napoli e Milan si affrontano per la 26esima giornata di serie A (ore 20:45).
Gli azzurri sono chiamati al riscatto viste le prestazioni poco brillanti nelle ultime due uscite contro Juventus e Villareal: due sconfitte incassate nei minuti finali, due gol subiti e zero realizzati.
La partita con il Milan è un’ occasione da non fallire dato che permetterebbe al Napoli di riacciuffare la vetta della classica complice lo 0-0 della Juventus a Bologna. All’ andata non ci fu storia con la banda di Sarri che espugnò San Siro con quattro reti; attualmente il Milan è una squadra in netta ripresa reduce da tre vittorie e un pareggio con Mihajlovic che sembra aver trovato la giusta quadratura.
Sarri può contare su tutti gli effettivi, anche se, dopo i sei cambi operati in Europa League, dovrebbe schierare i “titolarissimi”.
In difesa rientrano Albiol e Ghoulam. A centrocampo Jorginho, smaltita l’ influenza, torna in cabina di regia affiancato da Allan e Hamsik. In avanti tridente tipico col pipita Higuain a secco da due gare.
Buone notizie dall’ infermeria: Grassi pienamente recuperato si accomoda in panchina.
Tra le fila dei rossoneri la buone notizia e il recupero di Abate sulla destra; Mihajlovic rischia di fare a meno di Romagnoli che si allenato a parte, al suo posto pronto Zapata. Si rivede fra i convocati Kucka che dovrebbe partire dalla panchina. In attacco spazio alla coppia Niang-Bacca, entrambi in grande spolvero; ennesima bocciatura per Balotelli.
ECCO LE PROBABILI FORMAZIONI.
Napoli(4-3-3): Reina,Hysaj,Albiol,Koulibaly,Ghoulam,Allan,Jorginho,Hamsik,Calle jon,Higuain, Insigne. All. Sarri
Milan(4-4-2): Donnarumma,Abate,Alex,Zapata,Antonelli,Honda,Montolivo,Bert olacci,Bonaventura,Bacca,Niang. All. Mihajlovic



