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Le scuole inglesi ci classificano come: Italiani, Italiani-Siciliani e Italiani-Napoletani

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Alcune scuole dell’Inghilterra e del Galles distinguono gli italiani del Nord da quelli del Sud: nei moduli online si trovano tre diverse definizioni: Italiani, Italiani-Siciliani e Italiani-Napoletani. L’Ambasciata italiana a Londra protesta per uno scivolone d’altri tempi.

Scuole inglesi distinguono meridionali e italiani L’ambasciata protesta: “Siamo uniti dal 1861”

A denunciare l’accaduto sono stati per primi alcuni genitori

«Italiani», «Italiani-Siciliani» e «Italiani-Napoletani»: è polemica sui moduli d’iscrizione messi online da alcune circoscrizioni scolastiche britanniche di Inghilterra e Galles in cui spunta questa inopinata distinzione etnico-linguistica riservata ai bambini provenienti dalla Penisola. Distinzione che suscita sdegno nelle famiglie e innesca una pungente nota di protesta verbale dell’ambasciata d’Italia nel Regno Unito: «Siamo uniti dal 1861», fa presente al Foreign Office l’ambasciatore Pasquale Terracciano, lasciando trasparire un’evidente punta di sarcasmo dietro il rispetto delle forme codificate della diplomazia.

A denunciare l’accaduto sono stati per primi alcuni genitori, allibiti di fronte all’indicazione – fra i dati richiesti – di questa stravagante tripartizione di etnia e di idioma come una sorta di variante italiana. Il loro racconto, rimbalzato su un paio di media in Italia, ha indotto a compiere subito una verifica. E in effetti si è scoperto che era tutto autentico. Nessuno scherzo, nessun equivoco. «Si tratta di iniziative locali – spiega all’Ansa l’ambasciatore Terracciano – motivate probabilmente dall’intenzione d’identificare inesistenti esigenze linguistiche particolari» e garantire un ipotetico sostegno. «Ma di buone intenzioni – aggiunge – è lastricata la strada dell’inferno»: specie quando diventano «involontariamente discriminatorie, oltre che offensive per i meridionali».

Di qui la decisione di un passo ufficiale attraverso la nota al Foreign Office, il ministero degli Esteri di Sua Maestà, nella quale si chiede «l’immediata rimozione» di questa indebita caratterizzazione pseudo-etnica, che nulla ha a che fare con l’importanza dei genuini connotati regionali o dei dialetti italiani. E si conclude ricordando appunto come «l’Italia sia dal 17 marzo 1861 un Paese unificato».

L’episodio s’inquadra in una stagione delicata per la Gran Bretagna, alle prese con la prospettiva della Brexit, il divorzio dall’Ue, in un clima nel quale su temi come il flusso dei migranti o l’apertura agli stranieri non sono mancate fibrillazioni né eccessi: nella società come nella politica. Un clima che a livello locale, nota Terracciano, si riflette anche «nella grave carenza di conoscenza della realtà italiana», di fatto nell’ignoranza diffusa su altri Paesi, che questa vicenda testimonia. Riproponendo, come in una sgangherata macchina del tempo, «una visione tardo ottocentesca della nostra immigrazione». E forse dell’Italia tout court.

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Perché la scissione nel PD non ci sarà

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L’editorialista Federico Geremicca analizza la crisi del Pd alle prese con la minoranza interna: “I leader passano e i partiti – salvo scatafasci – restano. Tutto, dunque, consiglierebbe alla minoranza Pd di restare dov’è e continuare dall’interno la propria battaglia”.

Le ragioni che allontanano la scissione nel Pd

Allontanata dagli stessi potenziali protagonisti come chiacchiericcio o ipotesi da film di fantascienza, una scissione all’interno del maggior partito italiano rischia – al contrario – di trasformarsi nell’approdo possibile (se non inevitabile) di una crisi interna che si trascina, di fatto, dal giorno dell’elezione di Matteo Renzi a segretario del Pd.

I maggiori «sospettati» di lavorare alla divisione del Partito democratico (e cioè Bersani, Speranza e Cuperlo, leader delle minoranze interne) hanno nettamente smentito, ieri, di avere nell’orizzonte una tale possibilità. Qualcuno (Bersani) lo ha fatto con la tradizionale ironia: ci vuole l’esercito della Pinotti per cacciarmi via; qualcun altro (Speranza) rifiutando addirittura di entrare nel merito della questione: per me la scissione non esiste. Ma è la motivazione con la quale Gianni Cuperlo ha negato l’ipotesi, invece, a permettere un minimo di ragionamento su quel che il futuro potrebbe davvero riservare.

«Quando la sinistra si è divisa – ha annotato Cuperlo – la mattina dopo non si è risvegliata più forte e autorevole, né con maggiori consensi: ma solitamente più fragile».

Potrebbe sembrare una dichiarazione rassegnata o pessimista: in realtà, è solo la fotografia di quel che è accaduto in epoca ragionevolmente recente (escludendo, dunque, la scissione che portò, a Livorno, alla nascita del Pci). È una considerazione sottoscrivibile anche oggi, in presenza – cioè – di un Pd che si starebbe «spostando a destra sotto la spinta «modernista» di Matteo Renzi?

Ovviamente, nulla di certo può esser detto in assenza di controprove (che almeno a parole, per altro, nel Pd nessuno dice di voler cercare). Ma poiché dall’avvento dell’«usurpatore» (Renzi, naturalmente) diversi abbandoni eccellenti hanno già punteggiato la vita del Pd, qualche valutazione è forse possibile. L’addio al partito democratico di personalità come Cofferati, Civati, D’Attorre e altri non è paragonabile – in tutta evidenza – ad una eventuale scissione di tutte le minoranze che oggi vivono nel Pd: eppure, quegli addii qualcosa forse insegnano.

La prima, è che il vizio capitale della sinistra italiana (divisioni, appunto; gelosie, personalismi e leaderismi poco sostenuti dal necessario consenso) sembra tutt’altro che guarito. Tra Rifondazione comunista, Sel, Possibile e quant’altro, è in atto da mesi una sorta di inconcludente «guerra fredda», intorno alla cessione di un briciolo di sovranità che permetta la nascita di un soggetto politico unitario (cosa che Sinistra italiana, in tutta evidenza, ancora non è). Si è infatti osservato un tourbillon di veti incrociati e leaderismi che ha fatto gettare la spugna perfino all’uomo che da più parti veniva indicato come il possibile leader di un nuovo partito della sinistra: e cioè Maurizio Landini, letteralmente scomparso, da qualche tempo, dai radar della politica italiana (non certo, naturalmente, del sindacalismo…).

La seconda cosa che quegli abbandoni dovrebbero aver insegnato, è che non basta autoproclamarsi «più di sinistra» per aver successo in un mercato politico le cui regole e il cui tasso di ideologizzazione sono profondamente cambiati. E’ una banalità: ma molte delle risposte e delle ricette tradizionali della sinistra (non solo italiana) non funzionano più. E basta volgere lo sguardo alle dinamiche in atto nell’intera Europa per riceverne conferma.

Dunque, ricostruire una credibile (e appetibile) sinistra di governo, non è opera semplice. E immaginare di farlo a partire da una scissione che i più interpreterebbero come semplice insofferenza verso l’attuale segretario, potrebbe rendere l’impresa ancor più spericolata. È per questo che una scissione del Pd non sembra ragionevolmente alle porte. Per questo e per altro, naturalmente. Compresa una banale, seppur remissiva, considerazione: che i leader passano e i partiti – salvo scatafasci – restano. Il Pd, onestamente, avrà molti problemi ma non sembra certo sull’orlo di un tracollo. Tutto, dunque, consiglierebbe alla minoranza pd di restare dov’e e continuare dall’interno la propria battaglia. Ma gli umori sono quelli che sono: e non è detto che logica e prudenza alla fine abbiano il sopravvento.

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Bersani ribadisce il no al Referendum e spiega le sue ragioni

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Pierluigi Bersani ci spiega in un’intervista le ragioni del suo “No” al referendum del 4 dicembre e attacca il combinato disposto di legge elettorale e riforma costituzionale.

Bersani: il premier sia più umile e la smetta di paragonarsi a Prodi

“Sì, ero per il doppio turno, ma di collegio, che è del tutto diverso. Se voto No non mi dimetto. Col sì elezioni più vicine, e poi non venitemi a chiamare”

ROMA – In mattinata, l’aveva detta così: «Solo se la Pinotti schiera l’esercito mi si potrà far fuori dal mio partito. Quella è casa mia». Pierluigi Bersani è l’uomo più ricercato del giorno e ha voglia di rispondere a chi parla di scissioni imminenti. Nel pomeriggio l’ex segretario dem riceve il vignettista Sergio Staino, neo-direttore dell’Unità, che mesi fa disse a quelli della minoranza Pd che con Togliatti sarebbero finiti in Siberia.

LEGGI ANCHE: Perché la scissione nel PD non ci sarà

Perché non è intervenuto in direzione?  

«Bastavano Gianni Cuperlo e Roberto Speranza a dire le cose come stanno».

La commissione Pd sulla legge elettorale è un’apertura concreta di Renzi, o no? 

«(Sorride) Una commissione non si nega a nessuno. Io ho detto a Guerini che noi della minoranza ne faremo parte solo per rispetto a lui».

Cuperlo ha detto che se voterà no si dimetterà da deputato. Lo farà anche lei?  

«Quello di Cuperlo è un gesto generoso, ma non è una linea politica. E poi: qualcuno dovrà pur rimanere a testimoniare per il No».

Accetterebbe un confronto tv con Renzi?  

«Credo non lo farebbe lui. Io, comunque, non faccio il portavoce del fronte del No».

Come spiegherà agli elettori il No a un riforma che aveva votato in Parlamento?  

«Spiegherò che c’è un problema di democrazia, come dicevo già un anno fa. Oggi tutti parlano del pericolo proveniente dal combinato disposto Italicum-riforma costituzionale. Quando lo sostenevo io, eravamo in pochi. Per quel motivo si è dimesso un capogruppo, Speranza, e io per la prima volta in vita mia non ho votato la fiducia al mio partito».

Renzi dice che eravate voi i sostenitori del doppio turno…  

«Il doppio turno di collegio, che è ben altra cosa. Lui parla tanto della legge dei sindaci… ma il sindaco è l’amministratore di un grande condominio che è il comune, non fa leggi, non stampa moneta».

Scenari sul dopo referendum. Se vince il No?  

«Non si andrà al voto subito perché bisognerà prima fare una legge elettorale».

Se vince il Sì?  

«Può essere che si vada a votare. Ma può benissimo succedere che il Pd perda, e vinca qualcun altro. A quel punto però, non mi venissero a cercare, eh…»

Qual è il pericolo, scusi?  

«Visto cosa sta succedendo in Europa, e nel mondo? Io ho l’orecchio a terra, sento il magma che si muove sotto. E poi non pensiamo che la destra nel Paese non ci sia…»

Con l’Italicum si conosce subito il vincitore: non è un bene?  

«Possiamo anche saperlo nel pomeriggio, se è per questo. Andiamo da Giletti, estraiamo a sorte una persona e gli diamo il cento per cento. Dai, non scherziamo… Se insisti a semplificare, alla fine trovi qualcuno che semplifica più di te. Anche un rappresentante della nouvelle vague del socialismo francese come Macron ha detto che se c’è la febbre non puoi rompere il termometro».

Smentisce la scissione, anche per il futuro?  

«Sembra di assistere al referendum tra repubblica e monarchia. Anche allora, dentro la Dc votarono diversamente, ma il giorno dopo erano tutti democristiani allo stesso modo. Come avvenne nel Pci con l’aborto: mica tutti votarono a favore».

Il clima così è da congresso permanente, però.  

«Il congresso sarà importante se separeremo i ruoli di segretario e premier. E non lo dico perché voglio far fuori Renzi. Sarebbe un gesto di generosità per riaggregare il centrosinistra, aprirlo al civismo, alle associazioni. Dobbiamo uscire dalla logica del faccio tutto io e guardare fuori per vedere cosa c’è intorno a noi».

Renzi si è augurato di non passare i prossimi 30 anni a chiedersi chi ha ucciso il Pd, come avete fatto con l’Ulivo.  

«Gli consiglio più umiltà: non si paragoni a Prodi, già questo segnala una perdita di dimensioni, sia dal punto di vista delle personalità che ne facevano parte – c’era gente come Ciampi – che da quello della spinta riformista. Potrei parlare per ore delle riforme che abbiamo fatto. Era un governo dove ci davamo del lei e non facevamo una legge di Bilancio in dieci minuti per andare al Tg. Ripetono di guardare al futuro? Cominciamo a non lasciare troppi debiti».

È contrario a più flessibilità?  

«Sono favorevole: ma una famiglia si indebita per investire, non per regalare bonus».

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lastampa/Bersani: il premier sia più umile e la smetta di paragonarsi a Prodi ILARIO LOMBARDO, FRANCESCA SCHIANCHI

La manovra in cifre: 24,5mld per crescita, sostegno a famiglie e pensioni

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Il governo presenta i numeri della manovra: dei 24,5 miliardi di euro, 22,5 puntano sullo sviluppo con incentivi alla crescita, sostegno alle famiglie e alle pensioni più deboli.

La manovra vale 24,5 miliardi: un piano crescita in quattro mosse

Il governo punta su competitività, sviluppo, pensioni e contratti, blocco dell’Iva. Padoan conferma l’obiettivo di un incremento del Pil dell’1 per cento il prossimo anno

Incentivi agli investimenti, supporto alle imprese, maggiori investimenti pubblici, iniziative a sostegno di famiglie e pensionati. Sono questi i pilastri della crescita su cui scommette il governo in vista del varo delle legge di bilancio atteso per sabato. Una manovra che complessivamente vale 24,45 miliardi e che consente al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, tornato ieri sera in Parlamento per una nuova audizione dopo i rilievi dell’Ufficio parlamentare di bilancio, di confermare per il 2017 un obiettivo di crescita pari all’1% del Pil.

L’Upb conferma il suo no

L’Ufficio parlamentare di Bilancio a sua volta ha confermato con una lettera ai presidenti di Camera e a Senato di non aver convalidato le stime, ma il governo tira dritto. «Previsioni fuori linea? In realtà – ha spiegato Padoan – lo scarto è contenuto e non significativo in termini statistici». Colpa soprattutto dei differenti modelli statistici. Il ministro conferma così l’indebitamento netto (2% nel 2017, 1,2 nel 2018 e 0,2 nel 2019) ed il +1% di Pil nel 2017 per passare poi all’1,3% nel 2018 ed all’1,2 l’anno seguente. «La composizione della manovra e quindi alcuni dei suoi effetti sono ancora passibili di variazione» ha aggiunto il ministro. Ma le misure di stimolo alla crescita per un totale di 22 miliardi sono già state tutte individuate. A cominciare dalla rimozione dell’aumento dell’Iva, che impegnerà circa 15 miliardi, aumenterà il Pil dello 0,3%. Una stima che Padoan ritiene prudente «considerando il contesto macroeconomico nel quale ci troviamo dall’inizio della crisi».

Il pacchetto competitività

Il pacchetto competitività vale invece lo 0,1% in più e prevede misure per stimolare gli investimenti in macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto e beni immateriali. Si va dai super-ammortamenti (al 140%) relativi ad investimenti effettuati nel 2017 all’iper-ammortamento (al 250%) per investimenti legati al piano Industria 4.0. Quindi si rafforzano i crediti d’imposta su investimenti in ricerca e sviluppo e nell’ambito delle iniziative di «Finanza per la crescita» vengono introdotti i Piani di risparmio individuali.

Spinta sugli investimenti

I maggiori investimenti in opere pubbliche e messa in sicurezza di infrastrutture scolastiche e viarie in chiave antisismica compresi nel pacchetto-sviluppo a loro volta valgono un altro 0,1% di crescita. Proprio ieri, varando il decreto per il terremoto che ha colpito Lazio e Marche, il governo ha ufficializzato che nella legge di bilancio verranno stanziati 4,5 miliardi destinati alla ricostruzione (3,5 per le case private e 1 miliardo per gli edifici pubblici). Quindi sarà prorogato, e «fortemente potenziato» in chiave antisismica, l’intero pacchetto di incentivi fiscali a favore di risparmio energetico, ristrutturazioni e acquisto di mobili. Il governo conta di rifinanziare anche il Fondo centrale di garanzia e la legge Sabatini sul rinnovo del parco macchinari.

Pensioni e contratti

Infine il pacchetto che tiene assieme politiche sociali, contratti pubblici, capitale umano e politiche vigenti vale un ulteriore 0,1%. L’impatto, in questo caso, ha precisato Padoan, «è arrotondato per difetto». Nelle spese sociali sono comprese l’adeguamento delle pensioni minime (con l’aumento del 30% delle 14esime a favore di 3,3 milioni di soggetti), le risorse per le famiglie, il capitale umano e i rinnovi contrattuali in tutta la Pa.

La spinta complessiva di questo pacchetto di misure arriva allo 0,7% del Pil se non fosse che occorre conteggiare l’impatto delle coperture: -0,2 di punto per effetto delle riduzioni di spesa (anche se dalla spending review ci si attende di ricavare appena 2,6 miliardi contro i 4,5 ipotizzati a suo tempo) ed un ulteriore -0,1% per effetto delle maggiori entrate, tra recupero dell’evasione (Iva compresa) e nuove entrate legate alle concessioni governative.

I nuovi stanziamenti

Complessivamente sulle misure a favore della competitività il governo conta di investire 347 milioni nel 2017 per poi salire a 4,7 miliardi nel 2019 e a 5,4 nel 2019. Il pacchetto sviluppo vale invece 3,8 miliardi nel primo anno, quindi 4,01 il secondo e ben 6,1 il terzo. Le spese obbligatorie assorbono 2/2,2 miliardi mentre le «nuove politiche» (pensioni minime, contratti pubblici, capitale umano) assorbiranno 3,15 miliardi nel prossimo anno per poi salire sino a 3,8, confermando così quanto il sentiero sia particolarmente stretto per gli interventi nel campo della previdenza e dei contatti della Pa. Per i quali ieri si ipotizzava la possibilità di spalmare gli aumenti in 4 anni anziché in 3.

Twitter @paoloxbaroni

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lastampa/La manovra vale 24,5 miliardi: un piano crescita in quattro mosse PAOLO BARONI

La riforma di Boeri per l’ Inps

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Per poter riformare le pensioni in Italia c’è bisogno di una nuova Inps: il presidente dell’istituto, l’economista Tito Boeri, descrive la sfida che interessa milioni di italiani in un’intervista a Alessandro Barbera de La Stampa.

Boeri: “Se non riorganizziamo l’Inps la riforma pensioni è a rischio”

«Entro un anno il sussidio di disoccupazione sarà automatico. Il sì al referendum è fondamentale per cambiare il sistema dell’invalidità»

Tito Boeri ha un piccolo ufficio di proprietà dell’Inps a Palazzo Wedekind, due stanze di quella che una volta era l’enorme redazione del Tempo di Roma. Quando non lavora nel palazzone dell’Eur, è il suo punto d’appoggio. Le stanze adiacenti vengono affittate. Non una segretaria, non un funzionario. È appena tornato da Berlino dove ha discusso il progetto per introdurre il numero di sicurezza sociale europeo. In un angolo del tavolo lo zainetto nero da cui non si separa mai. Oggi rifirmerà con alcune modifiche il piano di riorganizzazione dell’istituto che gli ha creato enormi grane con i sindacati. Le finestre di Matteo Renzi a Palazzo Chigi sono a portata di voce.

Boeri, a costo di fare arrabbiare il premier non ha mai smesso di chiedere più flessibilità per le pensioni. Fra pochi giorni diventa realtà l’Ape, il piano per concedere l’anticipo a chi vuole uscire prima dal lavoro. Una buona riforma o un flop annunciato?  

«Tutto ciò che permette maggiore libertà di scelta a persone e imprese senza far aumentare il debito va bene. Il governo ha dovuto tenere conto dei vincoli europei, resta da verificare che i costi non vengano fatti pagare alle giovani generazioni».

Giudizio sospeso?  

«Il diavolo sta nel dettaglio e diverse cose sono ancora in discussione. C’è una norma di cui sono molto soddisfatto: quella per abolire le ricongiunzioni onerose fra gestioni previdenziali diverse. E’ iniquo penalizzare chi cambia lavoro. E poi equivale a tirarci una zappa sui piedi: secondo l’Ocse siamo il Paese europeo con il più alto “mismatch”. In altre parole abbiamo il maggior numero di lavoratori occupato in mansioni diverse dalle loro competenze. Migliorando l’incontro fra domanda e offerta di competenze possiamo tornare a crescere».

Il piano di uscita anticipata è piuttosto complesso, non è ancora del tutto chiaro chi potrà fare cosa. O no?  

«Sì è vero, è un meccanismo complicato, per questo ci vorrà un’importante campagna informativa e il contributo dei sindacati».

A parole tutto molto bello, intanto chi ha diritto ad un sussidio di disoccupazione deve fare domanda e attendere mesi.  

«Entro fine 2017 contiamo di fare tutto in automatico chiedendo noi a chi perde il lavoro dove versare la prestazione cui ha diritto e se è disponibile al reimpiego o a corsi di riqualificazione. Questo ci permetterà di erogare subito la prestazione senza aspettare che il lavoratore si attivi per richiederla».

Come va l’operazione buste arancioni? Al giornale riceviamo lettere di persone che scoprono di dover andare in pensione a 70, 71 anni.

«Bene che lo sappiano sin d’ora. E che si permetta loro, entro certi limiti, di poter uscire prima, ma con prestazioni più basse».

Quante lettere avete spedito?  

«Circa due milioni. Le abbiamo mandate a chi non aveva il codice di accesso ai servizi on line».

Per il piano pensionistico chiede collaborazione ai sindacati, intanto sulla riorganizzazione dell’Inps le fanno la guerra.  

«Senza la riorganizzazione dell’Inps sarà difficile l’attuazione del piano di anticipo pensionistico. L’Inps dovrà essere il centro di una rete fra banche, assicurazioni, imprese e lavoratori. Per noi è una grossa sfida. Abbiamo il dover di informare adeguatamente i contribuenti sulle implicazioni di scelte difficili. Per farlo abbiamo bisogno di più dipendenti preparati sul territorio».

Lo ha detto al premier? Le indiscrezioni raccontano che in passato avete passato momenti di grande freddezza. E’ così?  

«Non ho mai avuto la sensazione di avere problemi con lui. La mia indipendenza di giudizio non è mai stata in discussione. I problemi in passato semmai li ho avuti col Parlamento, e su questo Renzi non si è mai espresso, né a favore né contro».

L’organismo di vigilanza in cui siedono i suoi rappresentanti – il Civ – ha fatto ricorso al Tar contro il regolamento di organizzazione. Perché?  

«E’ stato il presidente del Civ a fare ricorso. In quel testo chiede di continuare a mettere bocca nella gestione intervenendo direttamente sull’operato del direttore generale. Come in passato c’è chi vorrebbe continuare a scegliere i dirigenti con il manuale Cencelli. Questo è inammissibile. I sindacati devono esercitare sorveglianza, lo avrebbero forse dovuto fare meglio in passato, non devono certo gestire la macchina».

E poi ha un fronte aperto con i dirigenti, che contestano il piano di riduzione delle direzioni generali. Perché?  

«La fusione fra Inps, Inpdap ed Enpals è avvenuta a freddo. Da allora non c’è mai stata una vera riorganizzazione. (Tira fuori l’organigramma dell’Inps). Guardi qui: le pare possibile che l’Inps debba avere una direzione “per il coordinamento analisi e monitoraggio soddisfazione dell’utenza per la riduzione del rischio reputazionale”? Per la pubblicazione dei lavori fatti dai ricercatori coinvolti nel programma VisitInps ho dovuto coinvolgere cinque direzioni generali. Glielo ripeto: cinque».

Come entra in ufficio all’Eur la mattina? Si mette l’elmetto?

«Il mio discorso di fronte ai dirigenti è stato forse il più difficile della mia vita. Ma c’è anche chi sta dalla mia parte. La struttura è sotto stress: siamo ventottomila ed eroghiamo oltre quattrocento prestazioni diverse. La settimana scorsa ero in Polonia, dove ci sono cinquantamila persone per occuparsi solo di pensioni. Anche in Francia e Germania ci sono molti più dipendenti per euro erogato che da noi. Al tempo stesso i carichi di lavoro non sono distribuiti in maniera equa e il merito non viene adeguatamente premiato. (Tira fuori un altro pezzo di carta, è la lettera di una dipendente)».

Oggi avete 48 direzioni generali, 33 delle quali a Roma. Lei ora qui ne vuole solo 14 e ben 22 sul territorio. Perché?  

«La mia impressione è che il federalismo all’italiana abbia buttato via il bambino con l’acqua sporca. Lo Stato ha abbandonato il territorio. Le autorità locali hanno bisogno di macchine efficienti per erogare i servizi e solo un’amministrazione centrale può ottenere quelle economie di scala che sono essenziali per raggiungere molte persone con costi molto bassi. Quando giro le sedi e incontro i sindaci spesso mi chiedono di aprire punti Inps presso i loro Comuni. Sono disposti non solo a darci locali in comodato gratuito, ma anche terminali e persone dedicate».

Non c’è il rischio di alzare i costi?  

«Dipende da come si riorganizza lo Stato: non deve moltiplicare le amministrazioni. Penso alla gestione degli ispettorati del lavoro: era divisa fra ministero del Lavoro, Inps e Inail. Che bisogno c’era di aprire un nuovo soggetto terzo, anzi quarto a tutti questi? Non si poteva riunire le funzioni presso uno di queste entità?»

Il referendum sul Titolo quinto avrà effetti sul vostro lavoro?  

«Potenzialmente importanti. Penso al contrasto alle povertà: oggi se ne occupano Comuni e Regioni a macchia di leopardo, mentre lo Stato contribuisce residualmente con la carta acquisti. Ci vorrebbe un sistema di finanziamento nazionale affiancato da un cofinanziamento locale. Questo responsabilizzerebbe gli enti locali a controllare che i soldi vadano davvero a chi ha bisogno e a spingere chi può a lavorare. Un altro esempio è la riforma degli strumenti per la concessione di assegni di invalidità: oggi la competenza è divisa fra noi e Asl con sovrapposizioni evidenti, lungaggini e contenzioso. Ipotizziamo di affidare tutto all’Inps: oggi è necessario mettere d’accordo tutte le Regioni, se il sì passa lo Stato riavrà il potere di regia».

Twitter @alexbarbera

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Lucas Alario alternativa a Milik, il Napoli lavora in vista di gennaio

Si pensa ad Alario in vista di Gennaio

Esclusa la pista che porta ad uno svincolato per sostituire l’infortunato Arek Milik, il Napoli pensa al mercato di gennaio. Secondo quanto riporta Sky Sport, gli azzurri starebbero pensando al giovane Lucas Alario, attaccante classe 92 del River Plate. Sul ragazzo, ci sarebbe forte l’Inter di De Boer. Su di lui anche il Genoa, che in estate provò a portarlo in Liguria.

Coppa Italia LND- Real Forio i convocati per il match contro il Real Albanova

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Domani pomeriggio (ore 15.30), il Real Forio ritornerà a giocare allo stadio “Calise” in occasione del ritorno dei sedicesimi di finale di Coppa Italia Eccellenza e Promozione. Sull’isola sbarcherà il Real Albanova, battuto degli isolani nella gara d’andata per 4-0 grazie alle reti di Trofa, De Felice, Vitagliano e De Luise V. Due risultati su tre a disposizione dei padroni di casa che per ritrovarsi fuori dalla competizione dovrebbero arrivare ad un passivo che vada dal 5-1 in poi (sempre con almeno quattro reti di scarto). In caso di passaggio del turno, il Real Forio affronterà la vincente tra Virtus Volla e Barano. Di seguito i convocati di mister Impagliazzo che dovrà fare a meno di diversi giocatori importanti:

 

Verde

Di Massa

Conte

Calise

Mora

Abbandonato

Di Spigna

Trofa

Sannino

De Luise V.

Vitagliano

Mazzella

Chiocca

Maltese

Verde A.

De Felice

Chiaiese

De Luise M.

Trani

 

Squalificati: Di Dato (3 giornate)

Infortunati: Saurino G., Saurino C., Fiorentino, Iacono, Fanelli, Arcamone, Ruggiero

Guerrieri: “Maradona ha fatto una promessa i suoi tifosi”

Le parole del giornalista

Francesco Guerrieri, giornalista del corriere dello sport, ha rilasciato un’intervista nel corso di Fuori Gara trasmissione in onda su Radio Punto Zero: “Maradona è arrivato in conferenza stampa in leggero ritardo ma era sorridente e sereno. Ha affermato che Papa Francesco lo ha fatto riavvicinare alla chiesa facendogli trovare serenità. Per prima cosa ha voluto fare un annuncio ai vari top player del presente e del passato invitandoli a partecipare a questi eventi di beneficenza, riferendosi alla partita della Pace di domani. Si è parlato anche di Napoli e di Higuain. Per Maradona l’argentino ha sbagliato, ha ricordato che anche lui aveva avuto proposte molto importanti dall’avvocato Agnelli, ma non ha mai voluto tradire il popolo napoletano. Ha promesso inoltre che farà 90 minuti all’Olimpico domani sera, vedremo se manterrà la promessa. Secondo il Pibe de Oro quella di sabato contro la Roma sarà una partita decisiva per il campionato di entrambe le squadre. Infine secondo Diego non c’è differenza tra Gabbiadini e Milik”.

Ancelotti: “Sarà un momento difficile per il Napoli, ma non bisogna arrendersi”

Le parole di Carlo Ancelotti

Carlo Ancelotti, allenatore del Bayern Monaco, ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport, nella quale si è soffermato sulla situazione del Napoli dopo l’infortunio di Milik: “Strada spianata per la Juve dopo l’infortunio di Milik? E’ una dura batosta per il Napoli perdere il polacco. Ora tocca a Gabbiadini che ha una grande responsabilità. Scudetto? Sicuramente è favorita la Juve, ma non parlerei di strada spianata. Tutto può succedere, l’infortunio è sempre dietro l’angolo. Della Juve mi piacciono solidità, continuità, organizzazione di squadra e di società. Errori di Buffon e difesa di Allegri meno solida? Tutti gli avversari se lo augurano. Però la solidità difensiva rimane la forza della Juve”.

Ronaldinho: “Io al Napoli? Sarebbe un onore”

Le parole del brasiliano

Il fuoriclasse ex Milan Ronaldinho ha rilasciato alcune dichiarazioni in conferenza stampa, in vista della partita della Pace alla quale sarà presente insieme a Diego Armando Maradona: “Io al Napoli? Adoro la Serie A, la seguo sempre. Ma ormai sono troppo in la con gli anni per giocare. Certo che giocare nel club in cui ha giocato anche il più grande giocatore di tutti i tempi sarebbe un onore per me”.

Milik è già in piedi, che determinazione!

Sembra davvero incredibile ma Arkadiusz Milik si è già alzato in piedi. L’ incredulità è data dal fatto che l’ attaccante polacco ha iniziato a camminare per i corridoi di Villa Stuart a un solo giorno di distanza dall’operazione al legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro.  Grande determinazione e forza di volontà per ritornare subito protagonista.

 

 

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Dzeko, l’ agente: “Edin doveva solo ambientarsi. Milik? Grave perdita”

A Radio Crc è intervenuto Silvano Martina, agente dell’ attaccante giallorosso Edin Dzeko. Ecco quanto evidenziato:
“Aveva solo bisogno di adattarsi al calcio italiano ma il suo valore non è mai stato in discussione. Milik? Di sicuro il suo infortunio non è positivo per il Napoli che può comunque vantare una valida alternativa come Gabbiadini. Non dimentichiamo che anche Higuain era insostituibile, ma l’ attaccante polacco ha fatto meglio di lui ad inizio stagione. Il merito va dato anche a Sarri”.

Nainggolan non al top: il belga rischia la panchina contro il Napoli

La Roma continua a lavorare in vista della sfida di sabato pomeriggio contro il Napoli. Luciano Spalletti deve fare i conti con le tante assenze dovute alla sosta per le Nazionali e con un grande dubbio in mezzo al campo. Stando a quanto riporta l’ edizione odierna della Gazzetta dello Sport, Radja Nainggollan non sarebbe ancora al 100%. Il belga ha svolto la doppia sessione di allenamento ieri ma non è apparso ancora al top della condizione. Motivo che spingerebbe il tecnico toscano a preferirgli Alessandro Florenzi nel ruolo di incursore.

Chiesa: “Giusto dare fiducia a Gabbiadini. Sarri troverà anche altre soluzioni”

Enrico Chiesa, ex attaccante, è intervenuto ai microfoni di Radio Kiss Kiss Napoli nel corso della trasmissione Radio Gol. Ecco quanto evidenziato:
“L’ infortunio di Milik permetterà a Manolo Gabbiadini di mettersi in mostra. Ma sono convinto che Sarri cercherà anche qualche soluzione diversa, si inventerà qualcosa di nuovo.
Idea falso nueve? Sia Mertens che Callejon potrebbero fare quel ruolo ma bisogna dare fiducia a Gabbiadini, permettergli di esprimersi al meglio.
Nel 1999 fui molto vicino al Napoli, sarebbe stata una bella esperienza. È una piazza che mette diverse pressioni ma si respira calcio”.

Il karate diventa sport olimpico. Appuntamento per Tokyo 2020

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Dalla prossima edizione dei giochi olimpici che si terranno a Tokyo nel 2020, ci sarà una nuova disciplina: il karate

La centoventinovesima sessione del Comitato Internazionale Olimpico, lo scorso agosto ha deliberato sulla proposta del Comitato organizzatore delle Olimpiadi di Tokyo 2020 l’inclusione del karate tra i nuovi cinque sport nella prossima competizione dei “cinque cerchi”.

karate_arcobalenoDunque, il prossimo appuntamento olimpico, vedrà anche questa disciplina nata in Giappone ai nastri di partenza insieme ai tanti più famosi sport che da secoli già fanno parte delle competizioni sportive quadriennali che anche in Italia annovera svariati partecipanti.

Tale notizia ha scatenato un gran fervore in tutte le società del mondo, in particolare in Italia, grazie alla Fijlkam, ci si prepara a questo evento iniziando con programmi mirati per il mondiale di Liz.

Grandissima soddisfazione è stata espressa dal presidente della Federazione mondiale (WKF) Antonio ESPINOS, presente alla sessione del CIO e gli ha fatto da eco il presidente federale Domenico FALCONE che ha commentato: “era ora!”

A tal proposito, in esclusiva alla redazione di Vivicentro, abbiamo sentito il direttore tecnico del settorekarate_arcobaleno1 karate, maestro Diego ESPOSITO dell’associazione sportiva “Centro Sociale Oratorio Arcobaleno” di Rovigliano – Torre Annunziata che si auspica che i suoi atleti possano partecipare a tale evento ed è per questo che da sempre persegue risultati in campo agonistico! – l’anno 2015/2016 è iniziato alla grande con risultati di rilievo in campo nazionale ed internazionale prosegue ESPOSITO, sia nella forma che nel combattimento, finanche domenica 9 ottobre la stessa società s’è laureata squadra Fijlkam campione Regionale nel kata giovanile, infine, abbiamo in programma altri eventi a cui parteciperemo, come la gara internazionale “VENICE CUP” il prossimo 5 e 6 novembre a Caorle in provincia di Venezia e lo stage internazionale a Padova con la campionessa giapponese Rika Usami.

Giovanni MATRONE

Castellammare, tre pescatori nei guai: sequestrati 100 chilogrammi di datteri

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Ecco cosa è accaduto

Questa mattina, il Nucleo di Polizia Giudiziaria della Guardia Costiera di Castellammare di Stabia ha sequestrato 100 chilogrammi di datteri di mare, il cui valore sul mercato nero poteva aggirarsi intorno ai 10mila euro. Come ben noto, si tratta di un prodotto che sarebbe stato venduto a prezzi molto elevati non immettendolo nei normali canali commerciali, ma rivendendolo ai privati o a ristoranti di pregio che li offrono ai loro clienti.

I militari della Capitaneria di Porto stabiese stavano monitorando i movimenti di alcuni datterari e stamane all’alba hanno fatto scattare il blitz in località Acqua della Madonna del Comune di Castellammare di Stabia. I tre colpevoli sono stati sorpresi con l’ingente quantitativo di molluschi protetti.

Riunione a Milano tra arbitri, capitani ed allenatori: per il Napoli presente Maggio

Riunione a Milano tra arbitri, capitani ed allenatori: per il Napoli presente Maggio

(ANSA) – MILANO, 11 OTT – “Penso che questa sia un’annata buona. Guardando i nomi degli arbitri e le loro esperienze, abbiamo una decina di direttori di gara che hanno fatto da 100 a 200 partite, qualcuno anche di più, a volte in campi internazionali molto difficili. E’ un pò come con il vino, ci sono annate buone perché matura un pò di più”. L’allenatore della Roma, Luciano Spalletti, sceglie questa metafora arrivando a San Siro per l’incontro di inizio stagione fra arbitri, capitani, tecnici e dirigenti di Serie A. “Mi aspetto di imparare bene le nuove regole. Più chiare sono e meglio è”, ha notato Spalletti prima che cominciasse la riunione, a cui partecipano fra gli altri il presidente della Federcalcio Carlo Tavecchio, il presidente dell’Aia Marcello Nicchi, il designatore Domenico Messina, gli arbitri della Can di A, Allegri, Marchisio e Marotta per la Juventus, Maggio per il Napoli, Montella e Antonelli per il Milan, per l’Inter Icardi e due collaboratori di De Boer e l’allenatore del Bologna Donadoni.

Hillary prevale sui contenuti ma nel prossimo confronto deve dare l’affondo

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Pur prevalendo sui contenuti, l’ex segretario di Stato ha peccato di incisività e ora deve cercare di incassare la vittoria entro il terzo dibattito con Donald Trump che, troppo aggressivo, precipita nei sondaggi

Clinton adesso cerca il colpo definitivo negli Stati in bilico

Nello scontro i programmi sono passati in secondo piano. Manca il ko al rivale. Ora la carta da giocare sono i giovani

NEW YORK – Partiamo da un dato di fatto: Hillary Clinton non ha perso, ma non ha neanche vinto. O meglio ha vinto ai punti, ma non è uscita dal ring della Washington University di St. Louis, con quell’ipoteca sulla Casa Bianca che i suoi supporter speravano intascasse già a un mese dall’appuntamento con le urne.

Ha peccato di incisività pur prevalendo sui contenuti, ha messo alle corde in qualche frangente Donald Trump, senza assestare quegli affondi finali che lo avrebbero potuto mettere Ko. E avrebbe potuto, anzi dovuto farlo, visto che il secondo dibattito è stato prigioniero dell’astio. The Donald, partito sfavorito per le note vicende sessiste, ha tentato a più riprese di trascinare Hillary allo scontro, e lei per non cedere alle provocazioni ha lasciato talune domande chiave senza un risposta sostanziale.

Prospettiva che forse favorisce Trump, ma non va bene per Hillary perché – come dicono molti osservatori – lei la vittoria la deve incassare entro il terzo dibattito, o si innescheranno dinamiche perverse e imprevedibili che rischiano di trascinare la corsa verso un fotofinish al cardiopalma per il popolo Dem e non solo. Cosa dovrebbe fare quindi l’ex first lady? Un suggerimento gli è arrivato dallo stesso «tycoon» durante il match in Missouri, quando parlando di «fare l’America grande di nuovo» ha indicato alcune realtà in particolare: Pennsylvania e Ohio, ma anche Michigan e West Virginia. Tolto quest’ultimo Stato, il più povero del Paese e inespugnabile feudo Gop da 16 anni, gli altri sono quelli su cui Hillary si potrebbe concentrare nei prossimi sette giorni. Sono Stati che pur avendo inclinazioni democratiche alle elezioni generali, da anni eleggono governatori repubblicani. Riflesso del risentimento legato alla profonda crisi del manifatturiero causata dalla delocalizzazione delle imprese che lì un tempo prosperavano.

Da un punto di vista di tattica invece Hillary dovrà far perno su tre pilastri importanti. Sul ring di Las Vegas la democratica dovrà sfidare il rivale sul terreno dei fatti concreti – programmi per capirci – e mettere alla prova la sua abilità di commander-in-chief e costringere Trump a compiere un passo falso facendo leva sul suo stesso temperamento. In secondo luogo deve lavorare su se stessa recuperando l’«empatia» di cui necessita un leader, ciò che le è mancato col pubblico del formato Townhall di St. Louis.

Infine deve puntare ad ampliare il sostegno fra le donne parlando di riforme su lavoro e famiglia, maternità e paternità pagate ad esempio, e agevolazioni per i neogenitori. Dall’altra puntando sui giovani con aiuti ai prestiti degli studenti e sulla riforma della giustizia, un tema che i sondaggi suggeriscono essere tra le priorità dell’elettorato meno anziano che non disdegna le istanze «law & order» di Donald Trump.

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lastampa/Clinton adesso cerca il colpo definitivo negli Stati in bilico FRANCESCO SEMPRINI

Hillary vola nei sondaggi spinta anche dall’aggressività di Trump

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Dopo il secondo duello televisivo e la diffusione del video con le frasi sessiste, Donald Trump precipita nei sondaggi La strategia aggressiva nel confronto con Hillary Clinton porta più consensi alla candidata democratica che però non è riuscita a sferrare l’affondo decisivo. Pur prevalendo sui contenuti, l’ex segretario di Stato ha peccato di incisività e ora deve cercare di incassare la vittoria entro il terzo dibattito per evitare dinamiche imprevedibili.

Trump sceglie la rissa e va a caccia dei voti dei bianchi arrabbiati

Il tycoon attacca e rinuncia a inseguire gli indecisi. Il leader repubblicano Ryan si sfila: non lo aiuterò

ST. LOUIS – Donald Trump è sopravvissuto al dibattito di St. Louis, ma ieri mattina la leadership del Partito repubblicano lo ha lasciato solo. Lo Speaker della Camera Ryan, quarta carica dello Stato e massimo esponente del Gop, ha parlato con i colleghi parlamentari e ha annunciato che da ora in poi non difenderà più il candidato. Non toglierà il suo supporto, ma non muoverà un dito per farlo eleggere, concedendo di fatto la sconfitta, mentre un sondaggio del Wall Street Journal rivela che il vantaggio di Clinton su Trump a livello nazionale è salito a 11 punti.

Dopo lo scandalo dell’audio in cui Trump insultava le donne, decine di repubblicani, da Condoleezza Rice a John McCain, gli avevano voltato le spalle. La leadership del partito gli chiedeva di usare il dibattito per mostrarsi sinceramente pentito al Paese, e quindi cercare di voltare pagina puntando sui temi concreti della sua campagna, come il rilancio economico e la sicurezza. Donald però ha scelto di seguire la strada opposta. Si è presentato al dibattito con tre donne che avevano accusato Bill Clinton di molestie sessuali, Paula Jones, Kathleen Willey e Juanita Broaddrick, e ha liquidato le parole del suo video come «chiacchiere da spogliatoio». Subito dopo è andato all’attacco, dicendo che se diventerà presidente nominerà un procuratore per investigare Hillary, che dovrebbe «essere in prigione».

 

Questa linea della rissa non è un caso. Trump aveva due possibilità: cambiare messaggio per cercare di allargare la sua base e conquistare i voti degli indecisi, in particolare le donne sposate e con istruzione superiore, oppure puntare tutto sui bianchi arrabbiati della classe media e bassa, che lo hanno portato alla nomination. Ha deciso di seguire la seconda strada, scommettendo sulla sua capacità di attirare alle urne una larga fetta del 40% di astensionisti, e così scombinare tutte le analisi e smentire i sondaggi. Il suo vice Pence, nonostante le riserve morali espresse dopo lo scandalo dell’audio, e il fatto che Donald lo abbia rinnegato sulla politica verso la Siria e la Russia, ha deciso di seguirlo e ha negato di aver mai considerato di abbandonare il ticket.

 

Il leader della Camera Ryan, invece, pensa che a questo punto non solo Trump non ha più possibilità di vincere, ma rischia di trascinare l’intero partito nel baratro, facendogli perdere il Senato e forse anche la Camera. Perciò, come ha detto la sua portavoce, «lo Speaker dedicherà il prossimo mese a concentrarsi interamente sulla protezione delle nostre maggioranze congressionali». Non ritirerà il supporto a Donald, ma nemmeno lo aiuterà: se vince da solo bene, sennò pazienza. Una scelta ipocrita per alcuni parlamentari, che si sono ribellati: «Se Trump va male, andiamo male anche noi. Non bisogna essere scienziati per capirlo». Questi però sono deputati e senatori che vivono in distretti e Stati molto favorevoli a Donald, e quindi Ryan li ha ignorati, per proteggere invece quelli in bilico. Trump gli ha risposto subito a modo suo, via Twitter: «Ryan dovrebbe pensare a risolvere problemi come il bilancio, il lavoro e l’immigrazione, invece di perdere tempo a combattere il candidato repubblicano». La frattura, dunque, è insanabile. Così Donald ieri è partito per la Pennsylvania, e oggi sarà in Florida, per combattere la sua battaglia solitaria, sperando che gli elettori scarichino l’establishment e scelgano la sua insurrezione.

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lastampa/Trump sceglie la rissa e va a caccia dei voti dei bianchi arrabbiati PAOLO MASTROLILLI – INVIATO A ST. LOUIS

L’obiettivo realistico del Napoli è quello di contare su Milik per fine febbraio

I dettagli

La Gazzetta dello Sport scrive su Arek Milik dopo l’operazione: “Così il centravanti del Napoli, una volta risvegliatosi dall’anestesia con al fianco una maglia azzurra ed il fedele agente Pantak, ha trovato il modo di scrivere parole di ringraziamento ai suoi tifosi via social. De Nicola ed i suoi collaboratori riportarono in gruppo Lucarelli, dopo lo stesso infortunio di Milik, con un vero e proprio sprint ma anche l’ex bomber del Livorno per disputare una gara ufficiale ha dovuto aspettare quattro mesi e mezzo dall’infortunio (dal 16 settembre 2010 al 30 gennaio 2011). L’obiettivo realistico è quello di poter contare su Milik per fine febbraio”