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Il governo prevede che Ubi rilevi tre banche in difficoltà

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Sull’operazione messa in moto dal Tesoro per salvare tre banche in difficoltà, è scoppiato un braccio di ferro con la Bce. L’istituto lombardo chiede un intervento deciso del governo per sbloccare i fondi, ma la partita appare complessa. Secondo Stefano Lepri il progetto del Tesoro che sta lavorando per completare il salvataggio delle quattro banche finite nella bufera nel 2015, potrebbe avere delle ricadute sui conti pubblici mentre invece, per il governo si tratta di un piano che “non può fallire”.

Ma è braccio di ferro con la Bce per sbloccare l’acquisto degli istituti

Il gruppo lombardo Ubi chiede l’intervento dell’esecutivo sull’Eurotower. Quell’offerta rigettata del fondo Apollo che voleva risarcire i risparmiatori

Una parola brutta e difficile, Rwa. Sta per Risk weighted asset e chi lo considerasse un mero tecnicismo commetterebbe un errore madornale. Intorno a questa parola e alle sue implicazioni si gioca una parte sostanziale della complicata partita per puntellare il traballante sistema bancario nazionale. Gli Rwa si possono tradurre come «attività ponderate per il rischio» e sono dei modelli statistici sulla base dei quali le banche devono accantonare capitale per ogni prestito effettuato in funzione della rischio associato a quel tipo di prestito. Dire se l’accantonamento è adeguato spetta alla Bce.

Una delle condizioni poste da Ubi Banca per l’acquisto di Banca Marche, Etruria e CariChieti è quella di poter utilizzare per gli Rwa delle tre banche i propri modelli. Sterilizzando di fatto le perdite passate senza farle pesare nei propri conti. Secondo gli analisti se la Bce fosse d’accordo, Ubi Banca potrebbe recuperare circa 400 milioni di euro di capitale. Non è l’unica condizione richiesta dall’istituto guidato da Victor Massiah. C’è anche la possibilità di far pesare l’avviamento negativo dei tre istituti o il recupero fiscale delle ingenti perdite accumulate con la risoluzione. Su gli Rwa però la posizione della Vigilanza di Francoforte è particolarmente rigida. La differenza tra fare l’operazione e non farla passa da lì. Per questo Ubi ha chiesto al governo un intervento deciso, «politico», per sbloccare una questione che per quanto tecnica può avere pesanti risvolti sistemici. La posta in gioco è la stabilità del sistema bancario, che proprio a partire dalla risoluzione delle quattro banche, nel novembre scorso, non ha più avuto pace.

Per capire quanto pesano gli Rwa, serve raccontare che proprio su questo punto il piano di Montepaschi presentato lo scorso 29 luglio è rimasto incerto fino all’ultimo. Senza il via libera della Bce a non considerare l’operazione di scorporo delle sofferenze per 27,7 miliardi, arrivato in extremis nella mattinata del 29 luglio, Mps avrebbe dovuto lanciare un aumento da sette miliardi invece che cinque. Date le difficoltà che incontra la banca senese per far partire una operazione da cinque miliardi, è ragionevole pensare che chiedere sette miliardi avrebbe significato decretare da subito la fine della storia.

Così come adesso sull’operazione proposta da Ubi incombe il «no» della Bce sugli Rwa che rischia di mandare a monte l’acquisto, con conseguenze imprevedibili per l’intero sistema bancario. A cominciare dal Fondo di risoluzione, azionista delle quattro banche, che ha ricevuto un prestito da 1,65 miliardi proprio da Ubi, Unicredit e Intesa, garantito dalla Cdp. Non casualmente, quattro dei soggetti presenti ieri al Mef. Avrebbe dovuto essere rimborsato con l’incasso della vendita delle quattro ma l’incasso sarà zero, ragionevolmente.

Sull’operazione incombe anche l’impegno preso con Bruxelles di vendere entro il 30 settembre. Termine trascorso senza comunicazioni ufficiali di proroga ma con generiche rassicurazioni che niente sarebbe accaduto se si fosse andati più in là. A questo punto giova ricordare che lo scorso 30 luglio vennero dichiarate non ricevibili le offerte di due fondi Usa, Apollo e Lone Star, per l’acquisto di tutte e quattro. Le cronache hanno riferito di ragioni «più formali che sostanziali», ma nessuna motivazione ufficiale è mai arrivata. L’offerta di Apollo, secondo quanto ricostruito da più fonti, prevedeva anche una forma di ristoro per i risparmiatori. Con gli obbligazioni che avrebbero ricevuto azioni e i vecchi azionisti degli warrant. Questione più di sostanza che di forma.

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lastampa/Ma è braccio di ferro con la Bce per sbloccare l’acquisto degli istituti GIANLUCA PAOLUCCI

Braccio di ferro con la Bce per salvare quattro banche

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Il Tesoro sta lavorando per completare il salvataggio delle quattro banche finite nella bufera nel 2015. Per il governo si tratta di un piano che “non può fallire” e prevede che Ubi rilevi tre istituti in difficoltà. Sull’operazione, però, è scoppiato un braccio di ferro con la Bce. L’istituto lombardo chiede un intervento deciso del governo per sbloccare i fondi, ma la partita appare complessa. Secondo Stefano Lepri il progetto del Tesoro potrebbe avere delle ricadute sui conti pubblici.

Mossa a sorpresa del governo per salvare le quattro banche

Vertice blindato al Tesoro con Bankitalia, Cdp e i colossi del credito. L’operazione Ubi non può fallire, cresce il pressing su Intesa e Unicredit

ROMA – Il nuovo muro contro muro con la Bce rischia di far saltare la cessione di tre delle quattro famigerate «good banks» italiane salvate a fine 2015 dal Fondo di risoluzione mandando in tilt il delicato equilibrio che governo e Bankitalia hanno costruito in questi mesi allo scopo di puntellare il sistema del credito. Per il governo l’operazione-Ubi, unica pretendente rimasta in campo, «non può assolutamente fallire». Perché, complice la fibrillazione innescata dal disastro della Deutsche bank, un eventuale flop potrebbe creare un effetto contagio e arrivare a mettere a rischio un piano ben più importante, anche dal punto di vista politico, come il salvataggio del Monte dei Paschi. Dopo che il Tesoro, la scorsa settimana, ha ottenuto da Bruxelles una nuova proroga per la cessione di Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Carife, da Francoforte è infatti arrivato uno stop che rischia di compromettere tutta l’operazione. E per questo ora si cerca di correre ai ripari.

Il «caso Deutsche» e noi  

Il tema banche è stato al centro del vertice blindatissimo che si è tenuto ieri nel tardo pomeriggio al Tesoro. «Non si è entrati nel dettaglio di singoli casi», hanno fatto sapere in serata fonti del Mef, ma ci si sarebbe limitati ad analizzare lo stato del nostro sistema bancario anche alla luce delle tensioni sui mercati internazionali degli ultimi tempi. Nel corso delle due ore di confronto «tutti» avrebbero avuto modo di conoscere «tutto», spiega un’altra fonte. «Dobbiamo avere un dialogo continuo su questa situazione di transizione, per irrobustire il sistema» aveva dichiarato nel pomeriggio il ministro Padoan anticipando il senso del vertice col gotha bancario nazionale.

I problemi sul tappeto sono molti e spesso fortemente intrecciati tra loro. Chiamano in causa la Commissione Ue e la Banca centrale europea (che ora a Ubi chiede un aumento di capitale da 600 milioni che la popolare bergamasca giudica inaccettabile), e vanno dalla gestione delle sofferenze, al possibile ruolo del Fondo interbancario di garanzia (ultima spiaggia per evitare la liquidazione di Carife) e di altri big come Intesa e Unicredit, col maxi aumento di capitale di Mps che resta la grande incognita dei prossimi mesi. Ma sul quale, ancora ieri, Padoan è stato molto netto: «non ci sono piani alternativi: ci sarà un’offerta al mercato che sono convinto che avrà successo». Assolutamente escluso un intervento pubblico, «nessuna intromissione».

Secondo fonti del Mef quello di ieri è stato di un incontro «di routine, che fa parte di una consuetudine che si va consolidando». Però non capita spesso di vedere riuniti assieme il ministro dell’Economia, il governatore di Bankitalia, i vertici delle tre banche più importanti (Intesa, Unicredit e Ubi), i rappresentanti di Acri e Abi (il dg Giovanni Sabatini), il presidente della Cassa Depositi Costamagna e il numero uno del Fondo Atlante Penati. «Il governo farà di tutto per non far fallire l’operazione Ubi», spiegava ieri una fonte dell’esecutivo. E per evitare che un eventuale contraccolpo possa arrivare a compromettere i piani per Mps.

A caccia di nuovi fondi  

Come già avvenuto in passato ci si vorrebbe affidare alle cosiddette «soluzioni di sistema». Con un occhio a Cdp e Fondo Atlante ma soprattutto a Banca Intesa ed Unicredit, verso le quali sarebbe già ripartito il pressing. Da loro, che pure hanno già finanziato ampiamente i due fondi Atlante ed erogato assieme ad Ubi un prestito ponte da 1,6 miliardi destinato alle 4 «good banks», ci si aspetta un ulteriore sforzo, ad esempio per togliere dal groppone di Ubi i 3,4 miliardi di nuove sofferenze che le 4 banche hanno generato da inizio anno. Ma Intesa non ne vuole sapere e Unicredit ha altri guai di suo, per cui entrambe fanno muro. Per ora.

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lastampa/Mossa a sorpresa del governo per salvare le quattro banche PAOLO BARONI

STABIA: 500 sfonda guardrail raccordo Castellammare-Napoli

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L’auto a bordo della quale viaggiavano due giovani ha sfondato il guardrail e si è fermata nella scarpata che divide il raccordo dai palazzi adiacenti

CASTELLAMMARE di Stabia – Rocambolesco incidente sul raccordo autostradale di Castellammare di Stabia dove, stando a quanto si è potuto annotare dai primi accertamenti, una 500 nera in viaggio verso Napoli, per evitare uno scontro frontale di ben più gravi conseguenze con un’auto che proveniva a forte velocità sulla stessa corsia, e quindi contromano, si è vista costretta ad effettuare una manovra eludente buttandosi, a sua volta, sulla corsia opposta sfondando il guardrail che ne delimita il percorso con adiacente “scarpata” oltre la quale, a non grande distanza, si trovano le prime abitazioni dell’ormai famigerato (per i frequenti incidenti che vi accadono) Corso Italia. Luogo che forse, nota dettata dall’amarezza dei fatti, per questo è stato prescelto anche come sede dell’Ospedale cittadino. Se non altro i soccorsi medici ed il ricovero ospedaliero possono così avvenire in tempi rapidi, visto che non devono combattere con l’altra piaga cittadina: “il caos del traffico”.

Ben magra consolazione si dirà! Vero! Ma tant’è, è l’unica nota soddisfacente che un cronista amareggiato può annotare in una situazione di viabilità, e di controllo della stessa, come quella stabiese.

Se di note positive non se ne possono avere, almeno lasciatecene immaginare qualcuna, perdonateci e rallegriamoci per il fatto che forse è proprio per questo che sul posto sia subito giunta un’ambulanza con personale del 118 seguiti poi dai vigili del fuoco e, ancora a seguire, da un loro carro gru appositamente fatto giungere sul luogo da Napoli (sic!), con il quale hanno riportato sulla carreggiata l’auto protagonista del fortunoso “tangenziale” tra le corsie.

Comunque le condizioni dei giovani a bordo, per fortuna, pare non siano gravi e questa è una nota positiva. L’unica, in verità!

I rilievi del caso sono stati effettuati dagli agenti della polizia Municipale di Castellammare e dagli uomini della polizia, tutti “prontamente” giunti sul posto, traffico permettendo! Del caos creatosi nel traffico non ne parliamo tanto, probabilmente non è stato nemmeno distinto dagli automobilisti: è condizione naturale alla quale sono, ormai, abituati!

FRANCESCO MARESCA

Novellino: “Insigne sta pagando il dualismo con Mertens”

Novellino a radio Goal

Ai microfoni di Radio Goal, è intervenuto Walter Novellino, ex allenatore azzurro: “Il ko di Bergamo è un incidente di percorso, gli episodi non sono stati fortunati e i partenopei hanno pagato un po’ di stanchezza. Alcuni giocatori mentalmente non erano dentro l’impegno e qualcosa si paga, mentre i nerazzurri avevano maggiore rabbia e fame di punti. Insigne è il calciatore che mi sta deludendo in questo momento, da lui mi aspetto molto di più e va aiutato. Lo conosco bene e so che sta pagando il dualismo con Mertens”.

Callejon, a gennaio via? Due club spagnoli su di lui

Dalla Spagna su Callejon

José Maria Callejon: sarà un futuro lontano da Napoli? Prospettiva complicata, complicatissima, eppure le squadre disposte ad accaparrarselo non mancano. Secondo quanto riporta la testata spagnola Don Balon, sull’attaccante iberico avrebbero messo gli occhi sia il Valencia, del neo tecnico Prandelli, sia il Siviglia. Le due squadre starebbero provando a strappare il ragazzo ad ADL e riportarlo a casa già a gennaio. Difficile, però, che il presidente ci rinunci a stagione in corso.

Auriemma: “Al Napoli serve un mediatore”

Le parole di Raffaele Auriemma

Il giornalista di Premium Sport, Raffaele Auriemma, ha rilasciato alcune dichiarazioni nel corso di Si gonfia la rete, trasmissione in onda su Radio Crc: “Il problema del Napoli è che non ha un mediatore che faccia il suo lavoro sia con la stampa che con i tifosi e che aiuti mister Sarri. Non può essere incolpato solo il presidente serve un uomo di calcio che conosca le dinamiche di gioco”.

Il Governo gioca la carta dell’ecobonus

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Il governo è al lavoro sulla manovra: la legge di stabilità dovrà rispettare i vincoli Ue e varrà 23 miliardi di euro. Tra le misure per rilanciare l’economia l’esecutivo sta studiando un ecobonus che punta a ridurre fino al 70% i consumi energetici in 12 milioni di fabbricati che hanno più di quarant’anni. Gli interventi potrebbero essere finanziati al 90% dallo Stato.

Manovra da 23 miliardi, il governo studia l’ecobonus per il condominio. Ecco tutte le misure

Interventi fino a otto miliardi per previdenza, aziende e Comuni. Il Tesoro prepara una legge di Stabilità rispettosa dei vincoli Ue

ROMA – Come sempre, l’ultima parola spetterà a Matteo Renzi. Ma per il momento pare proprio che la manovra prossima ventura contenuta nella legge di Stabilità si attesterà sui 23 miliardi di euro, di cui ben 15 destinati a disinnescare le solite clausole di salvaguardia sull’Iva. E i 7-8 miliardi di interventi possibili saranno imperniati su quattro interventi strategici prioritari (pensioni, investimenti pubblici dei Comuni, sostegno agli investimenti privati, bonus energetico), che affiancheranno alcuni interventi già annunciati (soldi per gli statali, per i salari di produttività, per le assunzioni, per il Fondo per la povertà). Soprattutto – se tutto andrà come nelle aspettative del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che in queste ore si sta spendendo per evitare ulteriori complicazioni con la Commissione Europea – la legge di Stabilità 2017 non sarà una dichiarazione di guerra nei confronti di Bruxelles e della Bundesbank.

Pure criticando aspramente la generale linea di austerità incarnata dall’ala rigorista della Commissione, pur rivendicando a viva voce la fondatezza delle richieste di ulteriore flessibilità dei conti a suo tempo formulate, a quanto si apprende da fonti del Tesoro, l’Italia presenterà una manovra rispettosa dei vincoli europei, con un rapporto deficit/Pil 2017 intorno al 2 per cento.

I numeri potrebbero cambiare, si sa. Ma se venissero accolte le indicazioni stilate al ministero di Via Venti Settembre, ben 15 dei 23 miliardi della manovra verranno inevitabilmente ingoiati dalle solite clausole di salvaguardia per evitare la stangata dell’Iva. Non resta moltissimo a disposizione, e per questo la filosofia della legge di Stabilità sarà quella di usare il poco che c’è per rispondere a due esigenze principali. Primo, misure per alleviare una serie di emergenze sociali (e già che ci siamo conquistare consensi). Secondo, un altro pacchetto di provvedimenti per cercare di rianimare gli investimenti pubblici e soprattutto quelli privati, mobilitando con interventi «intelligenti» e poco costosi le risorse non attivate.

Nel pacchetto «sociale», che vale 3,3 miliardi, la voce più significativa è quella relativa all’accordo sulle pensioni con i sindacati. Ieri il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, a L’Intervista di Maria Latella su SkyTg24, ha chiarito che nella legge di Stabilità entreranno le misure sulla quattordicesima, sull’Ape e la ricongiunzione gratuita dei contributi versati in enti disparati, per quasi 2 miliardi di euro. Gli altri punti dell’intesa invece no.

Alla voce interventi per lo sviluppo il governo scommette su misure per favorire gli investimenti pubblici più semplici da attivare e da realizzare: quelli realizzati dai Comuni.

L’anno scorso 500 milioni di stanziamenti concessi da Roma ai sindaci per ripianare i disavanzi misero in moto investimenti per 2 miliardi di euro. Quest’anno si spera di salire a quota 800 milioni-1 miliardo.

Due invece sono le misure ideate per attivare investimenti dei soggetti privati, sempre utilizzando una leva fiscale, e sempre seguendo strade già battute con qualche successo quest’anno. Parliamo innanzitutto dell’ecobonus, lo sconto fiscale del 65 per cento concesso a chi realizza dei miglioramenti energetici nel proprio appartamento. L’idea è consentire – attraverso una serie di meccanismi – che questi ecoinvestimenti possano essere pensati e progettati a livello di condominio. Verrà messo a disposizione un miliardo.

Secondo capitolo, gli sconti per le imprese, su cui si potrebbe arrivare a 3 miliardi. Verrà rifinanziato il “superammortamento” del 140%; verrà attivato il nuovo “iperammortamento” del 250% per chi spende in ricerca e tecnologie smart; e verrà rifinanziato il Fondo centrale di garanzia che copre il credito delle piccole e medie imprese.

Fin qui i progetti allo studio del ministero dell’Economia. Progetti costruiti con una certa attenzione, ma che certo dal punto di vista quantitativo pesano poco, e rischiano di non essere sufficienti a rianimare la stanca e stagnante economia italiana. Per questo Palazzo Chigi spera ancora di riuscire a sfondare il muro dei veti di Bruxelles.

Super ammortamento  

AL PIANO INDUSTRIA 4.0 ARRIVA UNA MAXI-DOTE

Dovrebbe attestarsi sui tre miliardi la «dote» a disposizione delle imprese dalla legge di Stabilità. Le linee di azione, rivelate qualche giorno fa dallo stesso ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda in occasione del lancio del piano «Industria 4.0», si basano sull’utilizzo (e il potenziamento) di uno strumento che è stato particolarmente apprezzato dalle aziende: parliamo del super-ammortamento per chi investe soldi negli investimenti.

Il primo passo, dunque, è la conferma per tutto il 2017 del superammortamento del 140% per l’acquisto di beni strumentali, che sarà incrementato al 250% – e sarà chiamato «iperammortamento» – per gli investimenti nelle voci più innovative, come ad esempio le tecnologie legate alle smart factories, ma anche per bioeconomia, agrifood e ottimizzazione dei consumi energetici, e tutte le tecnologie che traino lo sviluppo più moderno e innovativo. Al contrario, sarà ridotto al 120% l’ammortamento per i veicoli e i mezzi di trasporto.

Facendo i calcoli, il vantaggio fiscale proposto ai potenziale investitori è di quelli davvero consistenti. Ipotizzando infatti un investimento di un milione di euro, con il superammortamento del 140% il risparmio fiscale per l’azienda in cinque anni è pari a 96mila euro, mentre con l’iperammortamento al 250%, il beneficio sale addirittura a 360.000 euro, con un incremento pari al 275 per cento.

Giustamente le imprese che producono macchine e impianti da ammortamento «iper» sperano di riempire alla grande i loro elenchi ordinativi. In realtà per adesso non è tanto chiaro quali siano i beni strumentali meritevoli di tale vantaggio fiscale; toccherà al governo indicarli in modo preciso.

Oltre al super e all’iperammortamento, il governo vorrebbe confermare per tutto il 2017 anche la «nuova Sabatini», la norma che contribuisce a coprire gli interessi pagati alla banche per il finanziamento di investimenti in beni strumentali. Lo sportello per la presentazione delle richieste è stato chiuso all’inizio di settembre per esaurimento dei fondi.

Energia  

LO SCONTO ECOLOGICO PREMIA IL RISPARMIO

L’obiettivo è molto ambizioso: usare la leva dei bonus fiscali per ridurre fino al 70% i consumi energetici di 12 milioni di fabbricati che hanno più di quarant’anni. E che dal punto di vista dell’isolamento termico sono dei colabrodo, costosi da riscaldare e da raffreddare, e dannosi per l’ambiente. Uno dei progetti allo studio del governo – tra le diverse opzioni – è quello messo a punto dall’Enea, l’Agenzia nazionale per l’energia, che prevede di trasformare in condominiale l’ecobonus del 65%. E grazie a un fondo di 4-5 miliardi costituito da Cassa depositi e prestiti, banche e operatori – per sostenere i lavori, permettere di fare interventi energetici più consistenti a livello di un intero fabbricato, e non più come oggi procedendo appartamento per appartamento. Senza gravare esageratamente sulle tasche dei proprietari degli immobili: il 10 per cento dell’operazione deep renovation energetica verrebbero restituiti gradualmente in bolletta, come avviene per il canone Rai.

Quando si parla di ristrutturazione energetica, se si devono fare le cose sul serio – e non solo cambiare la caldaia di casa e mettere finestre a doppi vetri – si parla di cifre significative: dai 200mila euro in su. Il costo di questi interventi ben più consistenti, e decisamente difficili da sbloccare in un’assemblea di condominio a spese dei proprietari, verrebbe finanziato per il 90% da un fondo ad hoc, mentre il rimanente 10% resterebbe a carico dei proprietari. Il fondo o chi per lui potrà recuperare le risorse investite in dieci anni, incassando il bonus del 65 per cento erogato dallo Stato, mentre la differenza è ripresa attraverso il risparmio energetico generato con l’addebito agli utenti nella bolletta energetica degli appartamenti. Una sorta di cessione del credito, insomma, con l’intervento delle Esco, le società specializzate in lavori di riqualificazione energetica.

Non è detto che un meccanismo analogo non si possa utilizzare, con i dovuti aggiustamenti, anche per la ristrutturazione antisismica. Che anch’essa va realizzata a livello di intero fabbricato.

Comuni  

UN MILIARDO DA SPENDERE

Si potrebbe arrivare a quota un miliardo in legge di Stabilità per il finanziamento dei Comuni, risorse che verranno utilizzare per sbloccare gli investimenti individuati dai sindaci. Investimenti che secondo tutti gli esperti sono quelli più rapidi da mettere in moto. Di dimensioni minori, ma più vicini e utili ai cittadini. E le normalmente generano un impatto economico di gran lunga superiore.

Già l’anno scorso a copertura del Fondo pluriennale vincolato erano stati messi a disposizione dei sindaci 660 milioni dal governo. L’impatto stimato in termini di opere è stato tra il miliardo e mezzo e i due miliardi di euro. Quest’anno al ministero dell’Economia si progetta di stanziare una somma superiore; in più, però, i primi cittadini potranno utilizzare per i loro progetti anche una quota parte degli avanzi di amministrazione. Un segnale che si intende dare per premiare le città che godono di una buona e prudente gestione; una richiesta di vecchia data dei sindaci «virtuosi».

Un’operazione che peraltro può essere utile anche e soprattutto per riconquistare consensi e per dare un po’ di respiro a chi gestisce gli Enti locali. Non è un caso che l’altro ieri il sindaco di Pesaro Matteo Ricci, vicepresidente del Pd nazionale, e in lizza per la presidenza dell’Anci, abbia chiesto a Renzi nel corso di una manifestazione referendaria che la normativa sui finanziamenti ai Comuni «sia confermata anche nella prossima legge di stabilità. È un’azione espansiva per l’economia – ha detto il primo cittadino di Pesaro – che in Italia ha sbloccato più di due miliardi di lavori. Per la prima volta, finalmente, sono stati premiati quelli che hanno gestito bene e non quelli che hanno gestito male. Avanti su questa strada: i Comuni possono mettere in campo tanti e tanti cantieri».

Sono cantieri che a differenza di quelli giganteschi delle grandi opere infrastrutturali sono sotto gli occhi dei cittadini elettori mentre sono in corso e quando sono terminati: si tratta di strade, di scuole, di impianti sportivi, e di piccole ristrutturazioni di uffici.

Pensioni, contratti e welfare  

DUE MILIARDI ALL’ANNO PER LA PREVIDENZA

Vale un paio di miliardi l’anno per i prossimi tre anni l’operazione concordata dal governo con i sindacati in tema pensioni. Ma del pacchetto sociale faranno parte anche i fondi per i rinnovi dei contratti dei pubblici dipendenti (700 milioni), quelli per detassare il salario di produttività e favorire il welfare complementare aziendale (600) e le risorse del Fondo Povertà (500). Sicuramente verrà gradito l’allargamento della quattordicesima dei pensionati. Come ha detto ieri il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, i beneficiari saranno circa un milione di pensionati con un assegno pari a 1,5-2 volte il minimo. Gente che prima non aveva la quattordicesima e invece ora l’avranno. Per gli altri, coloro che sono già al di sotto di questa soglia e che ricevevano questo assegno, l’incremento sarà attorno al 30%, «anche se dobbiamo ancora fare un po’ di lavoro per calcolarlo con precisione».

Scatta l’anno prossimo anche l’Ape, l’anticipo pensionistico che permetterà a chi compie 63 anni (e quindi è distante meno di 3 anni e 7 mesi dall’ età di vecchiaia) di lasciare il lavoro prima grazie ad un prestito pensionistico. Prestito che in alcuni casi – come dimostrano le simulazioni che pubblichiamo in altra parte del giornale – sarà oneroso. Difficile prevedere se questa misura avrà successo; certamente piacerà alle fasce più disagiate, che potranno beneficiare dell’Ape «sociale» senza tagli.

Nella manovra ci sarà anche spazio per la ricongiunzione gratuita dei contributi versati in enti diversi. Una situazione sempre più comune per i giovani, che cambiano spesso contratto e settore. Prima la ricongiunzione si pagava; adesso sarà gratuita, e la pensione sarà costruita pro-quota in base alle diverse gestioni. Al contrario due punti dell’intesa con i sindacati – i lavoratori precoci, gli usuranti e il lavoro di cura delle donne – per ora sono accantonati.

Quanto al salario di produttività si punta ad aumentare le soglie di reddito da 50 a 80mila euro. E a raddoppiare da 2000 a 4000 euro la quota di salario detassabile soggetto alla mini-aliquota del 10%.

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lastampa/Manovra da 23 miliardi, il governo studia l’ecobonus per il condominio. Ecco tutte le misure ROBERTO GIOVANNINI

Ugolini: “Il Napoli ha meritato la sconfitta”

Le parole di Massimo Ugolini

Massimo Ugolini giornalista di Sky è intervenuto ai microfoni di Radio Goal, trasmissione in onda sulle frequenze di Radio Kiss Kiss Napoli: “Capita alle migliori squadre di perdere in campionato dopo una partita di Champions League impegnativa come quella che sostenuto il Napoli contro il Benfica. Ma c’è una cosa che fa riflettere non abbiamo visto il solito Napoli in campo, mi aspettavo un turnover diverso, magari Gabbiadini in campo, Hamsik fuori e uno tra Rog e Diawara dentro al posto di Jorginho che non sta attraversando un ottimo momento. Sarri imparerà da questo errore. A mio parere si può giocare anche con le due punte”.

Momento no per Jorginho, ci sarà qualcuno a sotituirlo?…

Jorginho e il suo momento negativo

Il centrocampista azzurro Jorge Luiz Frello Filho, in arte Jorginho, voluto fortemente da Rafa Benitez, è alla sua terza stagione al Napoli. Il primo anno con il mister spagnolo non è stato dei migliori per il brasiliano, impiegato poco in campo, Jorginho non è riuscito a dare dimostrazione delle sue capacità. Dalla scorsa stagione, con l’arrivo di Sarri, ha giocato con maggior frequenza mettendo in mostra tutte le sue abilità, tanto da essere giudicato uno dei migliori centrocampisti d’Europa. Quest’anno sembrava essere iniziata un’altra stagione da sogno per Jorginho, la stagione della consacrazione per lui, ma da qualche turno di campionato a questa parte il brasiliano non sta dando il meglio di se in campo, sempre poco attento, sembra stanco. Visti gli acquisti fatti durante la sessione estiva di calciomercato, il suo sostituto potrebbe esordire a breve, che sarà uno tra Rog e Diawara? Staremo a vedere.

a cura di Gennaro Di Dio

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La fotogallery della gara Juve Stabia vs Vibonese (3-0)

Juve Stabia vs Vibonese foto di Giovanni Donnarumma e Raffaele Verdoliva

Guarda le foto di Juve Stabia vs Vibonese realizzate dal fotografo Giovanni Donnarumma e Raffaele Verdoliva che ci raccontano così la vittoria delle Vespe con i ragazzi di Mister Massimo Costantino allo stadio “Romeo Menti” di Castellammare di Stabia.

Oltre alle azioni del match abbiamo fotografato il pubblico sugli spalti, cerca la tua foto e richiedici l’originale per e-mail:redazione.sportiva@vivicentro.it

Clicca qui per rivedere le foto di Raffaele Verdoliva
La Juve Stabia affronta al Menti la Vibonese dopo il punto in extremis acciuffato a Fondi. Tra i calabresi spicca in porta la presenza dell’ex portiere delle Vespe, Stefano Russo. Tra gli stabiesi rientra Capitan Capodaglio.

Juve Stabia: Russo, Cancellotti, Capodaglio, Atanasov, Sandomenico, Liotti, Morero, Izzillo, Lisi, Mastalli, Ripa. A disposizione di Fontana: Bacci, Borrelli, Liviero, Kanoute, Zibert, Marotta, Camigliano, Petricciuolo, Esposito, Rosafio, Montalto.

Vibonese: Russo, Franchino, Paparusso, Giuffrida, Sicignano, Legras, Saraniti, Rossetti, Manzo, Sabato, Cogliati. A disposizione di Costantino: Centrangolo, Mengoni, Chiavazzo, Scapellato, Leonetti, Yabre, Cinquegrana, Tindo, Lettieri, Surace, Di Curzio, Usai.

Minuto 19: Gool Juve Stabia!!!! Sandomenico se ne va sulla fascia destra, Cancellotti si sovrappone ma l’esterno gialloblù vede il movimento di Ripa sul secondo palo e lo serve con un perfetto cross a rientrare, colpo di testa perfetto e Russo è battuto.

Minuto 15: Vibonese vicinissima al pareggio. Sugli sviluppi di un corner Russo è ormai battuto ma Ripa salva sulla linea.

Minuto 40: GOOOOL JUVE STABIA!! Raddoppio delle Vespe ancora con Ripa. Inzuccata perfetta del centravanti su angolo di Liviero. 2 a 0 per i gialloblù.

Minuto 46: GOOOOOOL JUVE STABIA!!! Arriva la tripletta di Ripa. Rigore procurato da Kanoute e siglato da Spider, che si porta a casa il pallone.

Finisce qui. Un’ottima Juve Stabia schianta la Vibonese e si mette subito alle spalle il mezzo falso di Fondi.

 

Inglesi e ungheresi: doppio attacco a Bruxelles

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A Bruxelles tirano un sospiro di sollievo per il “flop” del referendum di Orban in Ungheria che è però necessariamente parziale. Nelle stesse ore la premier inglese Theresa May annuncia l’avvio delle procedure per la Brexit nella primavera 2017. “O l’Europa comincia a pensare seriamente a come rispondere a queste sfide, o si troverà presto più divisa di prima dopo aver perso un pezzo importante”, scrive l’editorialista  de La Stampa, Stefano Stefanini.

Il doppio attacco a Bruxelles

Ieri la sfida all’Europa è venuta contemporaneamente dal caposaldo atlantico e dal cuore centroeuropeo. Il Regno Unito se ne va alla ricerca di un futuro globale. L’Ungheria rimane abbarbicata all’Unione Europea, ma cercava d’imporre proprie condizioni non comprendenti l’accettazione di migranti.

La sfida ungherese è solo mezzo mancata: non aver raggiunto il 50% di affluenza ma conteggiare il 95% di voti anti-immigrazione è un segnale preciso. Non a caso l’opposizione aveva raccomandato la diserzione dalle urne, non il voto pro-immigrazione. Orban esce sconfitto; come Putin, scopre anche che è più facile cullarsi in alti indici di popolarità che scuotere la pigrizia dell’elettorato. Il referendum fallito non farà però aprire le porte ungheresi all’immigrazione. Né quelle degli altri Paesi di Visegrad (o di altri).

I britannici si proiettano audacemente nel mondo e gli ungheresi si attaccano al provincialismo dell’uniformità centroeuropea. Direzioni opposte, ma entrambe all’insegna di una rivincita della sovranità nazionale.

L’Europa è stretta nella morsa, che la politica tradizionale non controlla, i Trattati non prevedevano, Bruxelles spesso non capisce e la frenesia referendaria alimenta. Una nuova scuola di leader, che forse ha in Theresa May l’ultima arrivata, cavalca l’onda. O l’Europa comincia a pensare seriamente a come rispondere – finora non l’ha fatto mettendo pezze all’immigrazione ed evadendo il tema di Brexit – o si troverà presto più divisa di prima dopo aver perso un pezzo importante.

L’Unione Europea ha molte frecce al suo arco. Lo sta dimostrando con la procedura eccezionale di ratifica anticipata dell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. La ratifica europea non viola le sovranità nazionali, ma permette di aggiungere i Paesi Ue che hanno già ratificato (l’Italia non ancora, l’Ungheria sì) al quorum necessario (55% delle emissioni globali) per l’entrata in vigore dell’accordo. Con l’Ue a bordo il traguardo è praticamente raggiunto. È stato un rapido successo politico: il problema era sorto solo due settimane fa a margine dell’Assemblea Generale dell’Onu.

Per britannici, che hanno fortemente incoraggiato la ratifica Ue dell’accordo, e ungheresi la lezione è semplice. L’Unione non è inutile; ha un peso internazionale che Londra, da sola, non sfiora. Per Bruxelles la lezione è più sottile: concentrarsi dove più incisivo è il ruolo e maggiore il valore aggiunto del blocco anziché dei singoli Stati membri; rispettare le sfere nazionali, senza inutili rulli compressori. È tempo di riscoprire la «sussidarietà», come limite all’ingerenza regolamentare comunitaria dove non necessaria.

Brexit e resistenza ungherese all’immigrazione non sono sullo stesso piano. L’eurodivorzio è una svolta geopolitica radicale di cui il resto dell’Ue sembra non rendersi pienamente conto. È affiorato ieri nel discorso di Theresa May alla conferenza del Partito Conservatore a Birmingham. Il Primo Ministro ha tracciato una visione del Regno Unito potenza mondiale che si libera dei vincoli eurocentrici dell’Ue – con quanto realismo resta da vedere: alcune delle frasi potrebbero tranquillamente figurare nel discorso sullo stato dell’Unione del prossimo Presidente americano; in futuro, fuori Birmingham un po’ di senso delle proporzioni non le guasterà. Senza entrare nel merito di Brexit ha fatto capire che la riappropriazione nazionale, immigrazione inclusa, ha la precedenza su tutto, anche sul Mercato Unico. Ha fatto felice la platea conservatrice, molto meno gli ambienti economici e gli investitori stranieri.

May aveva esordito a Downing Street dicendo di voler fare di Brexit «un successo». Si può dubitare che ci riesca, ma il messaggio è galvanizzante. Bruxelles è ancora ferma sulle quattro (giuste) libertà del Mercato Unico, inclusa l’immigrazione. È tempo che anche i 27 comincino a pensare, se non a fare di Brexit un successo (non lo sarà per nessuno, Uk per primo, ma si possono limitare i danni), a cosa vogliono ottenere nel divorzio. In gioco sono gli interessi dell’Ue, non la punizione dei britannici. Henry Kissinger ha raccomandato di non trattarli come detenuti evasi di prigione. Evitiamo di fare dell’Ue una prigione: altri potrebbero voler scappare.

Quanto all’Ungheria e a Viktor Orban, non ci sono sospiri di sollievo da sprecare. Il 44% di affluenza alle urne lo indebolisce, ma non cambia quasi niente. L’immigrazione rimane pesantemente sul tappeto europeo. Le quote erano un espediente, non una soluzione. Sono inoperanti. Non ci sono risposte facili, ma due direzioni in cui muoversi sono chiare: l’Ue deve assumere la responsabilità del controllo degli arrivi, accoglienza e respingimenti, alleviando l’onere sui Paesi in prima linea, come l’Italia; occorre intervenire alla radice, sui Paesi di origine dei migranti economici in Africa e sulle crisi in Siria, Libia, Yemen – la lista è lunga.

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vivicentro/Inglesi e ungheresi: doppio attacco a Bruxelles
lastampa/Il doppio attacco a Bruxelles (Stefano Stefanini)

Orbán non sconfigge l’Europa

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Il referendum di Victor Orbán non raggiunge il quorum: gli elettori ungheresi non si presentano in massa alle urne per approvare il gran rifiuto sulle misure per la redistribuzione dei migranti nei Paesi europei, anche se il 95% di chi vota è d’accordo con il premier. A Bruxelles tirano un sospiro di sollievo che è però necessariamente parziale. Nelle stesse ore la premier inglese Theresa May annuncia l’avvio delle procedure per la Brexit nella primavera 2017.

Orban manca il quorum: “Vado avanti lo stesso”

Meno del 45% alle urne per il referendum sulle quote di migranti. Il premier: cambio la legge, la Ue non può costringerci ad accoglierli

BUDAPEST – «Siamo orgogliosi di questo risultato. Dimostra che il diritto di decidere spetta a Budapest, non a Bruxelles, da oggi la nostra voce è più forte». Il premier ungherese Orban sorride a denti stretti, l’affluenza è lontana dal trionfo plebiscitario dato per certo dopo una durissima campagna durata 18 mesi e cominciata con l’annuncio della costruzione del muro al confine con la Serbia per fermare l’«invasione» e chiudere la rotta balcanica.

L’Ungheria è stato il primo Paese europeo a dire «no» ai migranti «e altri ne seguiranno», dice il premier, riferendosi agli alleati dell’Europa centrale (la Polonia in prima fila) e ai movimenti nazionalisti e populisti che ambirebbe a condurre verso uno scontro contro «le decisioni imposte da Bruxelles. Siamo orgogliosi di essere stati i primi». Il premier ungherese aveva deciso di votare di prima mattina. Alle 8,30, quando l’affluenza era inchiodata al 7,25%, al seggio della scuola elementare Zugliget, a Budapest: «Questo referendum è cruciale, sia per l’Ungheria che per l’Europa», aveva detto. Ma proclami politici a parte i dati dell’affluenza parlano chiaro: il referendum per dire no alle quote di ripartizione dei migranti chieste dalla Ue è stato un fallimento. Al quartier generale di Fidesz, nel modernissimo centro Balna, proprio a ridosso del Danubio, i deputati arrivano senza esultare, controllano preoccupati i numeri che scorrono implacabili sulla tv di Stato. Orban si è portato qualche decina di sostenitori, per il resto solo poliziotti in borghese piazzati a ogni angolo.

Di fatto è stato espresso un verdetto senza appello: il referendum, con il 43,4% dei voti (di cui solo il 39,86% valido), non ha raggiunto il quorum. Sebbene il portavoce del governo Zoltan Kovacs esulti per i 2,3 milioni di persone che hanno detto no a «migranti e insicurezza», nel «più partecipato referendum dal 1999», non sfugge che altri sei milioni di ungheresi abbiano boicottato – come chiesto dalle forze di opposizione – la consultazione. Neanche nelle contee a ridosso del muro, sulla rotta balcanica, quelle più colpite dagli ingressi di massa della scorsa estate, hanno regalato ai sindaci di risultati per cui festeggiare. In nessun distretto di frontiera si sarebbe superato il 35% di voti.

«Come al solito», dice il portavoce del governo, «guardate il dito e non la luna». Il referendum «è stato una vittoria». Certo, precisa, «una vittoria per la democrazia» perché per Orban non lo può dire, e aggiunge: «Il messaggio arriverà a Bruxelles in modo chiaro, il 98% degli ungheresi ha detto no alle quote». «Da oggi le cose cambieranno, andiamo avanti», insiste Orban. Le dichiarazioni del premier fanno capire in che direzione cambieranno le cose con un risultato «che ha rafforzato il governo – dice il portavoce Kovacs – e il mandato che il popolo gli ha affidato». E cioè nessun passo indietro sui migranti, anzi. Al quartier generale di Fidesz il fantasma della Brexit viene evocato come lezione ed esempio: «Specialmente dopo il voto inglese l’Europa ora sarà costretta ad ascoltare la voce di 3 milioni di ungheresi».

L’esecutivo di Budapest userà il risultato come un via libera alla propria politica sull’immigrazione, fatta di filo spinato e mano pesante. «Questo referendum non è senz’altro la fine della storia, ma solo l’inizio di una nuova fase. Se la consultazione non potrà avere conseguenze legislative ne avrà – e di molto pesanti – di politiche», dicono i deputati alla stampa straniera. E quanti ipotizzavano una distensione nei rapporti tra Budapest e Unione sembra verranno delusi: «Perché dovremmo cambiare?», rilancia Kovacs, ricordando le azioni di violenza che, dice, «ogni giorno vengono messe a segno da migranti in tutta l’Europa occidentale». E dando ancora una volta per scontata l’equazione profughi-terroristi: «D’altronde non erano immigrati quello degli attacchi di Parigi?». L’atteggiamento di Budapest rimarrà quello di sempre, insomma, quello della «legalità» fatta rispettare a tutti i costi, delle leggi che prevedono il carcere per chi attraversa clandestinamente il confine, dei permessi di soggiorno dati con il contagocce (500 in un anno) e la demonizzazione dello straniero «che mina la sicurezza». Nessuno ride, quando viene ricordato lo slogan, ironico. del partito d’opposizione Cane a due code: «In Ungheria ci sono talmente pochi migranti che è più facile che un ungherese veda un Ufo».

Intanto, ieri sera, Gabor Vona, leader del partito estremista di destra Jobbik, ha detto che ora il premier deve dimettersi «come ha fatto il premier britannico Cameron dopo la Brexit». Orban pensa invece al secondo mandato e ribadisce: «Avanti così».

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Guardia Costiera, 3 ottobre 2016: 6.055 migranti tratti in salvo in 39 operazioni VIDEO

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Immagini relative al trasporto di due migranti bisognosi di cure, effettuato da l’elicottero AW139 del 2° Nucleo Aereo della Guardia Costiera.

Sono circa 6.055 i migranti tratti in salvo nella giornata di oggi, nel corso di 39 distinte operazioni di soccorso coordinate dalla Centrale operativa della Guardia costiera a Roma del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. I migranti si trovavano a bordo di 32 gommoni, 5 barconi e due zattere, nello specchio acqueo 30 miglia a nord dalle coste della Libia, sulla direttrice di Tripoli. Nel corso delle operazioni sono stati recuperati anche 9 corpi senza vita.

Hanno preso parte ai soccorsi, 3 unità della Guardia Costiera, 2 della Marina Militare operanti nel dispositivo Mare Sicuro e unità di Eunavformed, di Frontex, e delle Organizzazioni Non Governative MSF, SOS Méditerranée, Life Boat, Sea Watch e Boat Refugee.

Soccorso con elicottero AW139 del 2° Nucleo Aereo
Soccorso con elicottero AW139 del 2° Nucleo Aereo

Per due migranti (una donna ed una bambina) che si trovavano a bordo della Dignity 1(appartenente alla MSF), si è reso necessario una evacuazione medica effettuata dalla motovedetta CP319 di Lampedusa. I due migranti bisognosi di cure sono stati poi prelevati da un elicottero AW139 del 2° Nucleo Aereo della Guardia Costiera e trasportati direttamente a Lampedusa. Durante il trasferimento, a bordo dell’elicottero, sono stati assistiti da un medico del Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta.

In ricordo del Cav. Alberto Sorlini

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Nella foto, al centro, il Presidente Cav. Alberto Sorlini, alla dx il Segretario G.B. Pruzzo e alla sx l’allora Vice Presidente Celso Vassalini.

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

Un piacevole ricordo del Cav. Alberto Sorlini e un riconoscimento a quanto da lui creato in tanti decenni di operosa laboriosità

Desidero esprimere la mia più sincera stima ed affettuoso apprezzamento per quanto fatto dal Cav. Alberto Sorlini come Presidente del CinefotoClub “ Museo Nazionale della Fotografia con sede a Brescia”, il che costituisce l’ennesima prova del riconoscimento di un rigoroso impegno a servizio del bene comune e della nostra Città.

Rinnovo i miei complimenti per l’attenzione spasmodica e costante accompagnata dalla sua passione, dalla sua professionalità e meticolosa conoscenza del mondo della fotografia conoscendo nei dettagli le attrezzature storiche e moderne e la sua volontà di trasmettere quanto da lui preziosamente acquisito negli anni attraverso numerosi corsi di formazione, nonché mostre fotografiche ed eventi da lui voluti e organizzati tenutesi per decenni invitando e coinvolgendo professionisti del settore di fama Mondiale che il compianto Cav. Alberto Sorlini ha dedicato al Museo Nazionale della Fotografia, con l’obiettivo di conferire un notevole contributo all’arricchimento culturale e nel contempo elevando così la Città di Brescia a livello mondiale.

Faccio presente ai più che il riconoscimento del Cine Foto Club a Museo Nazionale della Fotografia è stato realizzato per volontà del compianto Avv. Luigi Savoldi, il quale si è prodigato per la causa ed è riuscito nel suo intento salvaguardando così il prezioso e copioso e unico patrimonio che il Mondo ora si ritrova, ben conservato e catalogato, invidiato e desiderato dagli appassionati mondiali del settore.

Inoltre l’attuale sede ove risiede il Museo, ovvero presso un palazzo storico sito in Via S. Faustino a fianco della Chiesa del Carmine di proprietà dell’Università Statale di Brescia, vi è grazie al compianto e instancabile On. Gianni Savoldi, uno dei fautori storici insieme ai soci e al Presidente Sorlini del Cine Foto Club di Brescia.

Vorrei in questo triste momento approfittare per porgere un ringraziamento anche agli operatori del mondo della fotografia, che in questi ottant’anni sono riusciti a creare una raccolta di pregevole e rara bellezza, evidenziando ancor più l’ingegno del Presidente Cav. Alberto Sorlini, alla creazione di questo museo che è una autentica “ perla “ unica al Mondo.

Mi preme in questa triste occasione far presente che questo museo esiste grazie all’instancabile e perspicace lavoro e forte volontà del compianto Cavaliere, è nostro dovere quindi dedicare il Museo al Cav. Alberto Sorlini, glielo dobbiamo!

Grazie Alberto, per aver profuso formazione e conoscenza in tanti cittadini che si riconoscono nella Tua instancabile passione per l’insegnamento della scienza della fotografia.

Grazie, infine, per il contributo da Te riservato all’Università degli Studi di Brescia, che ha permesso di migliorare il contenitore della Clinica Odontoiatrica e tutte le altre attività culturali degli studenti del nostro Ateneo, vero serbatoio del futuro culturale bresciano.

Speriamo che i tuoi eredi spirituali del Museo Nazionale della Fotografia, possano continuare in maniera egregia quanto da te voluto avviato con professionalità.

Grazie Alberto per tutto quello che hai fatto per la nostra terra bresciana e quanto hai lasciato al mondo intero.

Celso Vassalini

 

 

Fai, esami bloccati, in 250 aspettano la Provincia per lavorare

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La Fai Salerno (Federazione Italiana Autotrasportatori) denuncia una situazione insostenibile per 250 persone associate che sono pronte a lavorare ma non possono farlo perché la Provincia di Salerno,  che è abilitata a far sostenere gli esami per “Gestore di trasporto merci”, dal luglio 2015 non  fissa date per farli .

“L’esame è di competenza dell’ente provinciale di Salerno”, spiega il segretario regionale del coordinamento Fai Angelo Punzi. “Vorremmo sapere il perché di questa situazione di stallo nell’adempimento di un compito che spetta all’Ente provinciale. Nelle altre province italiane gli esami si svolgono con cadenze regolari. Di fatto sono ben 250 le aziende, nuove o che nascono da un cambio generazionale, che sono pronte a lavorare ma non possono farlo. Prima gli esami di gestore autotrasporto si facevano ogni tre mesi, ora di mesi ne sono passati ben 15. Con la crisi occupazionale che c’è è davvero incomprensibile che la Provincia blocchi di fatto l’accesso alla professione di 250 aziende”.

Maggio, l’ agente: “E’ in grande condizione, si sente nuovamente protagonista”

Massimo Briaschi, agente di Christian Maggio, ha parlato ai microfoni di Radio Kiss Kiss. Ecco quanto evidenziato:
“In merito alla sconfitta di Bergamo si può parlare di discorso mentale, la Champions fa perdere tante energie in tal senso. I calciatori vengono monitorati tutti i giorni a livello atletico.
Nuovi moduli? Un allenatore deve adattarsi ai giocatori presenti in organico e alle loro caratteristiche.
Maggio? Christian si sente nuovamente protagonista, è al top della condizione fisica. Speriamo possa togliersi tante soddisfazioni”.

Il Ponte Che Non C’e’ (Lo Piano SaintRed)

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Sono bastati 3 monosillabi del Ministro Matteo Renzi, (noi, siamo, pronti), in occasione della celebrazione dei 110 anni dell’impresa costruzioni “Salini Impregilo”, a far scatenare gli antichi entusiasmi dei fautori del Ponte.
Torniamo indietro nel tempo :
La storia del Ponte ha origini antiche, Aurelio Angelini autore del ” Il Mitico Ponte sullo Stretto di Messina, la fa iniziare ai tempi delle guerre puniche, 250 anni prima della nascita di Cristo. All’epoca, racconta il geografo greco Strabone, i Romani costruirono un ponte di barche unite le une alle altre, per portare alcuni elefanti che avevano cattutato ai loro nemici cartaginesi: l’impresa riusci’.
Nei secoli successivi, alcuni Re e Imperatori accarezzarono l’idea di unire la Sicilia con la Calabria, anche a Carlo Magno venne quest’idea, proprio di recente per questa sua volonta’, si era pensato di intitolare a lui il ponte.

Torniamo al presente :

Partiamo dal momento in cui si diede il via ai progetti per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, che “avrebbe” potuto rappresentare per tutta la Sicilia un trampolino di lancio economico senza precedenti.
Renzi ha parlato di 100 mila posti lavorativi, quando si avvicina qualche tornata elettorale, ogni politico cerca di dare il meglio di se stesso nell’intuire quali possano essere le giuste leve per attirare su di se i voti.
Storia del Ponte che non c’e’ :
Negli anni tra il 2005 fino al 2015, sono stati approntati una serie di progetti di ingegneria civile, si doveva scegliere il migliore lavoro, vi parteciparono tante imprese internazionali, vinse la gara l’Eurolink S.C.p.A.
Andiamo avanti :

Il 20 Dicembre 2010, l’Eurolink aveva consegnato il progetto definitivo alla Società Stretto di Messina S.p.A., venne approvato dalla stessa il 29 luglio 2011. Quando sembrava tutto pronto per l’inizio dei lavori, chi intervenne? Il CIPE che non lo approvo’, visto che mancava l’accordo tra la Societa’ contraente e la Societa’ concessionaria. Cosi’ si fecero scadere i termini, bisognava siglarlo entro il 1 Marzo 2013, un classico per la burocrazia italiana

Per farla breve il contratto di appalto perse la sua efficacia, unitamente ai tanti soldini che erano stati spesi per tutti i lavori che erano stati compiuti sia in Sicilia che in Calabria a partire dal 2009.

E non finisce qui’:

la Eurolink, ha citato in giudizio la Societa’ Stretto di Messina SpA, nata 35 anni fa e  messa in liquidazione nel 2013, chiedendo un risarcimento iniziale di 45 milioni di euro, come acconto su una parcella di 790 milioni di euro dovuta per penalita’ contrattuali: la prima udienza si e’ tenuta nel Novembre 2015;

E’ lecito chiedersi quanto e’ costato sino ad oggi tutto il pacchetto del Ponte che non c’e’: udite udite, un miliardo di Euro, sarebbero potuti servire per  risolvere tanti problemi, compreso quello occupazionale, purtroppo i soldi sono come sempre “gestiti” e buttati ai 4 venti nella maniera piu’ sbagliata.

Altra domanda : 

Se i soldi per i terremotati ci sono, quelli per la costruzione del Ponte, per aiutare le Banche in difficolta’ e delle Pensioni pure, c’e’ da chiedersi…… siamo ricchi? Se no, qualcosa non quadra.

COLLEGATA:

Traghetto Ponte Stretto di Messina

ISOLE – OPINIONILOPIANO-SAINTRED

Cavallo Di Troia (Lo Piano SainRed)

La possibile quanto improbabile costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, a detta degli “esperti” in politica, potrebbe creare migliaia di…

Il Pungiglione Stabiese – Un ragno aiuta le Vespe

Il Pungiglione Stabiese programma sportivo in onda su ViViradioWEB

Questa sera c’è il consueto appuntamento con ” Il Pungiglione Stabiese “, programma sportivo che parla di Juve Stabia a 360° gradi. Come sempre alla conduzione ci sarà Mario Vollono,  collegatevi oggi 03 ottobre 2016 dalle ore 19:30 per avere notizie in esclusiva sul mondo gialloblè. Avrete due modi per seguire la puntata:

DIRETTA

DIFFERITA (dopo 2 ore dalla diretta)

In questa puntata in studio ci saranno Mario di Capua (Radio Sant’Anna) e Salvatore Sorrentino (ViViCentro) 

Parleremo della vittoria con la Vibonese la quarta di fila tra le mura amiche. Vittoria firmata Spider Ripa che con la sua tripletta mostra evidenti segnali di recupero.

Questa sera avremo come ospite telefonico il Direttore Sportivo Pasquale Logiudice  con cui parleremo della rosa della Juve Stabia e dei prossimi impegni in campionato della Juve Stabia.

Ci collegheremo telefonicamente con il collega Giovanni Cimino di Tutto Reggina  con il quale presenteremo il  prossimo avversario delle Vespe.

Ci collegheremo telefonicamente con Saby Mainolfi responsabile del settore giovanile della Juve Stabia  con il quale parleremo delle gare di questo fine settimana.

Avvisiamo i radioascoltatori che è possibile intervenire in diretta telefonica chiamando il numero 081.048.73.45 oppure inviando un messaggio Whatsapp al 338.94.05.888.

Gli ascoltatori possono inoltre scrivere, nel corso del programma, sul profilo facebook “Pungiglione Stabiese” per lasciare i loro messaggi e le loro domande.

“Il pungiglione stabiese” è la vostra casa. Intervenite in tanti!

Vi ringraziamo per l’affetto e la stima che ci avete mostrato nel precedente campionato e speriamo di offrirvi una trasmissione sempre più bella e ricca di notizie.

Pompei, l’urlo del vescovo di Nola: “Si continua a sparare, difficile vivere qui”

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Lo riporta La Repubblica

“Com’è difficile vivere nella nostra regione, dove si continua a sparare e a versare sangue, ad attentare alla salute e alla bellezza del territorio, dice il vescovo di Nola, Beniamino Depalma, durante la celebrazione eucaristica della supplica alla Beata Vergine del Santo Rosario di Pompei. L’appuntamento si svolge in una città sferzata dal maltempo, con la pioggia che impone una modifica dei programmi della vigilia, lasciando migliaia di fedeli all’esterno del santuario e costringendo gli organizzatori ha mettere al riparo persino il quadro della Madonna. Ma le condizioni meteorologiche, pur proibitive, non fermano la manifestazione religiosa che come ogni anno si tiene in occasione della prima domenica di ottobre. E dal pulpito, il vescovo Depalma non rinuncia a richiamare l’attenzione sui mali del nostro tempo e delle nostre terre. La violenza della camorra e di ogni altra forma di criminalità, gli abusi commessi ai danni del paesaggio. Mentre il vescovo parla, la basilica è stracolma. Seimila persone sono stipate fra i banchi, altrettante sono in piedi, pigiate una sll’altra. Fuori, ombrelli aperti e occhi verso la chiesa, ce ne saranno forse diecimila sistemati in strada o nelle cappelle esterne. La riorganizzazione logistica suggeritadalla pioggia battente ha indotto a rivedere e riorganizzare anche le misure di sicurezza predisposte dalle forze dell’ordine che, nei giorni scorsi, avevano messo a punto un piano teso a proteggere la celebrazione senza turbare la partecipazione dei fedeli. All’esterno della Chiesa erano stati dislocati cecchini ed era stata effettuata la consueta bonifica dei tombini e degli angoli della Piazza antistante il sagrato esterno. Tra i circa ventimila fedeli, molti stranieri, tra i quali le folte comunità ucraina e polacca. L’arcivescovo di Pompei, Tommaso Caputo, apre la concelebrazione con un saluto a Papa Francesco “che seguirà dall’Arzebaijan la supplica alla Regina delle Vittorie”. Caputo ricorda il legame che unisce le diocesi di Pompei e di Nola, rivolto al suo vescovo, Beniamino Depalma, chepresiede la concelebrazione. Quando prende la parola Beniamino cattura l’attenzione ed esorta “a non cadere nella trappola della rassegnazione, dell’indifferenza, della rabbia o della fuga nelle realtà virtuali”, una spia anche questa del malessere di questi giorni. “Com’è difficile fuggire alla speranza in tempi difficili – ragiona il vescovo di Nola – ma abbiamo bisogno della speranza, credenti e anche laici, perché senza la speranza resta solo la disperazione. O la speranza, o il nulla”. Ecco perché Depalma sollecita un risveglio della coscienza umana e sogna la costruzione di “un mondo fatto per tutti”, un mondo in cui “Dio non sia mandato in esilio e con esso si mandi in esilio anche l’uomo”.

IL GIORNO DOPO- Napoli troppo spavaldo: così non va

Atalanta-Napoli, il giorno dopo: sconfitta che brucia

Distacco Juve: il Napoli perde clamorosamente a Bergamo contro l’Atalanta 1-0, e va a meno quattro dai bianconeri primi in classifica. Sconfitta, quella azzurra, senza eguali: mai gli uomini di Sarri, in campionato, hanno subito così tanto, affrontando un match a testa bassa e senza idee, con prepotenza e superficialità. Un gol di Petagna, al nono minuto del primo tempo, chiude il match prima del previsto: il Napoli, attacca, prova l’affondo ma non è mai in grado di rendersi pericoloso.

GLI UOMINI-  Male il centrocampo, con Jorginho e Hamsik che, alla nona partita di fila, sono già in riserva di energie. Meglio Zielinski, che si lascia andare a qualche incursione bella da vedere e pericolosa, eppure spesso includente. Nemmeno l’attacco gira: Milik e Gabbiadini insieme si pestano un po’ i piedi data la confusione generale e l’esigenza di far gol, mentre Callejon, Insigne e Mertens appaiono più un peso per i compagni in campo che una soluzione di qualità in più. Entra, dopo Manolo e Dries, anche Giaccherini che però non si dimostra mai in grado la differenza. Sufficienza solo a Reina e Koulibaly, punto di riferimento di una difesa azzurra orfana di Albiol, ma con un Maksimovic in più. Non bene neppure Hysaj sia in fase difensiva che offensiva. Più propositivo Ghoulam, più volte vicino alla rete.

TRA 10 GIORNI RITORNO AL SAN PAOLO- La sosta arriva al momento giusto: in questi 10 giorni, la squadra, e Sarri incluso, dovrà farsi un esame di coscienza. La Juve si allontana, le avversarie, invece, si avvicinano sempre più. Tra due settimane, ci sarà la Roma. Per ripartire e acquisire quelle sicurezze che sembrano essersi affievolite in pochissimo tempo. L’imperativo, da seguire nei prossimi giorni, è dimenticare ciò che s’è fatto: ripartire da zero, da squadra. Con umiltà e sacrificio. La Juventus è di un altro pianeta, ma non così aliena da vincere lo scudetto già ad ottobre.