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Agguato in piazza a Gela: ferito pregiudicato 32enne. Preso uno dei feritori

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L’uomo ha tentato la fuga in pieno centro, dove era in corso una festa con prodotti agricoli, tra il fuggi fuggi generale

GELA – Agguato intorno alle 21.30 di domenica nel centro storico di Gela. Due killer in sella a una moto hanno sparato alcuni colpi di pistola contro un uomo di 32 anni, Gaetano Marino, con precedenti per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti, che stava passeggiando tra la gente con la fidanzata. Davanti alle vetrine di un negozio, nella centrale via Trieste. Gli agenti del commissariato di Gela, in collaborazione con gli uomini della Squadra Mobile, hanno arrestato un pluripregiudicato, Salvatore Noviziano, di 25 anni. Il giovane dopo essere stato rintracciato nella sua abitazione, ha ammesso di aver sparato a Marino con una calibro 7,65 perchè il giorno prima i due avevano avuto una violenta discussione: si tratterebbe quindi di una vendetta. Gli inquirenti sono risaliti a Noviziano dopo aver vagliato le immagini delle telecamere concentrate sulla zona.

Marino è stato raggiunto da alcuni proiettili all’addome e, malgrado le ferite, ha tentato la fuga verso piazza Umberto, dove si svolgeva la “festa dell’abbondanza” di prodotti agricoli. C’è stato un fuggi fuggi generale. A soccorrerlo è stata una volante della polizia che passava sul corso dove a quell’ora è in vigore l’isola pedonale. I medici dell’ospedale Vittorio Emanuele si sono riservatati la prognosi comunque ritengono che le condizioni del ferito non siano gravissime. Illesa la fidanzata di Marino. Sull’episodio indagano polizia e carabinieri. Sul luogo dell’agguato trovati tre bossoli sparati da una pistola automatica.

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I rimedi per una guerra fuori dal tempo

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MARIO CALABRESI: “Il Paese ha bisogno di concretezza, non di guerre. Le critiche al potere sono necessarie ma la generalizzazione e la sfida plateale rischiano di alimentare uno scontro con la politica che perde di vista le necessità dell’Italia”

IL CONFRONTO scoppiato negli ultimi giorni tra la magistratura e il primo ministro appare datato, fuori tempo e soprattutto inutile. Terminato il ventennio berlusconiano avevamo tutti sperato in una nuova stagione capace di restituire rispetto ed efficienza sia all’azione giudiziaria sia a quella politica, ci ritroviamo invece in duelli verbali sterili e sfinenti.

Il nostro Paese è talmente rallentato e in crisi da non potersi permettere il lusso di nuove guerre di religione che finirebbero per rinviare ogni tentativo di migliorare il nostro sistema condannandoci tutti alla retrocessione. Ma voglio partire subito dal fondo, dai possibili rimedi, anziché rifare per l’ennesima volta l’analisi dei problemi e di torti e ragioni delle due parti. Cominciamo da ciò che ci si aspetterebbe dal governo: una serie di misure che dimostrino la volontà di restituire efficienza e dignità al sistema della giustizia. E questo deve essere fatto non tanto perché lo chiede la magistratura, ma perché è quello di cui necessitano i cittadini, che oggi stanno perdendo fiducia nel funzionamento dei tribunali.

È quello che chiedono le imprese, per recuperare efficienza negli appalti, è quello che vorrebbero gli investitori internazionali, tanto cari al premier, che ripetono in continuazione di stare lontani dall’Italia per l’insostenibile lunghezza di ogni possibile contenzioso. Bisogna anzitutto che Renzi si impegni a far varare subito le nuove norme sulla prescrizione, che è diventata garanzia di impunità. Lo è per i reati della classe dirigente, che svaniscono prima che si arrivi a pronunciare una sentenza, ma anche per un’infinità di crimini che condizionano la vita degli italiani: dai furti in appartamento alle frodi sempre più diffuse, fino ai guasti provocati da chi ha bruciato i risparmi di migliaia di persone.

L’allungamento dei termini di prescrizione è però un palliativo se non si revisiona l’intera macchina della giustizia, penale e civile, per portare i tempi entro quegli standard europei che sono indispensabili a una società moderna. Non è accettabile aspettare otto anni per un verdetto. È un muro che frena la possibilità di crescita economica e di sviluppo sociale ed è un alibi per molte delle inefficienze della magistratura. Per questo il governo deve mantenere le promesse. Stanziare risorse per migliorare il funzionamento dei tribunali, colmare i vuoti negli organici della magistratura e soprattutto delle altre figure professionali, come i cancellieri; investire in dotazioni informatiche e prassi telematiche che snelliscano l’attività. Ma anche varare quelle riforme nella procedura e nell’organizzazione giudiziaria per eliminare gli ostacoli che bloccano il processo. Due anni fa proprio Renzi creò una commissione di studio, chiamando a Palazzo Chigi magistrati di spessore come lo stesso Piercamillo Davigo e Nicola Gratteri. Che fine hanno fatto le loro proposte? Il premier ha di fronte a sé un’occasione storica per chiudere lo scontro tra magistratura e politica che ha segnato l’ultimo ventennio, ma per farlo deve mostrare di avere a cuore la riforma della giustizia quanto quella della legge elettorale.

Con la legge Severino – che necessita di miglioramenti ma rappresenta una svolta epocale nel contrasto del malaffare politico – sono stati introdotti nuovi reati per sanzionare le forme moderne di corruzione. Ma resta un vulnus, un pericoloso buco nero. Perché oggi a dominare il finanziamento della politica non sono più le tesorerie di partito, ma le fondazioni dei singoli esponenti e dei singoli gruppi – ancora più importanti nelle dinamiche parlamentari delle vecchie correnti – e che stando alle inchieste sono anche diventate il canale per le sovvenzioni più sporche. Le fondazioni sono determinanti per la vita democratica ma mancano di qualunque regolamentazione che imponga la trasparenza e punisca i comportamenti illeciti. Anche su questo punto il governo dovrebbe varare subito una legge che cancelli i sospetti, perché in questo ventennio è profondamente cambiato l’atteggiamento dei cittadini verso la politica, un sentimento reso più intransigente dalla crisi economica. Peccati che un tempo apparivano veniali non sono più tollerati, in un’evoluzione sociale che ci sta allineando agli standard di rigore delle democrazie occidentali: le auto blu e gli altri privilegi “di casta” a carico del contribuente, le case in affitto a prezzi irrisori, i doni di lusso (ma anche le raccomandazioni e le assunzioni dei “figli di”) adesso appaiono intollerabili. Su questo fronte il Parlamento deve fare ancora di più, per dimostrare che intende essere all’altezza delle aspettative degli elettori. È un passaggio fondamentale per restituire credibilità alla politica che deve cominciare dalla capacità di giudicare autonomamente i comportamenti dei parlamentari e delle figure istituzionali senza attendere il verdetto dei giudici.

Negli scorsi mesi due ministri si sono dimessi pur non essendo indagati, ma altri mantengono le loro cariche (un sottosegretario e il comandante di una forza armata, solo per citare i casi più recenti) nonostante non solo siano indagati ma le intercettazioni della magistratura ne abbiano mostrato comportamenti a dir poco spregiudicati. E allora, ricordando la rapidità con la quale Renzi ha chiesto e ottenuto le dimissioni di Federica Guidi, viene da domandarsi: sono comportamenti compatibili con la gestione dei loro incarichi? Lasciarli al loro posto non arreca un danno all’immagine delle istituzioni?

Ora torniamo all’inizio: il Paese ha bisogno di concretezza, non di guerre. Le critiche al potere sono necessarie, soprattutto se pronunciate da magistrati autorevoli. Ma la generalizzazione (“i politici rubano più di prima”) e la sfida plateale che emerge dalle parole di chi guida un’associazione delicata e importante come quella dei magistrati rischiano di alimentare uno scontro con la politica che perde di vista le necessità dell’Italia.

Il Paese è molto cambiato dai tempi di Mani Pulite, anche se Davigo nelle sue interviste sembra un po’ troppo legato a quella chiave di lettura, esacerbando così i toni dello scontro. Oggi anche la corruzione è diversa. Non siamo più a Tangentopoli, non esiste più il sistema dominato dai partiti, che li finanziava imponendo bustarelle su tutte le attività pubbliche, dai comuni ai ministeri. Quel mondo è finito ma il malaffare resta, in forme forse ancora più pericolose per la vita democratica. Tutte le ultime indagini ci svelano una corruzione trasversale, “gelatinosa”, gestita da cricche e comitati d’affari in cui il ruolo dei politici spesso è secondario: sono al servizio di figure imprenditoriali o addirittura di boss. È lo scenario di inchieste come Mafia Capitale, Mose e Expo. Ed è il modello verso cui sta convergendo la criminalità organizzata che – come ha denunciato tra l’altro il presidente del Senato Grasso – per espandersi predilige la corruzione alle armi.

In questo scenario però non possiamo dimenticare che i cittadini non riescono ad avere giustizia e tendono a diffidare non solo dei politici ma anche dei magistrati, spesso visti come una casta più preoccupata di tutelare i propri interessi che non di amministrare la giustizia. Sicuramente questo è frutto anche di una lunga campagna di delegittimazione portata avanti da alcuni media e parlamentari negli anni del berlusconismo. Ma non si può negare che la magistratura abbia una sua parte di responsabilità nel cattivo funzionamento della macchina giudiziaria.

L’incapacità di tutelare le vittime e di punire in modo efficace i colpevoli è sotto gli occhi di tutti: una situazione diventata ormai inaccettabile che ha i suoi esempi più visibili nella lentezza dei processi, nell’inefficienza degli uffici, nella sciatteria con cui migliaia di fascicoli vengono lasciati marcire, nella gestione di grandi casi con sentenze che si smentiscono ben oltre la fisiologia processuale. I magistrati possono e devono fare molto per migliorare la situazione. Hanno un organo di autogoverno che per anni è apparso solo impegnato nella tutela corporativa ma che può diventare il luogo del cambiamento, mettendo al servizio del Paese esperienze e competenze. Il modello è quello che alcuni procuratori di primo piano come Giuseppe Pignatone e Armando Spataro stanno facendo con l’autoregolamentazione delle intercettazioni, uno dei punti di scontro più duri tra parlamentari e toghe dello scorso ventennio. La capacità di correggere errori e derive senza attendere l’azione politica è il modo migliore di fare le riforme e di rispondere alle domande della società.

Quanto ci farebbe bene avere mesi di cammino comune anziché l’ennesima stagione di una serie che nessuno ha più voglia di vedere

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Renzi: “Basta con la politica subalterna ai magistrati. Ora norme per accelerare i processi”

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L’intervista a Matteo Renzi. “Davigo? faccia nomi e cognomi ” ma dire che “sono tutti colpevoli significa dire che nessuno è colpevole”. Matteo Renzi non accetta l’equazione del neo presidente dell’Anm. Difende la “politica” e anzi avverte che è “ormai finito il tempo della subalternità”. La stagione apertasi con Tangentopoli, insomma, si è chiusa. Quindi, ripete, non si sta riaprendo un nuovo scontro con la magistratura: “Noi facciamo le leggi, loro i processi”. E nel giorno in cui l’Italia festeggia la Liberazione, ricorda quali siano i limiti fissati dalla nostra Costituzione. Il suo valore costitutivo è “l’antifascismo”. Per il quale è ancora “giusto tenere alta la guardia”.

Pochi anni fa il centrodestra proponeva di abolire questa Festa. E’ una data che rappresenta il nucleo dei valori della Repubblica. Vede in pericolo quei valori?
“No. L’antifascismo è elemento costitutivo e irrinunciabile della nostra società. Giusto tenere alta la guardia”.

La destra populista che a Roma si presenta con il volto della Meloni e della grillina Raggi non sono il segno che il senso più profondo della Liberazione rischia di essere travolto?
“No. Fossi romano voterei Giachetti, senza esitazioni. Candidato serio e competitivo. La destra e i cinque stelle sono alternativi al Pd nei progetti. Aggiungo che nei programmi concreti mi sembrano inconsistenti e superficiali. Ma tutti, nessuno escluso, ci riconosciamo nei valori della Costituzione. Sostenere il contrario significa dare spazio alla delegittimazione come arma della politica. Io invece rispetto i miei avversari. Voglio sconfiggerli nelle urne, ma ne rispetto la funzione democratica “.

Soprattutto nel suo partito, qualcuno ritiene che la riforma costituzionale sia una mina piazzata proprio sotto gli ideali della Costituzione nata sui principi del 25 aprile. La accusano d’aver avallato una deriva autoritaria.
“Ma per favore! Un po’ di serietà. La deriva autoritaria è quella che ha portato il fascismo. Qui non cambiamo nemmeno i poteri del Governo. Si può essere d’accordo o meno con la riforma costituzionale, ma proprio il rispetto per la Guerra di Liberazione dovrebbe imporre di confrontarci nel merito”.

Anche sul terreno della giustizia. Il presidente dell’Anm Davigo sostiene che tutti o quasi i politici siano dei ladri.
“I politici che rubano fanno schifo. E vanno trovati, giudicati e condannati. Questo è il compito dei magistrati, cui auguriamo rispettosamente di cuore buon lavoro. Dire che tutti sono colpevoli significa dire che nessuno è colpevole. Esattamente l’opposto di ciò che serve all’Italia. Voglio nomi e cognomi dei colpevoli. E voglio vedere le sentenze”.

Quelle parole sono un’invasione di campo?
“No. Una politica forte non ha paura di una magistratura forte. È finito il tempo della subalternità. Il politico onesto rispetta il magistrato e aspetta la sentenza. Tutto il resto è noia, avrebbe detto Califano”.

Il pm Di Matteo ieri su Repubblica accusa la classe politica addirittura di andare a braccetto con la mafia.
“Vale lo stesso principio. Nomi e cognomi, per favore. E sentenze”.

Scusi, ma nelle regioni del nostro mezzogiorno, la sensazione di uno Stato poco presente c’è. Ed è la premessa per il proliferare della criminalità organizzata.
“Sono reduce da una giornata campana e dalla firma del primo patto per il Sud, dieci miliardi di euro per la Campania di Enzo De Luca, con impegni scritti e tempi certi. Una rivoluzione nel metodo e nel merito. Non ci tiriamo indietro e ci stiamo impegnando senza tregua”.

Forse c’è bisogno di riformare anche la giustizia. Di dare più risorse. Pensa di intervenire sulle intercettazioni?
“Personalmente non sono interessato all’ennesima discussione sulle intercettazioni, che credo riguardi soprattutto la deontologia del giornalista e l’autoregolamentazione del magistrato. Sulle riforme abbiamo aumentato la pena per i corrotti, istituito l’Autorità Nazionale con Cantone, obbligato chi patteggia a restituire tutto il maltolto, inserito il reato ambientale. Adesso la priorità è che si velocizzino i tempi della giustizia”.

E quindi che fine fa la legge che allunga i tempi della prescrizione?
“Va bene allargare la prescrizione, ma dando tempi certi tra una fase processuale e l’altra. Non è umanamente giusto che si debbano attendere anni, talvolta decenni, per finire un processo”.

Sembra comunque che riemerga un nuovo scontro tra magistratura e politica.
“Non mi pare. Invito tutti a fare il proprio lavoro nel rispetto della carta costituzionale. Noi facciamo le leggi, loro fanno i processi. Buon lavoro a tutti”.

In questi mesi si è spesso discusso di un taglio delle tasse. E’ possibile una manovra fiscale prima delle amministrative?
“No. Non abbiamo fatto in tempo ancora a festeggiare l’abolizione dell’Imu, studiare gli effetti del super-ammortamento per le aziende al 140%, valutare l’impatto dell’abolizione dell’Irap, ottenere riscontro dall’abolizione delle tasse sull’agricoltura, e dovremmo già fare un’altra manovra? Questo è il Governo che ha ridotto più tasse nella storia repubblicana, sfido chiunque a dire il contrario. La prossima riduzione fiscale sarà con la Stabilità 2017”.

In quell’occasione si possono abbassare le aliquote Irpef?
“Vedremo in Stabilità. Calma e gesso. L’unica cosa di cui i cittadini possono essere tranquilli è che le tasse continueranno a scendere”.

Ogni obiettivo, però, va misurato con i dati reali. Lei ha previsto una crescita quest’anno dell’1,2%. Molti istituti come l’Fmi hanno stime inferiori. La Germania arriverà all’1,7. Da noi qualcosa non va.
“Anche lo scorso anno il Fondo ha sottostimato la nostra crescita allo 0,5 ed è stata di 0,8. Quanto alla differenza con gli altri Paesi europei, non partiamo di rincorsa: avendo avuto tre anni di recessione è più difficile rimetterci in pari. Ma ci stiamo vicini, finalmente”.

Ed è sicuro che le sue ricette siano compatibili con i parametri europei? Siamo sempre sotto osservazione.
“Tutti i Paesi sono sempre sotto osservazione. Ma adesso la musica mi sembra cambiata: non siamo più il problema, non siamo più nell’occhio del ciclone. Anzi, mi faccia fare i complimenti a Padoan per l’ottimo lavoro a livello europeo. E con lui a tutto il team, da Calenda a Gualtieri. Come ha riconosciuto sul suo giornale ieri il fondatore Scalfari siamo passati dalla fase delle sole critiche alle proposte. Ma noi continueremo a insistere per parlare più di crescita che di austerity”.

A proposito, Draghi ha fatto bene a rispondere alle pressioni tedesche sui tassi?
“Assolutamente sì. La maggioranza dei Paesi lo sostiene con vigore, non solo noi”.

Con l’estate l’Italia torna sotto pressione dal punto di vista delle migrazioni. Che fine fa il Migration Compact che avete proposto a Bruxelles?
“I numeri non sono così drammatici come qualcuno vorrebbe far credere: siamo in linea con gli ultimi due anni. Ma diciamo la verità: dopo mesi finalmente si riconosce che la cosa veramente necessaria è cambiare approccio a livello europeo, impostando una diversa relazione con l’Africa. Lo dicevamo solo noi, un anno fa. Adesso lo dicono tutti. La scommessa è passare dalle parole ai fatti: io ci credo”.

I numeri non saranno drammatici, ma i cittadini europei non la pensano così. Ha visto cosa è successo in Austria?
“Certo, è un campanello d’allarme. Rispetto le scelte del popolo austriaco, ma sono convinto che loro rispetteranno le decisioni prese dall’Ue”.

Veramente stanno per chiudere il Brennero.
“Sarebbe un problema per l’Europa. Un passo indietro per i valori del trattato di Schengen. Un danno enorme per gli ideali europei e per l’economia dei nostri due Paesi”.

La strada per affrontare l’emergenza immigrati passa per la Libia. Un governo adesso si è formato. Interverrete militarmente?
“No. Interverremo solo se il Governo Serraj chiederà a noi e al resto della comunità internazionale un sostegno. E solo insieme alla comunità internazionale. Pronti a un ruolo forte, ma niente avventure”.

Tornando alle vicende domestiche. A giugno si vota nelle cinque città più importanti. Teme un voto contro di lei? Qual è il risultato minimo accettabile per il Pd?
“Il voto amministrativo è un voto sui sindaci. Sulle persone. Non è un voto di partito. Impossibile dunque fare previsioni o azzardare risultati minimi: si vota per il primo cittadino, non per il primo ministro”.

Il referendum costituzionale, però, un voto su di lei lo sarà.
“Sono pronto a discutere nel merito con chiunque. Ma questa riforma è un fatto storico. Sarà il popolo a dire sì o no, con buona pace di chi parla di vulnus democratico. Io, da parte mia, farò campagna elettorale in tutte le regioni, nelle piazze e nei teatri, per spiegare le ragioni dell’Italia che dice sì. Dell’Italia che non vuole solo contestare”.

Un’ultima domanda in qualità di tifoso di calcio. Dai diritti tv alla gestione del sistema di quello sport nel suo insieme, si susseguono scandali. Sta pensando ad una riforma del settore?
“Si, ci sta lavorando in modo costante il sottosegretario Lotti. Questione di qualche settimana e presenteremo il nostro progetto “.

vivicentro.it-politica / larepubblica / Renzi: “Basta con la politica subalterna ai magistrati. Ora norme per accelerare i processi”. CLAUDIO TITO

Dall’ Ulivo al PdR, il volto e le radici

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Mappe. Le prossime elezioni locali e il referendum d’autunno ci diranno cos’è oggi il Pd dopo il passaggio dall’ Ulivo al PdR

SONO passati vent’anni dal 21 aprile 1996. Quando l’Ulivo, guidato da Romano Prodi, vinse le elezioni. Di fronte alla coalizione di Centro-destra costruita da – e intorno a – Silvio Berlusconi. Il Polo per le Libertà. Anche l’Ulivo, d’altronde, era una coalizione. Aggregava i post-comunisti del Pds, i post-democristiani (di sinistra) del Ppi, insieme alle forze della sinistra socialista, riformista. Cattolico-sociale ed ecologista.

Dopo la vittoria elettorale, l’Ulivo di Prodi governò poco più di due anni. Nell’ottobre del 1998, infatti, il governo venne sfiduciato da alcuni parlamentari della sinistra neo-comunista. Ma proseguì, sotto la guida di Massimo D’Alema. Fin dalle origini, dunque, emergono i limiti di questo nuovo soggetto politico, che riunisce le tradizioni e le componenti del centrosinistra. Anzitutto: la difficile coesistenza fra tradizioni politiche e sociali diverse. Tra centro e sinistra. In particolare: fra post-democristiani e post- comunisti. In secondo luogo: il conflitto fra leader. Meglio, l’assenza di una leadership condivisa. O, comunque, dominante. Così, dal 1996, il Centro-sinistra inizia un faticoso cammino. Alla ricerca del Centrosinistra- senza-trattino. I suoi soci fondatori, a loro volta, hanno cambiato nome e ragione sociale. Per limitarci a soggetti principali: da Pds a Ds, da Ppi alla Margherita, passando per i Democratici. Mentre, fra il 2005 e il 2007, l’Ulivo si è trasferito sotto le bandiere dell’Unione. Dunque, “coalizione”. E questa resta la discriminante nel concepire il Centrosinistra. Con o senza trattino. Cioè: come coalizione oppure soggetto unitario. Una novità importante, anzi, essenziale, sotto questo profilo, è l’introduzione delle Primarie. Come metodo di scelta dei candidati. E dei dirigenti. Ciò avviene nel 2005, in occasione delle elezioni regionali. Quindi, in vista delle elezioni politiche del 2006. Che riporteranno Romano Prodi alla guida del Centrosinistra e del governo.

Ispiratore del progetto, accanto a Romano Prodi, è Arturo Parisi. Che vede nelle primarie non solo un metodo di selezione del gruppo dirigente e dei leader. Ma un marchio, un elemento di distinzione politica. Per usare le sue stesse parole: il “mito fondativo” del Partito dell’Ulivo, in alternativa all’Ulivo dei partiti. Un progetto che, nel 2007, sfocia nel Partito Democratico. Echeggia, non per caso, l’esperienza americana, di una democrazia maggioritaria, bipolare e tendenzialmente bipartitica. Personalizzata. In fondo: presidenziale. Tuttavia, il Partito Democratico non dissolve le divisioni da cui sorge. E a cui vorrebbe – dovrebbe – dare risposta. La distanza, nel Centrosinistra, fra tradizione comunista e democristiana, in particolare, rimane evidente. E si riproduce nella geografia elettorale del Paese. Come emerge chiaramente alle elezioni del 2008, quando il Centrosinistra si presenta unito nel Pd, guidato da Walter Veltroni. E viene sconfitto nettamente da Silvio Berlusconi. Anche perché non riesce a liberarsi dei vincoli territoriali del passato. Il Pd, infatti, risulta tanto più forte dove, nei primi anni Cinquanta, lo era già la Sinistra comunista. E, dunque, appare tanto più debole dove, invece, era più forte, sul piano elettorale, la Democrazia Cristiana. Così, quasi sessant’anni dopo, il Pd fatica ad affermarsi nel Nord e, in particolare, nel Lombardo-Veneto, presidiato dal Forza-Leghismo.

D’altro canto, dentro al Pd si riproducono tensioni “personali” che complicano l’affermarsi di “un” leader. Il passaggio dall’Ulivo all’Unione, fino al Partito Democratico, non risolve le difficoltà del Centrosinistra-senza-trattino. E il Pd resta un progetto e un soggetto incompiuto. Almeno, fino all'”irruzione” di Matteo Renzi. Il quale è favorito, anzitutto, dal declino di Berlusconi. Che apre un vuoto in-colmabile in un Centrodestra creato a sua immagine. Renzi è, per storia personale, un post-democristiano. Cresciuto nell’Ulivo di Prodi. Nella Toscana Rossa. Si afferma attraverso le Primarie. Dopo aver perduto, dapprima, “contro” Bersani. Cioè: contro l’eredità post-comunista. Nel Pd diventa, così, segretario “contro” il passato. Contro D’Alema e Rosy Bindi. Cioè: contro la tradizione post-comunista e post-democristiana. Così, alle elezioni europee del 2014, per la prima volta, il “suo” Pd supera e scavalca gli antichi confini. E vince dovunque. Ben oltre le regioni rosse. Espugna, infatti, le province del Nordest e della Lombardia. Bianche e anticomuniste. Da sempre. D’altronde, l’antica frattura ideologica è stata rimpiazzata, negli ultimi anni, da una nuova frattura. All’anti-comunismo si è sostituita l’antipolitica. Interpretata da Grillo e dal M5s. Che, per questo, non hanno una geografia specifica. Perché l’antipolitica, l’opposizione alla politica e ai politici “tradizionali” sono trasversali. Da destra a sinistra, da Nord a Sud, passando per il Centro. Renzi è abile a interpretare entrambe le fratture. Quella ideologica ma anche quella anti-politica. Lui, il “rottamatore”, non ha vincoli né appartenenze. Inoltre – e soprattutto – fa del Pd un “partito del leader”. Centralizzato e personalizzato. Il PdR. Il Partito Democratico di Renzi. Che tende ad evolvere nel PdR, il Partito di Renzi. Soprattutto se il referendum costituzionale di ottobre, trasformato in un referendum personale pro o contro di lui, si traducesse una investitura personale.

Così, vent’anni dopo l’avvento dell’Ulivo, il Centrosinistra sembra approdato a un Partito del Leader, a-ideologico e a-territoriale. Maggioritario, referendario e, tendenzialmente, presidenziale. Resta da vedere quanto sia stabile, questo approdo. Quanto possa resistere al ritorno dei personalismi e delle tradizioni – ben espresse dall’opposizione della Sinistra interna. Quanto possa proseguire senza il sostegno della storia e del territorio. Dell’organizzazione e della società. Quanto e se il PdR si possa affermare, senza il contributo del Pd, com’è avvenuto alle Europee. Non ci vorrà molto a verificarlo. Basterà attendere qualche mese. Le prossime amministrative e il referendum d’autunno ci diranno se davvero l’Ulivo sia divenuto un albero senza radici. Un volto senza storia. O se la sua storia possa continuare, con volti e nomi diversi.

vivicentro.it-politica / larepubblica / Dall’Ulivo al PdR, il volto e le radici. ILVO DIAMANTI

Roma-Napoli, livello di allerta massimo e controlli ingenti

A poche ore dalla sfida dell’ Olimpico tra Roma e Napoli aumentano le preoccupazioni per eventuali scontri tra le due tifoserie all’ esterno dell’ impianto sportivo. Massima allerta nelle zone adiacenti lo stadio, la preoccupazione maggiore è quella di evitare che piccoli gruppi di tifosi napoletani possano rimanere isolati durante l’ afflusso e il deflusso dall’ Olimpico.
Inoltre nelle ultime ore è stata bonificata l’ intera area intorno allo stadio con la rimozione di auto e cassonetti. Ci saranno controlli antiterrorismo ai tornelli e non mancheranno ulteriori controlli per individuare eventuali campani in possesso di biglietti visto il divieto di trasferta per i residenti nella regione. Una situazione di allerta che purtroppo si verifica spesso nel nostro campionato lontano anni luce dagli altri maggiori campionati.

METEO Estate SHOCK, SOLE di Fuoco sull’Italia e 45° al Sud!

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Previsioni METEO a LUNGO TERMINE tutt’altro che INCORAGGIANTI, ci attende un’estate super CALDA e SICCITOSA!

Nuovi aggiornamenti meteo del modello europeo ECMWF tutt’altro che incoraggianti sul prosieguo della stagione calda: a quanto si apprende, vivremo una lunga fase stabile ma rovente, con temperature abbondantemente sopra le medie stagionali su tutta l’Italia.

In questo articolo desideriamo anticipare quella che potrà essere la stagione estiva sulla nostra Penisola, con l’incubo siccità che potrebbe diventare presto realtà su molte regioni, con pesanti disagi e danni per tutti noi.

NUOVI RECORD DI CALDO ALL’ORIZZONTE – La circolazione delle masse d’aria nel nostro emisfero appare sempre più compromessa, destinata cioè a convogliare aria più calda della norma su molti comparti del nostro continente per molti mesi. Dal mese di Gennaio fino a quello di Marzo la temperatura media globale è aumentata sempre più, e anche il terzo mese dell’anno si è chiuso con anomalie termiche positive assolutamente sorprendenti, trasformando Marzo 2016 nel mese di Marzo più caldo dal 1880.

Caldo sopra norma l’estate scorsa, inverno mite e prossimi mesi che si preannunciano ancora abbondantemente sopra le norma, con tutte le conseguenze negative del caso.

ESTATE ROVENTE – Ancora una volta quasi tutto il continente alle prese con temperature sopra la norma e anomalia positiva spesso anche piuttosto accesa.

Le proiezioni mostrano temperature di 1-2 gradi in più delle medie nazionali su tutta l’Italia! Prospettive quindi di un’estate piuttosto infuocata, siccitosa e afosa.

APPROFONDIMENTO anche per singole Regioni e Città su:

Nord

Valle d’Aosta

Piemonte

Liguria

Lombardia

Trentino Alto Adige

Veneto

Friuli Venezia Giulia

Emilia Romagna

Centro

Toscana

Marche

Umbria

Abruzzo

Lazio

Molise

Sud e isole

Puglia

Campania

Basilicata

Calabria

Sicilia

Sardegna

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A Napoli Comicon 2016 la festa del Cosplay: Mulan vince tra i “pro”

Misa Cosplay
Misa Cosplay

Comunicato Stampa Napoli Comicon

Hanno invaso festanti i viali e i padiglioni della Mostra d’Oltremare, ma l’invasione si è allargata ben presto a tutta la città, dalle metropolitane agli autobus, dalle vie di Fuorigrotta alla Cumana. Sono i Cosplay, i ragazzi e le ragazze che nei quattro gironi di Napoli Comicon hanno potuto dare sfogo alla loro creatività, vestendosi come i loro eroi preferiti dei fumetti, dei videogames, dei cartoni animati occidentali e degli anime.

Il Main Stage del Comicon ha visto anche quest’anno sfliare i finalisti del Cosplay Challenge e del Cosplay Challenge PRO – le due gare, gestite e condotte da Epicos, che si sono sfidati per guadagnarsi gli ambitissimi premi: un viaggio in Giappone in occasione del WCS e, grande novità di quest’anno, la selezione per partecipare alle finali mondiali come rappresentante italiano, del Cosplay World Master 2016 grazie alla collaborazione di KC Group.

Misa Cosplay 2
Misa Cosplay 2

 

La vittoria nel Cosplay Challenge PRO è andata a Francesca Aliberti, in arte Misa Cosplay, che ha interpretato Mulan e rappresenterà quindi l’Italia alle finali mondiali del Cosplay World Master 2016 che si terranno a Lisbona il 7 e l’8 maggio.

 Mentre vincitore del premio Comicon al Cosplay Challenge è stato, nella categoria miglior costume, assegnato a Silvia Anzini, per il suo costume da Lilith. La Anzini vince il viaggio in Giappone.

Hamsik vicino a un traguardo importante con la maglia azzurra

Non sarà una partita come le altre quella di oggi pomeriggio allo stadio Olimpico contro la Roma per Marek Hamsik che taglierà il traguardo delle 400 presenze con la maglia del Napoli. Terzo di sempre nella storia del club partenopeo, lo slovacco si pone alle spalle di due mostri sacri come Giuseppe Bruscolotti (511 presenze in 16 stagioni) e Antonio Juliano (505 in 16 stagioni).
Hamsik, alla nona stagione con la maglia azzurra, si conferma sempre più simbolo di questa squadra e nella prossima partita contro l’ Atalanta al san Paolo riceverà un importante riconoscimento proprio da Bruscolotti.

Juve Stabia, C1 siamo ancora!

La bella rimonta contro la Lupa Castelli Romani consegna alla Juve Stabia tre punti meritati, ma, soprattutto, la salvezza matematica a due giornate dal termine della regular season. Probabilmente, visti gli auspici con cui era partita questa stagione, la salvezza per molti è un risultato non soddisfacente, da guardare con rammarico, obiettivo men che minimo, o che, addirittura, oggi, non andrebbe festeggiato.

Una parte di verità in questi ragionamenti c’è sicuramente, ma queste valutazioni non possono sminuire il risultato importantissimo e vitale per la Città e la Società conquistato dai ragazzi di Zavettieri. Sì, perché non raggiungere la salvezza avrebbe avuto conseguenze catastrofiche sull’intera “macchina” gialloblù ed avrebbe contribuito a far scemare quel poco entusiasmo dei fedelissimi rimasti al fianco della squadra in questa stagione sfortunata.
Non dimentichiamo, poi, che, paradossalmente, per una squadra costruita per le posizioni di vertice è ancor più difficile “l’ambientamento” ad un campionato in cui l’obiettivo diventa quello di tirarsi fuori dalle zone calde della classifica. Il rischio di sottovalutare gli avversari e di perdere le motivazioni, che ad inizio stagione erano puntate su altri obiettivi, è sempre concreto e non facile da superare.

Ovviamente, sappiamo bene che i “SE” ed i “MA” sono fondamenta fragili per i nostri ragionamenti, ma al contrario utili per comprendere in poche righe quanto questa stagione sia stata difficile per la Juve Stabia. Le Vespe avrebbero voluto e potuto ambire ad un campionato diverso, che sarebbe stato ampiamente alla portata della squadra gialloblù…se Ciullo non si fosse dimostrato un allenatore inadeguato alla piazza stabiese, se il mercato estivo non fosse stato condizionato dalla telenovela Migliorini poi rimasto contro voglia fino a gennaio, se due giocatori come Di Carmine e La Camera fossero stati degnamente rimpiazzati, se Ripa non si fosse fermato definitivamente ad ottobre, se la squadra tutta non fosse stata falcidiata da una serie di infortuni mai vista nella storia stabiese, se due di quelle che dovevano essere le colonne della squadra non avessero abbandonato la nave nel mare tempestoso di gennaio, se il Menti avesse sostenuto la squadra con più di 1000-800 spettatori a partita ecc.
Forse ci sarebbero tanti altri “SE” da elencare ma il senso l’avrete capito giù tutti; quello che intendiamo sottolineare è che questa salvezza, nonostante ad agosto fosse un obiettivo scontato, per come è arrivata e per la stagione vissuta dalla Juve Stabia vale, forse, più di una promozione.

Al netto dei gracili equilibri su cui si basa il calcio a Castellammare, sarebbe stata più devastante una retrocessione in Seconda Divisione di quanto invece sarebbe potuta essere esaltante una promozione in Serie B.
Anzi, facendo un lungo passo indietro, il rammarico più grande va sempre al minuto 119 di Bassano – Juve Stabia, perché se l’arbitro Serra non avesse annullato la rete regolare di Gomez per motivi ancora misteriosi, forse oggi la Juve Stabia starebbe festeggiando sì una salvezza, ma non di Lega Pro.

Tutti gli elementi analizzati, pur facendoci riflettere sul grande risultato raggiunto da Zavettieri e dai calciatori, non devono cambiare le ambizioni della Società e soprattutto del Patron Manniello, sempre pronto a ripartire con maggior entusiasmo ed ambizione.
Adesso, in vista delle ultime due partite da giocare, ci deve essere una sorta di scissione tra squadra e Società. I calciatori e lo staff rimangano concentrati sul campo, in modo da dare il massimo nei match belli e difficili contro Monopoli e Foggia, così da agguantare l’ottavo posto che vale l’accesso alla Tim Cup della prossima stagione. La componente societaria, invece, come già sta facendo, si proietti alla prossima stagione, che necessità di programmazione ed organizzazione le cui basi vanno impostate fin da ora.

La voglia dei dirigenti della Juve Stabia di risolvere quanto prima la grana “Romeo Menti” lascia già intuire l’ambizione che c’è in Società di mettersi alle spalle questo campionato sciagurato per conquistare nella prossima stagione tutte le soddisfazioni sfuggitele in questa.
Emblema della congiunzione tra squadra e Società è Kenneth Obodo, che ieri nel post gara esprimeva la sua soddisfazione per la salvezza finalmente matematica, ma da vero leader già si proiettava alla prossima stagione, in cui il primo obiettivo di tutti sarà riscattare questo campionato e spegnendo, così, tutti i dubbi sul suo futuro.

Raffaele Izzo

#LaRiscopertaDeiFatti- Roma vs Napoli: quando la classifica diventa un pendolo che oscilla tra -2 e -8

La sostanza, per citare il noto giornalista, e scrittore, Travaglio è questa: I fatti separati dalle opinioni. Perché, fondamentalmente, senza fatti si può dimostrare tutto e il contrario di tutto mentre con i fatti no. L’intenzione sarebbe quella, essere quanto più sistematici possibili. Se è fatto giusto, chapeau, mentre se è fatto sbagliato, guai. E ci perdoni ancora Travaglio se utilizzeremo la sua idea per parlare di calcio, ma al popolino piace così.

Il fatto è che l’avranno ripetuti in molti, ma il fatto va così: Roma-Napoli è fondamentale. Perché la Champions passa dall’Olimpico. Ma non solo. Anche i 30 milioni di euro, che si personificano e si godono lo show. I quali tasche andranno? Tra poche ore sarà tutto un po’ più chiaro.

Il fatto è uno: ritorna Higuain. Proprio lui, sì. Il pipita. L’argentino. Mister 30 gol. Chiamatelo come vi pare, ma il fatto è che ritorna, dopo tre giornate di stop forzato. Ritorna con la voglia e il desiderio di regalare agli azzurri la qualificazione in Champions e di fare quanti più gol possibili, per la scarpa d’oro. Vero, ormai Suarez ha preso il volo, ma Higuain non ci sta e prova a ripartire. Magari con una bella tripletta e pallone portato a casa.

Il fatto è che sarà la partita numero 400 per Marek Hamsik, con la maglia del Napoli. Più di 36 mila minuti giocati con i partenopei. Numeri pazzeschi che tanto dicono sulla vita dello slovacco in azzurro, iniziata 10 anni fa. Arrivato dal Brescia che era poco più di ragazzino, adesso Hamsik è padre di famiglia e capitano: quando il tempo passa e lo fa in meglio. Quest’oggi, comunque andrà, sarà una festa per lui. E se segnasse, potrebbe raggiungere il record di Maradona, fermo a 81 gol.

Il fatto è che Sarri ha ancora un piccolo dubbio, cosa che, al netto della stagione appena passata, appare un po’ strana: domani scenderà in campo Insigne o Mertens, autore di una prestazione pazzesca contro il Bologna, martedì scorso?

Il fatto è che, per un napoletano, la partita contro la Roma non è mai una qualsiasi. Per la storia, per Ciro. Insigne potrebbe essere l’uomo giusto al momento giusto. D’altro canto, però, c’è il Belga, che appare il più in palla della squadra. I tre gol siglati contro gli emiliani non si possono ignorare: l’attaccante merita la sua chance.

Il fatto è che, ad ogni modo, Sarri sembra aver fatto la sua scelta. Meglio non stravolgere, soprattutto in partire come queste.

Il fatto è che la Roma non sembra più quella delle settimane scorse: brillante e lucida, come poche in Europa. Ma con un Totti in più, che segna e stravolge i match, guai a sottovalutare i giallorossi. Bisognerà stare attenti a lui, senza dimenticare i vari El Shaarawy, Perotti e Salah, che potrebbero far molto male alla difesa azzurra.

Il fatto è uno: bisognerà dare tutto ciò che si ha. Da Pepe Reina a Gabbiadini, questa volta in panchina, dopo tre partite da titolare. Perché potrebbe toccare anche a lui, entrare e dire la sua, per cambiare l’inerzia del match. Bisognerà stare attenti a tutte le componenti e non lasciare nulla a caso. Spalletti e i giallorossi sono agguerritissimi.

Insomma, il fatto è che solo tra un paio d’ore si saprà di più sul futuro di Napoli e Roma; ma in fondo niente ansie, lo dice anche Schopenhauer, che la classifica è solo un pendolo che oscilla tra un -2 e un -8.

25 aprile di festa, l’Italia celebra la Liberazione

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L’Italia festeggia il 25 aprile. Mattarella all’altare della Patria, poi in Valsesia. Renzi: antifascismo valore costitutivo

Alle 8:30 in piazza Venezia, a Roma, si è tenuta la cerimonia per il 71° anniversario della Liberazione dal nazifascismo. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha deposto una corona di fiori all’Altare della Patria. Erano presenti anche il premier, Matteo Renzi, e i presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso.

“ANTIFASCISMO COSTITUTIVO”  

«L’antifascismo è elemento costitutivo e irrinunciabile della nostra società. Giusto tenere alta la guardia», dice Renzi, in un’intervista a Repubblica. Secondo il premier, tuttavia, le candidature a Roma di Meloni e Raggi non mettono a rischio il senso della Liberazione: «Tutti ci riconosciamo nei valori della Costituzione». Per la presidente della Camera, Laura Boldrini, «essere antifascisti oggi passa per la difesa di quei valori che la Costituzione nata dalla Resistenza mette come prioritari: il lavoro, la salute, l’istruzione, la pace, i diritti individuali, l’ambiente, la solidarietà».

WEB DOC – I ragazzi della Resistenza: sette storie partigiane

IL CAPO DELLO STATO IN VALSESIA

Il Capo dello Stato oggi sarà in Valsesia dove farà tappa in alcuni centri della Resistenza, tra cui Varallo, medaglia d’oro al valor militare per il ruolo decisivo svolto nella lotta contro il nazifascismo. Pietro Grasso sarà a Reggio Emilia (visiterà tra l’altro la casa dei fratelli Cervi a Gattatico) Laura Boldrini andrà a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, dove parteciperà al corteo per poi svolgere l’orazione commemorativa in piazza Matteotti. I segretari di Cgil e Cisl Susanna Camusso e Annamaria Furlan partecipano a Milano al corteo dell’Anpi. «La libertà – ha detto la vicesegretaria Pd Debora Serracchiani che oggi sarà a Pordenone alla deposizione della corona al monumento ai Caduti – è un bene sempre a rischio di essere intaccato, anche nelle forme più striscianti, per questo dobbiamo stare in guardia e difenderlo».

ROMA, LO STRAPPO DELLA BRIGATA EBRAICA

Anche quest’anno si ripropone la polemica sulla presenza dei vessilli della brigata ebraica nei cortei. Il parlamentare del Pd Emanuele Fiano teme che oggi a Milano «ci saranno i soliti facinorosi antisionisti e magari antisemiti che si faranno distinguere come sempre». Ma è a Roma che la questione assume i toni più forti. L’Associazione nazionale partigiani d’Italia tornerà a sfilare dal Colosseo a Porta San Paolo, luogo simbolo della resistenza, ma anche quest’anno saranno assenti la Brigata Ebraica e l’Associazione nazionale ex deportati nei campi di sterminio. Per protesta – hanno spiegato – contro la presenza nel corteo di centri sociali e associazioni filo-palestinesi, considerate anti-israeliane se non antisemite. Lo scorso anno il corteo ufficiale venne annullato, mentre nel 2014 filo-palestinesi e giovani della Comunità ebraica vennero alle mani. Nella capitale, la Brigata Ebraica sarà invece con la Comunità degli ebrei romani e l’associazione dei deportati davanti al Museo della Resistenza in via Tasso, dove i nazi-fascisti torturavano i loro prigionieri.

 

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CAMBIAMENTI CLIMATICI: Kiribati, viaggio sull’isola che non ci sarà

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Kiribati è una nazione in mezzo all’Oceano Pacifico composta da un’isola e 32 atolli (di cui 12 inabitati) destinati a scomparire per i cambiamenti climatici

L’avventura di due giovani italiani che, zaino in spalla, esplorano il Paese della Micronesia composto da 32 atolli, il primo che sarà sommerso per i cambiamenti climatici

Viaggio sull’isola che non ci sarà. Per vedere. Toccare. Scoprire. E un giorno poter descrivere ai proprio nipoti quel lembo di terra su cui, a dire degli scienziati, già incombe la data di scadenza. 14.769 chilometri: sono quelli percorsi da Andrea Angeli, architetto bresciano di 32 anni, e Alice Piciocchi, milanese di 31 anni con in tasca una laurea in design industriale, che zaino in spalla hanno ruotato il mappamondo e si sono diretti a Kiribati, nazione della Micronesia a rischio d’estinzione.

«Secondo molti studiosi il destino di quel Paese è segnato – spiega Andrea -. Non si sa se tra 20, 50 o 100 anni, ma l’innalzamento dell’oceano e le alluvioni causate dai cambiamenti climatici faranno sì che le isole saranno sommerse. Siamo partiti per documentare: un’esplorazione durata due mesi, finanziata con il crowdfunding, per raccogliere testimonianze, degli uomini e della natura».

Repubblica indipendente dal 1979, Kiribati si sviluppa a cavallo dell’equatore su 32 atolli, di cui solo venti abitati, sparpagliati su una vastissima area di oltre 3,5 milioni di chilometri quadrati di Pacifico a nord delle Fiji. E proprio nelle Fiji, a Vanua Levu, l’ex presidente Anote Tong ha acquistato dalla Chiesa Anglicana venti chilometri quadrati di terreno, prospettando un esodo di massa per i centomila abitanti, nell’eventualità che le previsioni dei climatologi si avverassero.

UN FRAGILE EQUILIBRIO

«Prima di organizzare il viaggio ho scritto al premier in persona, raccontando della nostra spedizione – racconta Alice -. La sua segreteria ci ha risposto nel giro di pochi giorni, e arrivati sul posto abbiamo avuto l’occasione di andare a visitare qualche ministro. Ci hanno confermato che il progetto di traslocare la nazione è ancora in essere e stanno verificandone la fattibilità. Ci aspettavamo una popolazione in preda al panico e spaventata dal futuro: in verità ci siamo trovati in mezzo a uomini e donne che stanno vivendo un periodo molto confuso, dove passato e presente faticano a convivere. Dove l’equilibrio tra tradizione e innovazione è fragile e contraddittorio».

La pesca e la copra, la polpa essiccata del cocco, sono tra le fonti principali di reddito. Poco turismo, piccoli negozi tra i quali iniziano a spuntare i primi discount, scarsa acqua potabile e lattine di Coca Cola mostrate come trofei, uomini a piedi scalzi che ostentano tablet e smartphone. E ancestrali credenze che punteggiano la quotidianità di chiunque: guaritori che leggono le foglie, donne che con il loro canto attirano le balene a riva, «tetia borau», ovvero «lettori di nuvole» in grado di interpretare il cielo come fosse un libro aperto, e ritualità di magia bianca e nera che vanno a braccetto con i dettami delle tante Chiese presenti nel territorio.

 (Kiribati vive un periodo molto confuso, dove passato e presente faticano a convivere e l’equilibrio tra tradizione e innovazione è fragile )

PRIMI SEGNI DI RIBELLIONE

«L’avvento di Internet, l’influenza di nazioni vicine come le Fiji o le Isole Marshall, la presenza di persone che si spostano verso l’Australia o la Nuova Zelanda per poi ritornare dopo qualche anno a Kiribati, sta dando al progresso un’accelerazione non controllata. Non hanno in mano gli strumenti per gestire quello che sta accadendo. Della loro ipotetica «fine del mondo» non sono però particolarmente preoccupati: da tremila anni vivono un rapporto inscindibile con l’acqua e con la terra, il mare che fornisce il pesce e la terra che offre il cocco e lo spazio per allevare qualche animale. Non riescono nemmeno a contemplare l’idea che la natura si possa ribellare». Benché i segni già si vedano: frequenti tifoni, alberi che muoiono bruciati dal sole, l’acqua potabile diventata improvvisamente più salata. Un ambiente naturale a rischio, anche a causa dei comportamenti degli indigeni, come l’atavica abitudine di andare a defecare in mare o di seppellire i morti in cortile, spesso vicino ai pozzi. O, ancora, la moderna usanza di gettare davanti all’abitazione le confezioni di plastica di caramelle o patatine così da dimostrare ai vicini uno status di benessere superiore, fregandosene delle regole di raccolta dei rifiuti.

(Un ambiente naturale a rischio, anche a causa dei comportamenti degli indigeni, come la moderna usanza di gettare davanti all’abitazione le confezioni di plastica di caramelle o patatine così da dimostrare ai vicini uno status di benessere superiore, fregandosene delle regole di raccolta dei rifiuti )

«Prima di andarmene ho chiesto al padre della famiglia che ci aveva ospitato cosa avrebbe portato con sé in una sorta di Arca di Noè verso il nuovo mondo. Mi ha risposto che le sue uniche proprietà sono la capacità di pescare, di tessere reti e di lavorare il cocco. Capacità che altrove sarebbero state inutili: quindi lui non avrebbe mai abbandonato la sua bwuia, la sua capanna. Questo, in fondo, è lo spirito di Kiribati».

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Per l’Italia l’esame di maturità STEFANO STEFANINI

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STEFANO STEFANINI

Il viaggio di Barack Obama aveva tre obiettivi. A Riad, ricucire il rapporto con l’Arabia Saudita. A Londra, spezzare le reni a Brexit. In Germania stringere le file atlantiche, su Russia, Siria e Libia e rilanciare il trattato per la liberalizzazione commerciale (Ttip) come motore di crescita. Ha fatto un buco nella sabbia con il primo; in attesa del prossimo Presidente i sauditi non gli hanno fatto sconti. Ha ammonito i britannici che hanno solo da perdere con l’uscita dall’Ue; vedremo l’effetto nei sondaggi, intanto le scommesse su Brexit sono scese di quasi il 30%. I bookmakers non mentono.

A Hannover si gioca oggi la partita più importante, quella della coesione Stati Uniti-Europa. All’ultimo momento la Casa Bianca si è accorta che la Germania non bastava. Ha aggiunto Francia, Italia e Gran Bretagna. Esserci è molto importante e non era affatto scontato; in passato abbiamo spesso sofferto esclusioni da questo consesso. Matteo Renzi può vantare il successo, ma dovrà meritare il posto a tavola con idee, impegno e concretezza.

Mancano 265 giorni alla fine di quest’amministrazione americana: un’eternità. L’ha ricordato a Bruxelles il responsabile delle strategie politiche della Casa Bianca, David Simas.

Da giocatore di basket Obama sa che le partite si decidono spesso negli ultimi minuti o secondi. S’impegnerà fino alla fine. Presidente fuori dagli schemi, sin dall’improbabile vittoria nel 2008, affronta questo finale di amministrazione senza nascondere il proprio pensiero.

Di qui l’asprezza irritata dei fautori di Brexit, punti sul vivo; comunque vada, Boris Johnson rimpiangerà la frase sull’ipocrisia del «mezzo keniano». Più saggi e pazienti i sauditi che, malgrado freddezza e piccole scortesie, incassano assicurazioni difensive americane in cambio del loro impegno contro Isis. Un do ut des bilanciato. Né Riad né Washington hanno interesse a buttare alle ortiche un rapporto che rimane strategico. E non tutti i mali vengono a nuocere: a Riad, il Presidente uscente ha spianato la via al successore, a cui i sauditi vorranno riservare un’accoglienza più favorevole proprio per marcare la differenza.

Il Golfo può aspettare. L’Europa no. Dalle urne austriache suona un campanello d’allarme sul vuoto lasciato dai partiti tradizionali che populismo e estremismi sono pronti colmare. Voto su Brexit (23 giugno) a parte, entro giugno l’Ue decide sulle sanzioni alla Russia. Il 7-8 luglio il vertice Nato a Varsavia cercherà di bilanciare deterrenza di Mosca a Est con le minacce delle crisi mediterranee e del terrorismo di Isis a Sud. In Siria la tregua è appesa un filo. In Libia, il governo di Al Sarraj è l’ultima spiaggia di un Paese sull’orlo del precipizio. Isis può tracimare nei Paesi confinanti, Tunisia, Algeria, Egitto, e saldarsi attraverso il Sahara con la galassia jihadista africana. Nei prossimi mesi si decidono le sorti del Ttip: chiudere con Obama, magari con un accordo parziale rispetto alle ambizioni, o fermarsi e riprendere col nuovo Presidente, forse più esitante?

A Hannover, oggi, Barack Obama e i quattro leader europei decidono se la tempesta perfetta di giugno e luglio li trova insieme o in ordine sparso (che Brexit renderebbe caotico). Possiamo solo immaginare il fitto lavoro diplomatico dietro la presenza italiana; l’ambasciatore Varricchio non poteva iniziare meglio la sua missione a Washington. Proprio l’Italia è al centro delle due decisioni più importanti: segnali alla Russia e cosa fare in Libia.

Il segnale a Mosca verrà dal combinato disposto sanzioni Ue-vertice Nato. Fondamentali saranno fermezza e coesione. Il rinnovo delle sanzioni Ue può essere sufficiente. La Nato non deve abbassare la guardia, ma non ha bisogno di alzarla. Al contrario, l’attuazione dell’accordo di Minsk sull’Ucraina lascia troppo da desiderare per rimuovere le sanzioni. A Hannover l’attesa sarà che l’Italia esca dall’ambiguità; in cambio, Renzi può ottenere assicurazioni di moderazione per Varsavia. Oggi la priorità è evitare l’escalation militare, anche indicando che la rinnovata «prontezza» (Readiness Action Plan) dell’Alleanza è destinata anche a Sud e non è quindi in funzione anti-russa.

Secondo un alto funzionario del Pentagono, gli americani riconoscono il ruolo guida dell’Italia in Libia. Hanno finito con l’assecondare la nostra cautela, ma avvertono che sia il momento di dare un più risoluto sostegno al governo Sarraj. O sarà troppo tardi. Pensano, come noi, all’addestramento di forze libiche non ad azioni di combattimento, salvo operazioni di forze speciali contro Isis.

La Libia è l’amaro calice che Matteo Renzi non può più rinviare. Oggi può però tracciarne le linee rosse. Capita raramente all’Italia. Obama lo appoggerà. Sarebbe un peccato lasciarsi sfuggire l’occasione.

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Napoli Comicon, Natangelo presenta “Pensavo fosse amore, invece era Matteo Renzi” (VIDEO)

Mario Natangelo (Napoli, 16/12/1985), in arte semplicemente ‘Nat’, vignettista attualmente in forza al Fatto Quotidiano. E’ intervenuto al Comicon sabato 23 Aprile per presentare il suo ultimo libro “Pensavo fosse amore, invece era Matteo Renzi”, in cui narra la storia di una coppia di ragazzi che si conoscono e si innamorano al tempo dell’ultimo governo Berlusconi, e la cui storia entra in crisi durante il governo Renzi.

Mario Natangelo
Mario Natangelo

Il volume, edito da Magic Press, raccoglie molte delle vignette scritte da Nat negli ultimi 7 anni, e racconta la storia di un elettore italiano, alle prese con i bruschi cambiamenti politici degli ultimi tempi, da un punto di vista molto particolare, sempre molto ironico.

Dario Nappo:

“Volevo cominciare con una domanda classica: come ti è venuta l’idea di articolare la tua narrazione attorno a una storia d’amore e alla figura dell’attuale premier, Matteo Renzi?”

Mario Natangelo:

“Sostanzialmente ho provato a raccontare quella che era l’Italia politica, quella ‘grande’, quella che leggiamo ogni giorno sui giornali, insieme all’Italia ‘minima’, cioè quella di un ragazzo italiano di 30 anni, che si trova a vivere gli effetti delle scelte che vengono prese a livello più alto, istituzionale”

DN: “Quanto c’è della tua esperienza personale nel tuo protagonista?”

MN: “C’è tanto. Considera che il libro era nato originariamente come raccolta di vignette, poi a un certo punto ho trovato più divertente raccontare cosa c’era accanto alle vignette che venivano raccontate ogni giorno. Sono passato a raccontare la vita privata di una persona che si trovava a dover raccontare in vignetta le vicende che si svolgevano ogni giorno. Vediamo questa coppia di una ‘renziana’ e un ‘non renziano’ nascere ai tempi di Berlusconi, e vediamo come cresce e… muore?”

DN:

“Com’è nata la tua collaborazione col Fatto Quotidiano?”

MN:

“Io ho sempre fatto vignette. Inizialmente collaboravo con l’Unità, poi alla nascita del Fatto Quotidiano sono stato ‘chiamato alle armi’, insieme ad altri, per raccontare in modo, forse non convenzionale, i fatti, anche da un punto di vista satirico. L’esperienza con il Fatto è iniziata quando avevo circa 23 anni, questo libro esce 7 anni dopo. A trent’anni mi chiedo cosa rimane di questo periodo? Rimane una vita distrutta da una politica che assorbe tutto, e una Italia che va allo sbando. Pensavamo che dopo Berlusconi non potesse venire nulla di peggio. Adesso non voglio dire che sia peggio, ma probabilmente la situazione attuale è la naturale prosecuzione del periodo berlusconiano. Dopo Berlusconi, arriva Renzi.”

DN:

“Tu sei un vignettista, quindi ti occupi di notizie, perché il vignettista in fondo non fa altro che riportare e commentare le notizie dal suo punto di vista. Da questa prospettiva, in che modo è cambiato per te il rapporto tra te e chi rappresenta il Governo? In altre parole, com’è stato il passaggio da Berlusconi a Renzi, passando per Monti e Letta?”

MN: “Devo dire che io per motivi generazionali ho vissuto prevalentemente l’ultima fase del periodo berlusconiano, potrei dire di aver avuto la fortuna di raccontare la parte finale e più divertente della parabola politica di Berlusconi. Una volta finita quella, dico la verità, da un lato c’era un po’ di paura: ci trovavamo davanti Monti, che era un personaggio difficile da rappresentare satiricamente, sembrava non avere difetti. In realtà, proprio il suo rappresentarsi come personaggio perfetto è stata la cosa più divertente da raccontare, soprattutto vista poi la sua caduta politica.

Una volta arrivati a Renzi, noi ci troviamo di fronte a una sorta di Moloch, un enorme totem fantastico che assorbe in sé tutti i poteri: è come se non esistesse nessun altro al governo, oltre Renzi. In questa sua ansia di protagonismo, diventava il bersaglio perfetto per un disegnatore satirico. Potevi riversare su di lui tutto quello che succedeva. Prendi ad esempio l’ultima cosa accaduta con Carbone, la polemica relativa all’uso del #ciaone, diventa automaticamente trasmissibile a Renzi, che non ha preso le distanze da quella esternazione. In questo modo, ha di fatto avallato quella affermazione. Quindi raccontare Renzi è molto divertente, ma forse è persino più divertente raccontare noi, come ho cercato di fare in questo libro: nelle graphic novel che vanno molto di moda adesso c’è la tendenza all’autobiografia, al narrare una visione minima della vita. Io racconto l’elettore, il personaggio che con tutte le sue frustrazione deve poi pur sempre andare a votare. Non dimentichiamoci che tutti questi personaggi che prendiamo in giro, sono in fondo pur sempre i personaggi tra cui noi dobbiamo scegliere chi votare, e che ci rapprensentano.”

DN:

“In passato hai lavorato per l’Unità, ci torneresti oggi a lavorare?”

MN: “L’Unità di adesso non è più quella per cui ho lavorato io. Ai tempi il direttore era Antonio Padellaro, che poi è stato mio direttore al Fatto Quotidiano. Oggi c’è l’Unità di Erasmo D’Angelis e io non ci lavorerei mai, non per antipatia personale, ma semplicemente perché probabilmente lì non potrei avere lo stesso tipo di libertà che ho oggi al Fatto.”

DN:

“Potremmo dire che il cambio avvenuto all’Unità rappresenta un po’ il cambiamento politico degli ultimi tempi?”

MN:

“Assolutamente sì. Hanno cercato di fare di nuovo il giornale di partito, solo che quella roba lì non funziona più.”

DN:

“Un’ultima domanda: ma secondo te, Vauro questo libro lo comprerebbe?” MN: “Guarda, Vauro non lo comprerebbe, perché secondo me… (ride, ndr). No, forse non è che non lo comprerebbe… (ride di nuovo, ndr). Ecco, io ho sempre letto Vauro, da quando ero ragazzino, era il vignettista per eccellenza. Io provo a fare un discorso un po’ diverso: Vauro ha una visione molto politica delle cose, io invece sono molto più ‘cazzaro’, cerco di fare qualcosa di più leggero. Non è un atteggiamento studiato, il mio, è che proprio io in certe cose non ci credo, mentre Vauro ci crede ancora. E questo, forse, si vede anche nelle vignette che realizziamo.”

Dario Nappo

 

MotoGp Spagna – Rossi stravince, batte Lorenzo e Marquez

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MotoGp Spagna – Rossi stravince, batte Lorenzo e Marquez

Rossi domina dal primo all’ultimo giro, nulla hanno potuto gli avversari di casa contro di lui. Valentino vince con il suo stile, con il suo talento, imprendibile! Ha così conquistato la sua vittoria numero 113 di cui 87 in MotoGP. Ulteriore ritiro di Dovizioso per problemi tecnici.

 

MotoGP podio di Rossi a Jerez 2016
MotoGP podio di Rossi a Jerez 2016

La gara di oggi a Jerez, ha mostrato un Valentino in grande forma. Ha dominato giro per giro tutta la competizione, un evento che attendeva sicuramente con tanta grinta per vincere a casa di Lorenzo e Marquez. Già alla prima curva Rossi è andato in testa per poi iniziare la fuga verso la vittoria. Valentino ha subito trovato feeling con la moto riuscendo a segnare tanti giri record. Lorenzo invece è rimasto alle spalle rimanendo comunque il più veloce inseguitore di Rossi. Ruoli invertiti quindi in casa Yamaha.

 

La chiave di lettura della gara di oggi è solo una: Lorenzo e Marquez, nonostante facciano parte di team differenti hanno fatto squadra evitando di superarsi tra loro e quindi perdere tempo. L’intento era quello di riacciuffare Rossi che da subito si è mostrato pericolosissimo. Resta quindi un grosso problema per Valentino da combattere per tutto il lunghissimo campionato che rimane.

Al traguardo il distacco di tempo dopo i primi tre è stato notevole. Dopo Lorenzo che ha chiuso con due secondi e Marquez con sette, dal quarto posto conquistato da Pedrosa i secondo sono passati a dieci, nessuno a questo punto ha più dato rilievo ai piazzamenti di coda… I distacchi erano abissali.

Quinto posto per Aleix Espargarò, sesto Vinales, settimo Iannone con la Ducati. A seguire ottavo posto per Pol Espargarò, nono Laverty ed infine decimo posto per Barbera.

MotoGP vince Rossi a Jerez 2016
MotoGP vince Rossi a Jerez 2016

Dovizioso che per questa gara non è stato centrato da nessuno è stato costretto al ritiro da un guasto alla sua Ducati. Ancora una volta zero punti.

 

APPUNTAMENTO QUINDI AL 08 MAGGIO PER IL GP DI FRANCIA

 

Ordine d’arrivo

1 V. ROSSI 45:28.834

2  J. LORENZO +2.386

3 M. MARQUEZ +7.087

4 D. PEDROSA +10.351

5 A. ESPARGARO +14.143

6 M. VIÑALES +16.772

7 A. IANNONE +26.277

8 P. ESPARGARO +30.750

9 E. LAVERTY +32.325

10 H. BARBERA +32.624

 

Classifica mondiale

  1. Marc Marquez (ESP/Honda) 82 punti
  2. Jorge Lorenzo (ESP/Yamaha) 65
  3. Valentino Rossi (ITA/Yamaha) 58
  4. Dani Pedrosa (ESP/Honda) 40
  5. Pol Espargaro (ESP/Yamaha Tech3) 36
  6. Maverick Vinales (ESP/Suzuki) 33
  7. Aleix Espargaro (ESP/Suzuki) 32
  8. Hector Barbera (ESP/Ducati Avintia) 31
  9. Eugene Laverty (IRL/Ducati Aspar) 28
  10. Andrea Iannone (ITA/Ducati) 25
  11. Andrea Dovizioso (ITA/Ducati) 23
  12. Bradley Smith (GBR/Yamaha Tech3)

 

 

Napoli-Atalanta, non ci sarà Gabriel Paletta

Buone notizie per Maurizio Sarri: non ci sarà per l’Atalanta Gabriel Paletta, ammonito, quest’oggi, al 20esimo minuto, contro il Chievo. In quanto diffidato, l’argentino salterà il match del San Paolo, in programma lunedì 2 maggio, ore 21.

Roma-Napoli, Spalletti: “Il Napoli merita la seconda posizione”

Nella consueta conferenza stampa pre-partita, Luciano Spalletti, tecnico della Roma, in vista del match contro il Napoli, ha dichiarato: “Il Napoli merita la posizione in classifica, loro sono una squadra forte non solo nell’undici titolare, hanno altri giocatori importanti. Gli azzurri giocano a viso aperto, ma sono comunque equilibrati. Noi dobbiamo essere compatti ed altrettanto equilibrati come loro. Se dovessimo batterli, allora potremmo puntare al secondo posto, anche se rimarrebbe comunque difficile. Rudiger e Pjanic stanno bene. Se la Roma avesse avuto Higuain? Devo tornare a fare uso dei principi che ho dentro di me e che ho nel mio ruolo: parlo dei miei calciatori, che mi hanno dato una possibilità grandissima e che nessuno avrebbe creduto a gennaio. Ossia di andare a giocare Roma-Napoli come una partita decisiva per la qualificazione alla Champions, che è fondamentale per società e tifosi. Devo dare merito a questa squadra di averci creduto subito, questa loro bravura non è stata sottolineata abbastanza. Quando sono arrivato nessuno avrebbe creduto di giocarsi questa partita ad armi pari, per questo obiettivo che sarebbe difficile anche vincendo domani, ma i ragazzi hanno fatto risultati straordinari e non lo abbiamo sottolineato. Hanno pedalato subito forte, si sono messi subito a disposizione. Se non l’avessi creduto non sarei tornato alla Roma, se non avessi creduto che era una squadra forte. Loro me lo hanno fatto vedere di essere forti, e in questa analisi c’è anche Dzeko, che è un grande calciatore e da Roma. Forse non l’ho sostenuto abbastanza ma un campione così non ne ha bisogno. In allenamento ha fatto il suo dovere, forse facendolo giocare di più avrebbe fatto numeri diversi. Higuain è stato straordinario ma sono contento dell’apporto di Dzeko per giocarsi questa partita per questo obiettivo”.

Le foto di Juve Stabia vs Lupa Castelli Romani (4-2)

Juve Stabia vs Lupa Castelli Romani le foto di Michele Ruocco

Guarda le foto di Juve Stabia vs Lupa Castelli Romani realizzate dal nostro fotografo Michele Ruocco, che ci racconta così la vittoria in rimonta ottenuta dalle Vespe con i laziali di Mister Mario Palazzi allo stadio “Menti” di Castellammare di Stabia.

Oltre alle azioni del match abbiamo fotografato il pubblico sugli spalti, cerca la tua foto e richiedici l’originale per e-mail:redazione.sportiva@vivicentro.it

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Juve Stabia vs Lupa Castelli Romani – In un Menti semi deserto le Vespe cercano i due punti che valgono la salvezza matematica contro la Lupa Castelli Romani, retrocessa con largo anticipo. Zavettieri schiera l’undici tipo, con i rientri di Contessa e Maiorano.

Juve Stabia (4-4- 2): Russo, Cancellotti, Contessa, Obodo, Polak, Navratil, Lisi, Maiorano, Del Sante, Nicastro, Diop. A disposizione di Mister Zavettieri: Polito, Atanasov, Rosania, Carillo, Liotti, Mauro, Favasuli, Grifoni, Gatto, Gomez, Mascolo.

Lupa Castelli Romani (4-3- 3): Tassi, Rosato, Colantoni, Di Bella, Aquaro, Prutsch, Ricamato, Maiorano, Morbidelli, Falasca, Mastropietro. A disposizione di Mister Palazzi: Gobbo, Anderson, Argento, Roberti, Carta, Kosovan, Rossetti, Flores, Coletti.

Curiosità, gli ospiti scendono in campo con i pantaloncini ed i calzettoni bianchi della divisa da trasferta della Juve Stabia. L’arbitro ha infatti ritenuto che quelli scuri, inizialmente indossati da entrambe le squadre, si confondessero, complicando la sua direzione di gara.

 

Passano in vantaggio le Vespe con Nicastro che di testa manda la palla alle spalle del portiere ospite. Le Vespe colpevolmente arretrano il raggio d’azione sicure del vantaggio, ma la Lupa con un uno due micidiale, firmato Prutsch – Morbidelli, si porta in vantaggio. Il secondo tempo vede una Juve Stabia all’arrembaggio e i gol di Obodo, Nicastro e Di0p rimettono a posto le cose per la squadra di Zavettieri.

Dopo quattro minuti di recupero l’arbitro decreta la fine della partita. La Juve Stabia trova tre punti che la proiettano al non posto ad un passo dalla qualificazione TIM CUP occupata dal Messina.

Sabato le Vespe andranno a Monopoli per onorare il campionato e tentare di agguantare l’ottavo posto in classifica.

Il Podio Gialloblù di Juve Stabia – Lupa Castelli Romani 4 – 2

La Juve Stabia conquista la salvezza matematica con la bella vittoria in rimonta sulla Lupa Castelli Romani. Analizziamo nel Podio Gialloblù i principali spunti di riflessione del match.

PODIO
Medaglia d’oro: a Francesco Nicastro, che si conferma calciatore di altra categoria. Il numero 10 sale a quota 12 in classifica marcatori con una doppietta che apre e chiude la “ballata”, per rifarci al nostro editoriale ) , gialloblù. Il fantasista prima segna da attaccante vero, con un tuffo di testa che “giustizia” il portiere ospite Tassi, ed a tempo quasi scaduto, beffa nuovamente il numero 1 laziale con un preciso diagonale mancino. Ciò che colpisce, a prescindere dalle reti, è la classe che guizza fuori in ogni giocata di Nicastro, bravo ormai non soltanto da classico numero 10, ma a suo agio anche nel ruolo di punta centrale. Nicastro ha infatti acquisito la fame, il senso del gol e la freddezza dell’ attaccante “universale”, e la sua doppia cifra in classifica marcatori non è casuale. Anche oggi le reti del calciatore gialloblù sarebbero potute essere almeno quattro; solo il palo, ed un grande Tassi poi, hanno impedito a Nicastro di portarsi a casa il pallone firmato da tutti i compagni, come si fa in caso di tripletta.

Medaglia d’argento: a Sergio Contessa, autore di tre assist sui quattro gol delle Vespe. Il terzino sinistro purtroppo o per fortuna ci dà ragione, dimostrando che, quando ha voglia ed è concentrato sulla partita, se non è il miglior numero 3 della categoria è sicuramente in lizza per il primo posto. Nel match di oggi Contessa recupera tutti i cross che aveva mancato nelle precedenti uscite, diventando l’esterno che qualsiasi attaccante vorrebbe avere al suo fianco, anzi, sulla sua fascia. E’ dal sinistro del calciatore pugliese che partono i cross sui cui si avventano rispettivamente Nicastro, Obodo e Diop, così come quasi tutte le occasioni delle Vespe hanno il marchio di fabbrica del traversone teso, tagliato ed a rientrare di Contessa. In quella che, probabilmente, è stata la sua penultima presenza al Menti con la maglia gialloblù, Contessa fa aumentare i rimpianti per il suo campionato di alti e bassi e che invece sarebbe potuto essere decisamente diverso, proprio come quello di tutta la squadra.

Medaglia di bronzo: a Kenneth Obodo, pura sostanza in mezzo al campo. Il centrocampista nigeriano non gioca un match bello da vedere, ma dà tanto peso e tanta sostanza all’intero assetto di squadra, che si appoggia quasi completamente su di lui. Con un Maiorano non in grande spolvero e quattro giocatori offensivi da supportare, la squadra soprattutto nel primo tempo va in debito di ossigeno e perde spesso le distanze ed è proprio quella la fase in cui Obodo fa vedere tutta la sua importanza. Il suo lavoro, seppur sporco e poco visibile, è fondamentale nelle sorti della partita. Nella ripresa la rete del sorpasso, che arriva con una bella inzuccata su cross di Contessa, è il giusto premio per colosso del centrocampo, che in conferenza stampa già si proietta alla prossima stagione, da vivere ovviamente con la maglia gialloblù che sente sempre più sua.

CONTROPODIO
Medaglia d’oro: a Stefano Maiorano, più che in palla, nel pallone per buona parte del match. Il mediano rientra dalla squalifica ma con la sua prestazione dà ragione a chi avrebbe preferito vedere Favasuli dall’inizio al fianco di Obodo. La partita dell’ex Catanzaro è lenta, confusionaria e nervosa, quasi come se lui e la squadra si confrontassero su ritmi e schemi differenti. Come troppo spesso accade, inoltre, Maiorano si fa ammonire e rischia il rosso in seguito, anche alla luce del suo stile di gioco inevitabilmente fisico. I troppi cartellini in cui incappa il centrocampista di Battipaglia cominciano a diventare un fattore troppo prevedibile e non accettabile da un giocatore della sua esperienza.

Medaglia d’argento: a Francesco Lisi, autore della terza partita “normale” consecutiva. Dopo le super prestazioni con cui ha tolto le castagne dal fuoco ai gialloblù, l’ex Rimini sta comprensibilmente vivendo un periodo di leggera flessione, in cui la grinta e la determinazione non sono sempre affiancate dalla necessaria lucidità in fase di cross. Poche le azioni del numero 7, a cui si accende poche volte la lampadina dell’imprevedibilità che tanto manda in tilt gli avversari di turno. Flessione assolutamente comprensibile e giustificabile, che arriva fortunatamente a salvezza acquisita.

Medaglia di bronzo: ai due centrali difensivi e a Stefano Del Sante. Polak e Navratil si sono fatti sorprendere in più occasioni dall’attacco brevilineo e veloce della Lupa Castelli Romani, che non ha mai avuto difficoltà a saltare i giganti delle Vespe. Da dimenticare il posizionamento difensivo sul secondo gol degli ospiti, quello di Morbidelli, così come sulle ripartenze pericolose dei laziali che solo per poco non si sono concluse con la terza rete. Per Del Sante, invece, solita prestazione fatta spesso di falli a quaranta metri dalla porta, polemiche con arbitri ed avversari e tempismo sbagliato in area di rigore. Insomma, atteggiamenti più da prima donna che da primo attaccante quale è in grado si essere.

Raffaele Izzo

Le pagelle ai gialloblu di vivicentro dopo Juvestabia-LupaCastelli

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Vittoria decisiva della Juve Stabia che supera 4-2 la Lupa Castelli Romani in un match molto ostico che aveva visto i capitolini portarsi sull’1-2 prima della rimonta stabiese. La doppietta di Nicastro e i gol di Obodo- Diop suggellano la salvezza delle vespe.

Ecco le nostre pagelle ai gialloblù:

  • RUSSO 5.5: Ha molte colpe sul primo gol degli ospiti. Nel complesso sembra molto disattento. Passo indietro dopo la bella prestazione di Ischia.
  • CANCELLOTTI 5.5: Discreta fase offensiva, ma fase difensiva da rivedere. Anche per lui un leggero passo indietro rispetto al match di Ischia.
  • NAVRATIL- POLAK 5.5: Morbidelli e Mastropietro fanno ammattire i due centrali della Repubblica Ceca. In particolare modo q soffrire è Jakub Navratil, apparso fuori forma e sempre in ritardo rispetto agli avversari.
  • CONTESSA 5.5: Tanta corsa e qualche assist importante per lui. Spesso, però, perde palloni ingenuamente.
  • OBODO 6.5: Mezzo voto in più per il gol del momentaneo 2-2. Prestazione sufficiente per lui.
  • MAIORANO 5: Fuori condizione. Sbaglia una miriade di palloni e anche le cose più semplici non gli riescono. Giornata no.
  • LISI 5.5: Prova qualche spunto ma fine a sè stesso. Da lui ci si aspetta di più.
  • NICASTRO 7: Apre e chiude le danze. I suoi gol sbloccano e chiudono la gara. Raggiunge la doppia cifra in un campionato per lui entusiasmante.
  • DIOP 6: Non una grande partita per lui, ha però il merito di segnare il gol del 3-2 che regala la vittoria e la salvezza alle vespe.
  • DEL SANTE 5: Stesso discorso fatto per Maiorano. Giornata no per lui.
  • FAVASULI 6.5: Entra al posto di uno spento Maiorano e porta vivacità in attacco, entra lui e le vespe ribaltano il match. Leader.
  • GOMEZ 5.5: Si sente poco in attacco, annata sfortunata per lui.
  • GATTO: SV

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