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Riunione a Milano tra arbitri, capitani ed allenatori: per il Napoli presente Maggio

Riunione a Milano tra arbitri, capitani ed allenatori: per il Napoli presente Maggio

(ANSA) – MILANO, 11 OTT – “Penso che questa sia un’annata buona. Guardando i nomi degli arbitri e le loro esperienze, abbiamo una decina di direttori di gara che hanno fatto da 100 a 200 partite, qualcuno anche di più, a volte in campi internazionali molto difficili. E’ un pò come con il vino, ci sono annate buone perché matura un pò di più”. L’allenatore della Roma, Luciano Spalletti, sceglie questa metafora arrivando a San Siro per l’incontro di inizio stagione fra arbitri, capitani, tecnici e dirigenti di Serie A. “Mi aspetto di imparare bene le nuove regole. Più chiare sono e meglio è”, ha notato Spalletti prima che cominciasse la riunione, a cui partecipano fra gli altri il presidente della Federcalcio Carlo Tavecchio, il presidente dell’Aia Marcello Nicchi, il designatore Domenico Messina, gli arbitri della Can di A, Allegri, Marchisio e Marotta per la Juventus, Maggio per il Napoli, Montella e Antonelli per il Milan, per l’Inter Icardi e due collaboratori di De Boer e l’allenatore del Bologna Donadoni.

Hillary prevale sui contenuti ma nel prossimo confronto deve dare l’affondo

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Pur prevalendo sui contenuti, l’ex segretario di Stato ha peccato di incisività e ora deve cercare di incassare la vittoria entro il terzo dibattito con Donald Trump che, troppo aggressivo, precipita nei sondaggi

Clinton adesso cerca il colpo definitivo negli Stati in bilico

Nello scontro i programmi sono passati in secondo piano. Manca il ko al rivale. Ora la carta da giocare sono i giovani

NEW YORK – Partiamo da un dato di fatto: Hillary Clinton non ha perso, ma non ha neanche vinto. O meglio ha vinto ai punti, ma non è uscita dal ring della Washington University di St. Louis, con quell’ipoteca sulla Casa Bianca che i suoi supporter speravano intascasse già a un mese dall’appuntamento con le urne.

Ha peccato di incisività pur prevalendo sui contenuti, ha messo alle corde in qualche frangente Donald Trump, senza assestare quegli affondi finali che lo avrebbero potuto mettere Ko. E avrebbe potuto, anzi dovuto farlo, visto che il secondo dibattito è stato prigioniero dell’astio. The Donald, partito sfavorito per le note vicende sessiste, ha tentato a più riprese di trascinare Hillary allo scontro, e lei per non cedere alle provocazioni ha lasciato talune domande chiave senza un risposta sostanziale.

Prospettiva che forse favorisce Trump, ma non va bene per Hillary perché – come dicono molti osservatori – lei la vittoria la deve incassare entro il terzo dibattito, o si innescheranno dinamiche perverse e imprevedibili che rischiano di trascinare la corsa verso un fotofinish al cardiopalma per il popolo Dem e non solo. Cosa dovrebbe fare quindi l’ex first lady? Un suggerimento gli è arrivato dallo stesso «tycoon» durante il match in Missouri, quando parlando di «fare l’America grande di nuovo» ha indicato alcune realtà in particolare: Pennsylvania e Ohio, ma anche Michigan e West Virginia. Tolto quest’ultimo Stato, il più povero del Paese e inespugnabile feudo Gop da 16 anni, gli altri sono quelli su cui Hillary si potrebbe concentrare nei prossimi sette giorni. Sono Stati che pur avendo inclinazioni democratiche alle elezioni generali, da anni eleggono governatori repubblicani. Riflesso del risentimento legato alla profonda crisi del manifatturiero causata dalla delocalizzazione delle imprese che lì un tempo prosperavano.

Da un punto di vista di tattica invece Hillary dovrà far perno su tre pilastri importanti. Sul ring di Las Vegas la democratica dovrà sfidare il rivale sul terreno dei fatti concreti – programmi per capirci – e mettere alla prova la sua abilità di commander-in-chief e costringere Trump a compiere un passo falso facendo leva sul suo stesso temperamento. In secondo luogo deve lavorare su se stessa recuperando l’«empatia» di cui necessita un leader, ciò che le è mancato col pubblico del formato Townhall di St. Louis.

Infine deve puntare ad ampliare il sostegno fra le donne parlando di riforme su lavoro e famiglia, maternità e paternità pagate ad esempio, e agevolazioni per i neogenitori. Dall’altra puntando sui giovani con aiuti ai prestiti degli studenti e sulla riforma della giustizia, un tema che i sondaggi suggeriscono essere tra le priorità dell’elettorato meno anziano che non disdegna le istanze «law & order» di Donald Trump.

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lastampa/Clinton adesso cerca il colpo definitivo negli Stati in bilico FRANCESCO SEMPRINI

Hillary vola nei sondaggi spinta anche dall’aggressività di Trump

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Dopo il secondo duello televisivo e la diffusione del video con le frasi sessiste, Donald Trump precipita nei sondaggi La strategia aggressiva nel confronto con Hillary Clinton porta più consensi alla candidata democratica che però non è riuscita a sferrare l’affondo decisivo. Pur prevalendo sui contenuti, l’ex segretario di Stato ha peccato di incisività e ora deve cercare di incassare la vittoria entro il terzo dibattito per evitare dinamiche imprevedibili.

Trump sceglie la rissa e va a caccia dei voti dei bianchi arrabbiati

Il tycoon attacca e rinuncia a inseguire gli indecisi. Il leader repubblicano Ryan si sfila: non lo aiuterò

ST. LOUIS – Donald Trump è sopravvissuto al dibattito di St. Louis, ma ieri mattina la leadership del Partito repubblicano lo ha lasciato solo. Lo Speaker della Camera Ryan, quarta carica dello Stato e massimo esponente del Gop, ha parlato con i colleghi parlamentari e ha annunciato che da ora in poi non difenderà più il candidato. Non toglierà il suo supporto, ma non muoverà un dito per farlo eleggere, concedendo di fatto la sconfitta, mentre un sondaggio del Wall Street Journal rivela che il vantaggio di Clinton su Trump a livello nazionale è salito a 11 punti.

Dopo lo scandalo dell’audio in cui Trump insultava le donne, decine di repubblicani, da Condoleezza Rice a John McCain, gli avevano voltato le spalle. La leadership del partito gli chiedeva di usare il dibattito per mostrarsi sinceramente pentito al Paese, e quindi cercare di voltare pagina puntando sui temi concreti della sua campagna, come il rilancio economico e la sicurezza. Donald però ha scelto di seguire la strada opposta. Si è presentato al dibattito con tre donne che avevano accusato Bill Clinton di molestie sessuali, Paula Jones, Kathleen Willey e Juanita Broaddrick, e ha liquidato le parole del suo video come «chiacchiere da spogliatoio». Subito dopo è andato all’attacco, dicendo che se diventerà presidente nominerà un procuratore per investigare Hillary, che dovrebbe «essere in prigione».

 

Questa linea della rissa non è un caso. Trump aveva due possibilità: cambiare messaggio per cercare di allargare la sua base e conquistare i voti degli indecisi, in particolare le donne sposate e con istruzione superiore, oppure puntare tutto sui bianchi arrabbiati della classe media e bassa, che lo hanno portato alla nomination. Ha deciso di seguire la seconda strada, scommettendo sulla sua capacità di attirare alle urne una larga fetta del 40% di astensionisti, e così scombinare tutte le analisi e smentire i sondaggi. Il suo vice Pence, nonostante le riserve morali espresse dopo lo scandalo dell’audio, e il fatto che Donald lo abbia rinnegato sulla politica verso la Siria e la Russia, ha deciso di seguirlo e ha negato di aver mai considerato di abbandonare il ticket.

 

Il leader della Camera Ryan, invece, pensa che a questo punto non solo Trump non ha più possibilità di vincere, ma rischia di trascinare l’intero partito nel baratro, facendogli perdere il Senato e forse anche la Camera. Perciò, come ha detto la sua portavoce, «lo Speaker dedicherà il prossimo mese a concentrarsi interamente sulla protezione delle nostre maggioranze congressionali». Non ritirerà il supporto a Donald, ma nemmeno lo aiuterà: se vince da solo bene, sennò pazienza. Una scelta ipocrita per alcuni parlamentari, che si sono ribellati: «Se Trump va male, andiamo male anche noi. Non bisogna essere scienziati per capirlo». Questi però sono deputati e senatori che vivono in distretti e Stati molto favorevoli a Donald, e quindi Ryan li ha ignorati, per proteggere invece quelli in bilico. Trump gli ha risposto subito a modo suo, via Twitter: «Ryan dovrebbe pensare a risolvere problemi come il bilancio, il lavoro e l’immigrazione, invece di perdere tempo a combattere il candidato repubblicano». La frattura, dunque, è insanabile. Così Donald ieri è partito per la Pennsylvania, e oggi sarà in Florida, per combattere la sua battaglia solitaria, sperando che gli elettori scarichino l’establishment e scelgano la sua insurrezione.

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lastampa/Trump sceglie la rissa e va a caccia dei voti dei bianchi arrabbiati PAOLO MASTROLILLI – INVIATO A ST. LOUIS

L’obiettivo realistico del Napoli è quello di contare su Milik per fine febbraio

I dettagli

La Gazzetta dello Sport scrive su Arek Milik dopo l’operazione: “Così il centravanti del Napoli, una volta risvegliatosi dall’anestesia con al fianco una maglia azzurra ed il fedele agente Pantak, ha trovato il modo di scrivere parole di ringraziamento ai suoi tifosi via social. De Nicola ed i suoi collaboratori riportarono in gruppo Lucarelli, dopo lo stesso infortunio di Milik, con un vero e proprio sprint ma anche l’ex bomber del Livorno per disputare una gara ufficiale ha dovuto aspettare quattro mesi e mezzo dall’infortunio (dal 16 settembre 2010 al 30 gennaio 2011). L’obiettivo realistico è quello di poter contare su Milik per fine febbraio”

Frey: “Milik può recuperare anche in tre mesi”

Frey: “Milik può recuperare anche in tre mesi”

Sebastian Frey, ex portiere della Fiorentina, ha rilasciato alcune dichiarazioni a Il Mattino: “Rispetto ai miei tempi penso che Milik possa recuperare anche in tre mesi. Quando ti dicono che ti devi operare è sempre una brutta botta e fa sempre pura, se un giocatore ci mette la testa giusta ed è gestito bene la ripresa può essere anche più rapida di quanto dicono le prognosi. Penso che se Milik avrà accanto le persone giuste, quelle che lo aiutano a migliorare settimana dopo settimana, non ci vorrà tutto il tempo che dicono adesso. Mi è dispiaciuto tantissimo per Milik perché è il giocatore chiave in questo momento per il Napoli e mi auguro che torni il più presto possibile in campo. È sicuramente uno dei giocatori più indicati per dare fastidio alla Juventus”.

Quest’estate il Napoli aveva pensato a Dzeko per sostituire Higuain

Lo riporta il sito della Gazzetta dello Sport

Quest’estate il Napoli aveva pensato – anche – a lui per sostituire Higuain, ma dopo un timido sondaggio con la Roma la trattativa non è mai decollata. Edin Dzeko ha chiesto e ottenuto di poter restare a Trigoria per rilanciarsi e i numeri gli stanno dando ragione: 5 gol e 3 assist in 10 partite complessive, a cui vanno aggiunte le 3 reti in 270′ con la Bosnia, le ultime 2 ieri sera contro Cipro. In tutto, quindi, 8 centri in 13 partite da agosto ad oggi, uno spirito nuovamente combattivo e tanta voglia di mettersi alle spalle l’ultima deludente stagione: “Sto bene e mi sento in forma – ha detto Edin subito dopo la doppietta con la nazionale – e sono pronto per grandi obiettivi”.

Sarri ridisegna il modulo per esaltare Gabbiadini

Sarri ridisegna il modulo per esaltare Gabbiadini

Come riporta La Gazzetta dello Sport, Maurizio Sarri sarebbe pronto a proporre delle varianti tattiche a gara in corso per esaltare al meglio le qualità di Manolo Gabbiadini: “Per aiutarlo in questo compito Sarri potrebbe pensare, soprattutto a gara in corso, a qualche variante del suo consueto 4-3-3. L’allenatore del Napoli lo scorso anno avrebbe voluto, da principio, affiancare Gabbiadini ad Higuain in un 4-3-1-2. Ora Mertens potrebbe fare da spalla a Gabbiadini sia con un trequartista alle loro spalle sia in un 4-4-2 con Callejon ed Insigne sulle fasce. La duttilità di Hamsik e Zielinski potrebbe far propendere anche per un 4-2-3-1 con lo slovacco interno di centrocampo e il polacco dietro Gabbiadini. Insomma, il vestito del Napoli era perfetto per Milik ma necessita di qualche accorgimento per Gabbiadini. Sarri da buon sarto ci metterà del suo, Manolo dovrà dimostrare di avere stoffa”.

Malumore per il rinnovo e per la competizione con Mertens: Insigne è triste

Malumore per il rinnovo e per la competizione con Mertens: Insigne è triste

A Napoli le perplessità più consistenti riguardano Lorenzo Insigne, scivolato in fondo nelle gerarchie dell’attacco di Sarri. Il Corriere della Sera riferisce che incidono da una parte l’esplosione del belga Dries Mertens, e dall’altra “una certa idiosincrasia per la competizione interna, la difficoltà a entrare in condizione e il malumore per un rinnovo contrattuale che non arriva”. Insomma, tante piccole cose che portano al risultato di un Insigne non più titolare fisso nonchè unico attaccante a non aver ancora segnato: “Con il lungo stop di Milik, Insigne avrà la chance e il dovere di riportare il suo rendimento ai livelli conosciuti”.

“Arek era preoccupato, sono contento che sia andato tutto per il verso giusto”: l’agente era nervosissimo

“Arek era preoccupato, sono contento che sia andato tutto per il verso giusto”: l’agente era nervosissimo

L’attaccante del Napoli Arkadiusz Milik è stato operato ieri a Villa Stuart dopo la rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro. Il Mattino racconta un retroscena: “David Pantak, l’agente del polacco, si aggira come un fantasma, nervosissimo, per i giardini verdissimi della struttura. Quando vede il capanello dei medici si fionda addosso a chiedere notizie. «Arek era preoccupato, sono contento che sia andato tutto per il verso giusto». È uno dei pochi estranei a cui è concesso di poter entrare nella stanza 214 al secondo piano di Villa Stuart”.

Perde consistenza l’idea di ingaggiare lo svincolato Klose

Spazio a Gabbiadini

La Gazzetta dello Sport scrive sul mercato degli svincolati: “Fino ad allora, però, il Napoli dovrà fare a meno di lui e Sarri dovrà puntare su Manolo Gabbiadini. Sarà lui il titolare sabato contro la Roma e non solo. Si giocherà le sue carte nelle quindici partite che mancano da qui al mercato di gennaio. Molte le giocherà dall’inizio, quando dovrà riposare toccherà ad un «falso nueve» (Mertens più di Callejon nelle idee di Sarri). L’idea di prendere uno svincolato, nella fattispecie Klose, sta perdendo consistenza perché servirebbe tempo per rimettere in forma il tedesco e farlo inserire negli schemi. Inoltre, verrebbe in qualche modo minata l’autostima di Gabbiadini che invece è presupposto fondamentale affinché Manolo non faccia rimpiangere Milik”

La redazione di Vivicentro si stringe intorno al dg Filippi

La redazione di Vivicentro si stringe intorno al dg Filippi

La redazione di Vivicentro.it si stringe nel dolore che ha colpito il direttore generale della Juve Stabia, Clemente Filippi, per la perdita della cara mamma Ada Dattilo. Dal direttore Francesco Cecoro, al Vice direttore Mario Vollono e tutti i redattori, le più sentite condoglianze alla famiglia Filippi.

 

La Juve Stabia si stringe nel dolore del dg Filippi

La Juve Stabia si stringe nel dolore del dg Filippi

S.S.Juve Stabia, in tutte le sue componenti, con costernazione si stringe intorno al suo Direttore Generale, Clemente Filippi, a seguito della perdita della cara mamma Ada Dattilo. Alla famiglia Filippi e Dattilo ed in particolare al fratello Antonio Filippi, vanno le più sentite condoglianze in questo momento di profondo dolore. S.S. Juve Stabia rende noto che i funerali della signora Ada Dattilo, madre del nostro DG Clemente Filippi, si terranno domani alle ore 10,00 presso la parrocchia di S.Antonio di Castellammare di Stabia.

S.S.Juve Stabia

 

Il Pd da ieri non esiste più?

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Il Pd da ieri non esiste più” è questa l’opinione di Marcello Sorgi, dopo il rifiuto della sinistra del PD di fidarsi della proposta fatta da Matteo Renzi di modificare l’ Italicum dopo il voto sul referendum costituzionale.

Il partito al canto del cigno

La crepa che s’è aperta nel Pd e rende più incerto l’esito del referendum, dal momento che il partito avrebbe dovuto essere (e non sarà) il traino del «Sì», per una volta è soprattutto politica, e non, o non esclusivamente, connessa al groviglio di odii e risentimenti personali che da sempre dividono i Democrat.

S’è capito benissimo ascoltando il dibattito che per tutto il pomeriggio s’è svolto al Nazareno, nel quale, dopo la relazione con cui Renzi ha formalizzato la sua apertura ad eventuali modifiche dell’Italicum, s’è affacciato chiaramente il fantasma del proporzionale. Cioè, per intendersi, l’esatto contrario dei sistemi maggioritari su cui s’è retta per oltre un ventennio, con tutti i suoi limiti, la Seconda Repubblica, consentendo ai cittadini di scegliersi direttamente i governi, poi rivelatisi non sempre in grado di governare.

Contro questo meccanismo, che ha nell’Italicum una delle sue applicazioni, frutto di un compromesso e di un tentativo di migliorare il Porcellum dichiarato incostituzionale, la minoranza bersaniana, che non aveva votato la nuova legge elettorale in Parlamento, s’è spinta ad annunciare che voterà «No» alla riforma costituzionale il 4 dicembre.

Nel tentativo di dare «rappresentanza» – è la parola chiave adoperata da Roberto Speranza, l’ex capogruppo dei deputati che proprio per non approvare l’Italicum si dimise – a quella parte della sinistra che con i partigiani dell’Anpi, l’Arci, le associazioni antimafia e altri pezzi della società civile sono già schierati contro Renzi.

Qui la discussione interna al partito del premier è arrivata a un punto di svolta. Perché la minoranza non ha chiesto solo di correggere questo o quel punto dell’Italicum, che piuttosto vorrebbe interamente riscritto. Ma di dare legittimazione a chi vuole opporsi nelle urne, alla legge elettorale e alla riforma costituzionale insieme, approfittando della prima occasione disponibile, appunto il 4 dicembre. Un ragionamento come questo – Speranza non ha parlato di numeri, ma la minoranza da tempo ne dispone – poggia sulla valutazione, emersa da recenti sondaggi, secondo la quale il 36 per cento dell’elettorato Pd, più di un terzo, in valori assoluti il 12-13 per cento del totale dei voti degli elettori, è ormai risolutamente per il «No». E questo 12-13, sommato al 4-5 che sta fuori del partito, alla sua sinistra, guarda caso fa il 16-17 per cento che il Pds, erede, dopo il cambio del nome, del vecchio partito comunista, prese nel ’92, nell’ultima occasione in cui si votò con il proporzionale.

In altre parole, se al referendum Renzi e il «Si» saranno sconfitti, e perfino se la Corte Costituzionale, quale che sia il risultato, riscriverà l’Italicum, per esempio rendendo obbligatorio il premio di maggioranza per le coalizioni, e non com’è adesso solo per il partito vincente, il Pci, o come si vorrà chiamare, è pronto a rinascere a sinistra del Pd. Va da sé che per Bersani, Speranza, Cuperlo e tutti coloro che si preparano a far campagna per il «No» insieme a D’Alema, che li aveva preceduti su questo fronte, sarebbe più adatto il proporzionale, che gli consentirebbe più comodamente di riorganizzarsi in proprio, sapendo che su questo terreno troveranno disponibili in Parlamento tutti o quasi gli altri partiti, incapaci di collaborare, ma pronti a unirsi in nome del sistema che nella Prima Repubblica garantiva governi brevi e facili da sostituire, alleanze mutevoli e occasionali e una sorta di diritto al trasformismo.

Dunque il percorso è chiaro. Chiarissimi anche l’obiettivo e le vittime designate: Renzi, il suo governo e la sua riforma. Il Pd, per come lo si conosceva, da ieri non c’è più. Quel che resta da vedere è se con la – assai meno probabile, dopo quel che è accaduto, ma non del tutto impossibile, non si sa mai con i referendum -, vittoria del «Sì», dopo il Pci vedremo rinascere la Dc.

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Juve Stabia, lutto in casa Filippi: il comunicato del settore giovanile

Juve Stabia, lutto in casa Filippi: il comunicato del settore giovanile

Un lutto improvviso ha colpito il direttore generale della Juve Stabia, Clemente Filippi. A lui e alla sua famiglia le più sentite condoglianze dalla redazione tutta di Vivicentro.it. Questo il comunicato del settore giovanile:

Il settore giovanile della Juve Stabia, dal presidente Andrea De Lucia, al direttore Alberico Turi, a tutti gli staff e i giovani calciatori, si stringono nel dolore del direttore generale Clemente Filippi per la perdita della cara mamma Ada Dattilo. Le più sentite condiglianza alla famiglia Filippi.

Comunicato settore giovanile Juve Stabia

La sinistra del PD conferma il no e prepara lo scontro finale

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Matteo Renzi propone alla minoranza di modificare l’ Italicum dopo il voto sul referendum costituzionale ma la sinistra del partito conferma il no e prepara lo scontro finale. Per Marcello Sorgi “il Pd da ieri non esiste più”.

“È l’ennesimo bluff”. La sinistra Pd non si fida: scatta il libera tutti

Il segretario è convinto che la base sia con lui

«Nulla è cambiato: se non si incardina subito una proposta del Pd su cui Renzi ci metta la faccia, noi il 4 dicembre votiamo No». La porta di Bersani, Speranza e Cuperlo resta socchiusa se non già chiusa: la sinistra Pd pubblicamente non vuole fare come se nulla fosse avvenuto e dice di esser disposta a vedere le carte. «Se il comitato fa il miracolo siamo felici…», tanto che Speranza è pronto a farne parte. Ma in realtà non si fida di quello che il braccio destro di Bersani, Miguel Gotor, definisce «il bluff» di Renzi che liquida «in tono sprezzante come un alibi le nostre richieste». E dunque non lo segue nello stretto sentiero aperto, poiché «l’impegno a cambiare la legge elettorale prima del 4 dicembre sarebbe un’altra cosa visto che l’esperienza suggerisce che è sempre meglio prima vedere il cammello».

Nessun placet a chi invece vara un comitato, «si sa che le commissioni si fanno quando in realtà non si vuol decidere nulla». Dunque i compagni non ci stanno «perché il 5 dicembre cambia il mondo e se vince il Sì ognuno fa come vuole». Ergo, Renzi potrebbe dire di averci provato ma che mancando un accordo con le opposizioni, l’Italicum resta com’è. La sinistra non scorge una reale volontà del premier a cambiare, non apre spiragli anche perché nei territori «molti compagni stanno già facendo campagna per il No».

E dietro le quinte rigetta con sdegno la dose di «fuffa» – così definiscono l’apertura del premier nei loro sms – profusa nelle loro orecchie per non prendere il toro per le corna. Già nell’ascoltare la relazione gli sbuffi e le occhiate tra Roberto Speranza e Nico Stumpo erano le stesse di quando i due andarono a Catania a sentire cosa avrebbe detto il segretario nel comizio di chiusura della Festa nazionale, appuntamento simbolico. «E sono le stesse, un comitato che verifichi cosa vogliono fare gli altri partiti e se vi sia una maggioranza in Parlamento», commentano. Ma poi, quando nella replica Renzi non coglie la palla lanciata da Franceschini di mettere nero su bianco una modifica dell’Italicum targata Pd, il segnale è chiaro: un tana libera tutti.

E anche l’appello di Franceschini, «ma come si fa a non vedere che vincitori del No saranno Grillo e Salvini?», cade nel vuoto, perché se «Renzi oggi ha aperto uno spazio importante malgrado due interviste della vigilia che dicono no», loro vedono solo fumo negli occhi. Perché Renzi ha dimostrato di esser convinto che il problema non sussista e invece di impegnarsi in prima persona ha delegato a Guerini e ai capigruppo la quadratura del cerchio. E per giunta ha fatto la sua «apertura» con un tono di sfida che è parso molto contundente, «con l’aria di chi concede un contentino a chi si mette di traverso al referendum con argomenti pretestuosi, poiché siccome è rimasto da solo con un pezzo di Pd e tutti contro ora è nei guai e prova a correggere, ma senza esserne convinto».

Da parte sua, il premier è deluso ma non stupito: se lo aspettava questo sindacato di blocco, ma è sicuro di aver «stanato» i compagni e che il popolo del Pd lo seguirà in massa mettendo all’indice «la vecchia guardia». Per questo darà il via libera all’Italicum 1.0, quello con il premio alle coalizioni, ma solo dopo il referendum, su questo non arretra: dopo il voto ogni scenario sarà più chiaro per trattare con Forza Italia e i grillini che ora non vogliono saperne.

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lastampa/“È l’ennesimo bluff”. La sinistra Pd non si fida: scatta il libera tutti CARLO BERTINI

Pd spaccato sulle riforme e Renzi offre la modifica dell’ Italicum

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Per ricucire lo strappo nel Pd, il premier Matteo Renzi propone alla minoranza di modificare l’ Italicum dopo il voto sul referendum costituzionale. Ma l’opposizione conferma il no. La sinistra del partito prepara lo scontro finale. Per Marcello Sorgi “il Pd da ieri non esiste più”.

Renzi: “Cambiamo l’Italicum”. Ma non convince la minoranza Pd

Il premier: «Nuova legge dopo il referendum. Se vogliono rompere si assumano la responsabilità». Cuperlo: senza accordo mi dimetto

ROMA – «Smontiamo l’alibi dell’Italicum, per non perdere l’occasione della riforma costituzionale». Scuro in volto, compìto in giacca e cravatta blu con un occhio che corre agli appunti scritti anziché, come al solito, parlare a braccio in maniche di camicia, il segretario-premier Matteo Renzi apre la Direzione più attesa del Partito democratico facendo la sua ultima offerta alla minoranza. A chi – come l’ex segretario Pierluigi Bersani e l’ex capogruppo Roberto Speranza – domenica ha agitato la vigilia della riunione annunciando il proprio no al referendum («della serie: la risposta è no, qual era la domanda?», ironizza), risponde ammettendo che «è compito mio cercare un punto di accordo» e avanzando la sua proposta: la creazione di una delegazione per cambiare l’Italicum. Non adesso però: «subito dopo» la chiamata alle urne di dicembre. «Siamo disponibili a farci carico di un’ulteriore mediazione» purché alla minoranza sia chiaro che «la nostra responsabilità nel tenere unito il partito non può arrivare a tenere fermo il Paese».

Comincia con quaranta minuti di ritardo, la relazione del segretario che deve finalmente affrontare, occhi negli occhi, la sua minoranza refrattaria a sostenere il referendum. Il problema, gli hanno ripetuto, è il «combinato disposto» tra legge elettorale e riforma costituzionale («due pezzi di un’unica grande riforma», insiste Speranza), motivo per cui da tempo chiedono la correzione dell’Italicum. Passandoli in rassegna con sguardo livido, lamentando che «da quando sono segretario non c’è stato un solo momento senza polemica interna», sottolineando che sulla riforma Boschi sono stati accolti 122 emendamenti e «quando si fa un compromesso si deve rinunciare a qualcosa» (se si vuole averla vinta su tutto «è fanatismo»), scopre le sue carte. Acconsente ad adottare una proposta di minoranza, la Chiti-Fornaro, sull’elezione dei senatori, e tiene a battesimo il comitato di cui faranno parte il presidente Orfini, il vicesegretario Guerini, i capigruppo Rosato e Zanda, e uno o più esponenti di minoranza, che incontri «tutti gli altri partiti» («perché, come dice Fassino, da soli non ce la facciamo») rimettendo in discussione i paletti dell’Italicum: premio alla lista, ballottaggio, capilista bloccati.

«Abbiamo fatto un passo sul sentiero, ma è solo un passo», dice Gianni Cuperlo: chiede che le parole del segretario prendano forma in una proposta del Pd, e non dopo il referendum, ma «nei prossimi giorni». Per cercare un accordo: se non sarà così, avverte l’ex presidente Pd, «voterò no», ma alle frecciate di Renzi («ci sono persone che hanno votato da tre a sei volte la riforma e poi hanno cambiato idea: ognuno fa i conti con la propria coerenza») risponde con un annuncio: se a dicembre voterà no, si dimetterà da deputato. Una frattura dolorosa, se arriva a evocare il fantasma della scissione: «Dopo, se necessario, ci divideremo».

Non bastano le «chiacchiere», per usare il termine utilizzato due giorni fa da Bersani: quello che chiede la minoranza, contestata da uno sparuto drappello di anziani militanti all’entrata del quartier generale Pd, è un impegno più concreto. Più di quanto non appaia la proposta di Renzi: al momento, il no preannunciato resta: «Io fino all’ultimo istante non mi voglio sottrarre a nessun tentativo – garantisce Speranza – ma dobbiamo dirci la verità: se vogliamo cambiare l’Italicum dobbiamo mettere in campo noi una vera iniziativa politica». Motivo per cui «la proposta che hai fatto oggi penso non sia sufficiente». Non si esprime in direzione Bersani. La minoranza non partecipa nemmeno alla votazione finale, che infatti finisce con soli voti favorevoli.

«Da oggi non c’entra più niente la legge elettorale: andiamo sul punto e chiudiamo», invita Renzi. «Abbiamo dimostrato che facciamo sul serio: adesso si assumeranno la responsabilità, se vogliono rompere. Io non posso bloccare il Paese per far contento qualcuno della minoranza», commenta a sera coi suoi. Dal palco della direzione un ultimo appello: «Da 18 anni ci chiediamo chi ha ammazzato l’Ulivo: non vorrei passare i prossimi 18 anni a interrogarci chi abbia chiuso la prospettiva del Pd».

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lastampa/Renzi: “Cambiamo l’Italicum”. Ma non convince la minoranza Pd FRANCESCA SCHIANCHI

ESCLUSIVA- Pasquale Casale: La Juve Stabia dirà la sua fino alla fine. I tifosi? Sono una componente fondamentale “

L’intervento di Pasquale Casale, ex allenatore gialloblu, in diretta e in esclusiva  al Pungiglione Stabiese

Nel corso della puntata de “Il Pungiglione Stabiese”, programma radiofonico a cura della nostra redazione di ViviRadioWeb abbiamo avuto come nostro ospite telefonico l’ex allenatore delle Vespe Pasquale Casale. Tanti i temi trattati con il mister, dall’andamento in campionato della Juve Stabia, passando alle difficoltà in trasferta. Ecco alcuni frammenti della lunga intervista concessaci:

La Juve Stabia ha perso 1-0 a Reggio Calabria. Una sua motivazione in merito al modulo, visto che nonostante il 4-3-3 le vespe non hanno punto la Reggina, creando pericoli solo su calcio di punizione: Il 4-3-3 è  un modulo che viene adottato anche in serie A da Sarri, e da Zeman anni addietro. Uno schieramento tattico che ti permette di fare fallo tattico, di interrompere il gioco cercando di limitare i danni, un vecchio sistema che in passato ripagava di più che permetteva di stare alto e pressare, con le tre punte che non venivano impiegate in fase difensiva, meno dispendioso di quanto non sia adesso. Nel Napoli  l’anno scorso fui uno dei pochi a prevedere che Sarei avrebbe poi avuto un calo e puntualmente poi la squadra ebbe difficoltà nel lungo periodo. Per quanto riguarda la partita contro la Reggina, giocando fuori casa, paradossalmente, la Juve Stabia giocando più corta,  senza il supporto del sintetico, magari doveva giocare più bassa con il baricentro, visto che le punte tendono a correre di più, la stanchezza si notava; e sicuramente non è adatto ad applicare questo tipo di lavoro e la squadra viene penalizzata. Anche perché se con il modulo 4-3-3 gli avversari ti prendono le misure, lo stiamo vedendo in serie A con il Napoli, diventa difficile applicare al meglio il proprio gioco contro le piccole squadre. Avendo gli interni stretti e le punte offensive molto larghe, si creano dei vuoti a centrocampo e di conseguenza tatticamente non è mai facile sopperire quando la partita si mette male.

Sulla scelta di Fontana, in tanti avevano dei dubbi ad inizio stagione. Nonostante la sconfitta di Reggio, per adesso il campionato è sicuramente positivo per le vespe, un suo giudizio sul tecnico, lei che lo ha allenato: Personalmente conosco Fontana più da calciatore che da allenatore, non saprei dare un giudizio sulle sue capacità. Si stava ben comportando a Nocera, poi purtroppo per colpe non sue ha pagato un’ingiusta squalifica. È un ragazzo intelligente, conosce bene la piazza stabiese, chi meglio di lui, e forse anche meglio di me che a Castellammare ci so cresciuto e avuto modo di poter lavorare.    Penso che lui saprà dove insistere di più per ottenere il meglio da questa squadra, e che possa insistere su questo modulo o magari adottare qualche variante in corso d’opera.

Lei da allenatore, avendo allenato la Juve Stabia, nonché conoscitore dell’ambiente, un consiglio che adesso potrebbe dare a Fontana: All’epoca qui a Castellammare per un punto macammo i play-off con una squadra costruita per salvarsi, in quell’annata memorabile laddove pareggiammo ad Avellino a tempo scaduto. Tanti rimpianti per la mancata disputa di quei playoff, forse se avessimo insistito con quella squadra, probabile che l’anno successivo avremmo poi vinto il campionato. Adesso non so, gli ambienti cambiano, di certo il popolo stabiese da buon osservatore vuole vedere una squadra combattiva che in campo abbia dato tutto. Importante adesso impostare questo lavoro e sicuramente sarà apprezzato dai tifosi sapendo che la squadra in campo ha dato il massimo e solo così di sicuro non avrà problemi. Io da allenatore cercavo di interagire con i tifosi, e riconosco che a volte stabilire un contatto diretto con la tifoseria è importantissimo.

Lei da allenatore ha avuto alle sue dipendenze Angelo Orlando, calciatore che ha avuto poi una carriera importante con l’Inter. Qui a Castellammare deluse le aspettative della piazza: Ebbe problemi di ambientamento, mi è capitato anche a me da calciatore, così come tanti altri che scendono di categoria e riscontrano poi difficoltà a calarsi nella realtà proprio perché hanno un modo di giocare e in certi ruoli sono determinati i rapporti con la squadra. Per quanto mi riguarda giocavo a centrocampo, nello stesso ruolo di Orlando, a volte da certi calciatori ci si aspetta la differenza solo perché vengono da categorie superiori, invece spesso calciatori collocati in un contesto adatto possono dare di più, viceversa se giochi in un contesto dove non sei utile alla squadra puoi avere delle difficoltà sia psicologiche e soprattutto sul piano tattico. Contano soprattutto le motivazioni, io più volte nella mia carriera so sceso di categoria, e ho preferito poi intraprendere la carriera da allenatore quando ho capito che le motivazioni non erano più quelle di un tempo.

Lei ha avuto una carriera importante soprattutto da calciatore del Napoli. Ha giocato con calciatori importanti del calibro di Rudy Krol. In particolare che ricordi ha di questo straordinario campione: Ho avuto la sfortuna di averci giocato nell’ultimo anno quando Krol subì l’operazione al ginocchio. Ebbi modo di poter apprezzare le sue doti umane, era un grande professionista, nel privato era molto attento ai particolari, si curava tantissimo e quell’anno riuscì comunque a dare il suo apporto nonostante avesse 36 anni. Da calciatore posso dire che lui è stata la più bella anima del calcio che abbia conosciuto, ragazzo esemplare, una persona unica nel mondo del calcio, disponibile e generoso con tutti.

Secondo lei, la Juve Stabia in questo momento è la sorpresa del campionato e in particolare come vede Lecce, Foggia e Matera in un confronto con le vespe: Lecce e Foggia chiaramente sono due club che da un paio di anni stanno provando a risalire, ma la Juve Stabia ha comunque una squadra di qualità che può fare la differenza. Non manca la competenza dirigenziale e sono convinto che anche la Juve Stabia si possa inserire in questa lotta, storicamente ha sempre mantenuto questa mentalità ambientale e non manca la convinzione e voglia di andare in B. Lo staff sta lavorando bene, La società è ben organizzata e ci sono pertanto tutte le componenti giuste per poter vincere.

Ecco mister, lei che ha allenato la Juve Stabia in un periodo diverso da quello attuale, in passato c’era più seguito di tifosi. Adesso sta calando la presenza di tifosi allo stadio, è un problema di pay-tv o anche per altre situazioni?: In genere quando un club ha ottenuto in passato risultati importanti, avrà poi difficoltà ad avere un seguito di tifosi in categorie inferiori. Secondo me è questa la causa che ha determinato poco seguito allo stadio, poi ovvio anche le tv e gli stadi non confortevoli determinano il resto. Un augurio alla piazza? Di seguire con entusiasmo la Juve Stabia e che il Menti possa ritornare ad essere il dodicesimo uomo in campo perché lo stadio pieno ha sempre fatto la differenza. Ricordo che arrivavo allo stadio pochi minuti prima dell’inizio del match proprio per trovare già i tifosi al campo. Con questo voglio dire che giocare a Castellammare con lo stadio pieno diventa dura per tutti.

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LA “MALEDIZIONE DI KATYN”

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Proseguendo nei miei innesti culturali sul filo dei ricordi e della Storia per la rubrica ”PILLOLE DI STORIA”, invio oggi questo mio contributo che ho titolato: LA “MALEDIZIONE DI KATYN”
Aprile 2010: azzerata in un incidente aereo la classe dirigente polacca.

Lech Kaczyński, trova la morte, unitamente a 7 membri di equipaggio dell’Aeronautica polacca, in un incidente aereo a Smolensk (Russia) La delegazione, costituita dalle massime autorità politico-istituzionali, è diretta alla foresta di Katyn per commemorare gli Ufficiali polacchi trucidati, nell’aprile 1940, dagli Agenti della Polizia Segreta sovietica. Sarebbe stata la prima manifestazione, alla presenza dei massimi rappresentanti istituzionali dei due Paesi, a conclusione di un lungo iter per il riconoscimento delle responsabilità di un massacro di cui erano state vittime Ufficiali dell’Esercito polacco, prigionieri di guerra dei Sovietici, nella seconda guerra mondiale.

Le polemiche sulla paternità dell’atroce massacro, originate nel 1943 fra Governo polacco in esilio ed Unione Sovietica, sono riprese, con forte impulso, solo dopo il crollo del Comunismo nell’Europa dell’Est cioè dopo l’affrancamento della Polonia dal Blocco sovietico. È quindi indispensabile fare un passo indietro e ricordare i fatti ed i motivi che portarono all’eccidio passato alla Storia come il massacro delle fosse di Katyn.

La premessa è l’accordo Molotov-Ribbentrop del 23 agosto 1939 col quale, nel quadro di un Patto di non aggressione fra i due Paesi con regimi totalitari, viene concordata, con un Protocollo aggiuntivo rimasto segreto fino al 1992, la spartizione della Polonia, repubblica indipendente, creando così le premesse per lo scoppio della seconda guerra mondiale. Dopo l’attacco nazista alla Polonia scatenato il 1° settembre 1939, l’URSS, violando il Patto di non aggressione del 1932 con la Polonia, ne invade le regioni orientali il successivo giorno 17 per attuare la spartizione concordata. Dopo un’accanita quanto inutile resistenza, la Polonia, stretta fra due fuochi, è costretta alla resa. La spartizione fra i due Paesi aggressori si completa il 1° ottobre con l’incontro delle truppe dei due eserciti sulla linea prefissata.

La nuova spartizione della Polonia (la quarta dal 1772) pone nelle gerarchie sovietiche il problema della facilitazione del compito per l’assoggettamento di un popolo sempre risorto tenacemente dalle sventure della Storia. A ciò provvede il Ministro dell’Interno sovietico Beria che, predisposti con la famigerata NKVD (Polizia Segreta) 10 campi di prigionia, propone la sistematica soppressione dell’élite delle Forze armate e dell’intellighenzia polacca onde privare la popolazione di riferimenti culturali che avrebbero potuto animare un movimento di resistenza per l’indipendenza. La decisione è presa dal Politburo sovietico (i sette massimi esponenti del partito comunista con a capo Stalin) con un decreto del 5 marzo 1941: viene ordinato alla NKVD di esaminare il caso di 25.700 prigionieri di guerra polacchi secondo una procedura speciale, cioè senza citare in giudizio i detenuti, senza presentare imputazioni, senza documentare la conclusione dell’istruttoria dell’atto di accusa, applicando nei loro confronti la più alta misura punitiva, la fucilazione (il documento sarà rinvenuto negli atti della Polizia segreta sovietica nel 1992 con l’apertura degli archivi). In una parola è programmata l’eliminazione della classe borghese medio-alta della Polonia, classe sociale che i sovietici hanno sempre considerato quale primario obiettivo da sopprimere secondo il principio ideologico della lotta di classe.

Pertanto, con metodo proprio dei sistemi totalitari più efferati, gli Ufficiali delle FF. AA. polacche ristretti nei campi di prigionia di Kozielsk, Starobielsk ed Ostashkov, nei primi giorni dell’aprile 1940 sono trasferiti, stipati in carri merci, alla stazione ferroviaria di Gnezdovo ed avviati successivamente alla foresta di Katyn, poco distante, dove vengono prima privati degli effetti personali di valore e poi soppressi con un colpo di pistola alla nuca a cura di Agenti dell’NKVD. I corpi saranno quindi accatastati in otto fosse comuni in 7/8 strati e ricoperti da circa un metro e mezzo di terra. L’eliminazione è compiuta con pistole (la famosa “Walter PKK”) e munizioni rigorosamente tedesche.

L’eccidio si estenderà, successivamente, ad altri campi di prigionia nei quali sono ristretti Poliziotti, dipendenti di ogni ordine e grado dell’Amministrazione statale, professori universitari, professionisti, ecc.).

L’azione, visto il macabro successo, sarà ripetuta, se pur con modalità diverse, il 1° aprile 1941 allorquando truppe sovietiche, nei pressi di Varnita nella Valle del Siret, in territorio moldavo, aprono il fuoco su una colonna di profughi che intendono riparare in Romania in seguito ad una nuova definizione di confine anche questa conseguenza del Patto Molotov-Ribbentrop. L’URSS si annette la Bessarabia e, se pur non previsto dagli accordi nazi-sovietici, anche la Bucovina Settentrionale nel quadro di una politica espansionistica di tipo imperialista mascherato da finalità ideologiche. Il nuovo territorio, che l’URSS ha acquisito con un semplice ultimatum, sarà poi diviso fra le Repubbliche socialiste di Moldova e Ucraina. L’Operazione, nota col nome di Fantana Alba (Fontana bianca), è l’eliminazione di circa 2.300 profughi, di etnia romena: le salme saranno sistemate in cinque grandi fosse comuni. La strage ha resistito più di ogni altra alla conoscenza storica: solo nel 2000 è stata possibile una cerimonia di commemorazione delle Vittime.

Dopo che le truppe naziste, il 22 giugno 1941, attaccano proditoriamente l’Unione Sovietica (Operazione Barbarossa) rompendo il Patto del 1939, il gen. Sikorski, Capo del Governo polacco in esilio, col gen. Anders (comanderà il 2° Corpo d’Armata polacco nella campagna d’Italia) si reca a Mosca per definire la formazione di un contingente militare chiedendo notizie degli Ufficiali prigionieri per poterli impiegare nella costituenda forza combattente. La risposta di Stalin è che in URSS non c’erano più Ufficiali polacchi prigionieri ipotizzando una loro fuga collettiva in Manciuria. Evidentemente è certo che la strage non sarà mai scoperta.

Nel luglio 1941, nella prima fase dell’Operazione Barbarossa, la zona di Smolensk sarà occupata dai Tedeschi e nell’aprile del 1943, sulla base di informazioni acquisite fra gli abitanti dei villaggi vicini, iniziano scavi di sondaggio nella foresta di Katyn che portano alla scoperta delle fosse con i cadaveri degli Ufficiali polacchi.

Il 13 aprile Radio Berlino dà notizia dell’orrenda scoperta attribuendone la responsabilità ai Sovietici. Il 14 aprile l’Unione Sovietica dichiara, contrariamente a quanto riferito al gen. Sikorski nel 1941, che gli Ufficiali prigionieri nei campi di quell’area, per l’impossibilità di trasportarli sotto l’incalzare del nemico, “evidentemente” erano stati catturati dai Tedeschi che, conseguentemente, li avevano passati per le armi. Il Governo polacco in esilio, manifestando forti dubbi su tali dichiarazioni, chiede quindi alla Croce Rossa Internazionale di aprire un’inchiesta sul luogo. La risposta sovietica sarà la rottura, il 26 aprile, delle relazioni diplomatiche col Governo polacco in esilio riprese solo dopo la rinunzia polacca all’indagine immediata. Infatti i Governi Alleati, interessati al mantenimento dell’alleanza politico-militare con l’URSS per la comune lotta alla Germania nazista, inducono il Governo polacco a soprassedere ad ulteriori richieste su Katyn e rinviare il problema alla conclusione del conflitto. La Croce Rossa internazionale non potrà comunque procedere a causa del rifiuto dell’URSS a partecipare all’indagine. Ma i Tedeschi, pur di sfruttare l’episodio a fini propagandistici, promuovono l’istituzione di una Commissione scientifica che si riunisce il 27 aprile a Berlino portandosi poi, sul luogo, per l’indagine medico-legale. La Commissione, presieduta dallo svizzero prof. Naville, è formata da 14 cattedratici di medicina legale provenienti da Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Finlandia, Olanda, Boemia, Slovacchia, Ungheria, Romania, Spagna e Italia con la partecipazione, come osservatore, di un generale medico francese. Il rappresentante spagnolo si ritira prima delle operazioni adducendo malessere e non sarà sostituito. L’Italia è rappresentata dal prof. Vincenzo Palmieri, direttore dell’Istituto di Medicina legale dell’Università di Napoli, indiscussa autorità nella materia, con esperienze anche estere. Parla correntemente inglese, francese e tedesco il che gli facilita anche i rapporti ed è autore di numerose opere scientifiche di livello mondiale.

La Commissione all’unanimità attesta che la sepoltura è avvenuta circa tre anni prima, quindi, ineluttabilmente all’epoca dell’occupazione sovietica. Uno degli elementi decisivi è l’esame del cranio effettuata dal prof. Orsos dell’Università di Budapest che rileva, sulla parete interna, tracce di decalcificazione, fenomeno che si forma a tre anni circa dall’inumazione. L’indagine tecnica sulla decomposizione porta a datare la morte nella primavera del 1940. Inoltre, da esami botanici, coincide anche l’età del boschetto di betulle e pini che coprono le fosse: hanno almeno cinque anni di età, trapiantati però da tre. Anche la botanica dà quindi un contributo inattaccabile a far combaciare questi elementi con le date sui documenti rinvenuti sui cadaveri (autunno 1939- primavera 1940) e con i riscontri anatomopatologici. La mancanza di larve e di insetti sarà poi eloquente sul fatto che i cadaveri fossero stati sepolti nella stagione fredda. Tutto converge sempre nello stesso punto di gravità cronologico.

Niente, quindi, che potesse posticipare il periodo degli eventi.

Le salme sono quasi tutte identificabili dai documenti e dagli effetti personali. Su alcune sono rinvenute annotazioni sulla prigionia. Particolarmente interessante il diario dettagliato del Magg. Siolski che riporta la cronaca degli ultimi giorni col viaggio dal campo di Kosielsk il 7 aprile 1940 fino all’arrivo alla stazione di Gnezdovo: “il 9 aprile i prigionieri vengono fatti salire su autocarri e diretti verso la foresta di Katyn”. Dopo tale data più nulla!

All’inchiesta partecipa, condividendone le conclusioni, una rappresentanza della Croce Rossa polacca nella quale, si saprà in seguito, sono presenti, in incognito, anche elementi della Resistenza. Sono anche presenti, in qualità di testimoni-osservatori, Ufficiali americani e inglesi prigionieri dei tedeschi.

Nel luglio 1943 il prof. Palmieri pubblica la relazione medico-legale sul fascicolo 364 della rivista “La vita italiana” che, inspiegabilmente, sparirà, dopo la fine della guerra, anche dalle biblioteche alla stregua di un segreto di Stato.

Intanto il 4 luglio 1943 il gen. Sikorski, in polemica per il rifiuto opposto alla tesi sovietica sulla sorte degli Ufficiali prigionieri, muore in un incidente aereo mai del tutto chiarito, poco dopo una sosta tecnica all’aeroporto di Gibilterra, proveniente dal Medio Oriente dove ha visitato l’Armata polacca in addestramento. Quel giorno a Gibilterra si registrano due inquietanti presenze: Kim Philby, uno dei famosi “cinque di Cambridge” (spie doppiogiochiste), Ufficiale dei Servizi Segreti britannici, che nel 1963, temendo ormai di essere scoperto per la sua lunga collaborazione col KGB sovietico, fuggirà nell’URSS, ed il Vice Ministro degli Esteri sovietico Vysinskij che affretta il suo rientro a Mosca subito dopo l’incidente aereo.

Il massacro di Katyn rappresenterà sempre un’ossessione per Stalin al punto che, quando il 1° agosto 1944 Varsavia insorge contro i Tedeschi, sollecitato dal Governo polacco in esilio ad intervenire con le truppe sovietiche ormai a pochi kilometri dalla capitale, condizionerà l’appoggio ad un riconoscimento ufficiale sulla paternità tedesca del massacro ed, al rifiuto, preferirà che la rivolta venga soffocata nel sangue dalle truppe naziste.

A guerra finita, per il mancato appoggio dei giudici Alleati, fallirà anche il tentativo sovietico di attribuire il massacro ai Tedeschi nel processo di Norimberga e la Polonia comunista accetterà, tout court, la tesi del massacro tedesco sulla scorta delle risultanze di una commissione di studio russo-polacca appositamente istituita. In proposito sarà avviata, nel 1946, anche un’inchiesta giudiziaria con incarico al Procuratore di Cracovia, dott. Roman Martini. Questi, già utilmente impegnato in indagini a carico di collaborazionisti e criminali nazisti, condurrà indagini particolarmente rigorose rinvenendo, fra l’altro, in una cantina di Minsk, un documento che indica in maniera incontestabile la responsabilità sovietica dell’eccidio: è un rapporto segreto della cellula della NKVD di Minsk alla Centrale di Mosca, in data 10 giugno 1940, nel quale si parla esplicitamente di eliminazione dei tre campi di prigionia portata a termine il 6 giugno e per ogni campo l’indicazione del compagno incaricato della supervisione dell’operazione. Il 7 luglio 2008 la Novaia Gazeta di Mosca pubblicherà, in proposito, un documento dell’NKVD con i nomi dei 125 esecutori materiali del massacro con un provvedimento della Direzione centrale di gratifica di una mensilità supplementare per la “missione ben eseguita”.

Il Procuratore Martini invia la relazione sulla conclusione delle indagini al Ministro della Giustizia ma, temendo per la sua vita, farà in modo che una copia del dossier, nel quale risultavano chiare le responsabilità sovietiche, venisse depositata presso un notaio a Stoccolma. La meticolosità dell’indagine, non condizionata dal principio del politically correct, sarà, evidentemente, la causa della sua morte violenta, avvenuta il 30 marzo 1946.

Il dossier depositato a Stoccolma verrà poi recuperato dal giornalista americano Julius Epstein e pubblicato, in due riprese, dal New York Herald Tribune il 3 e 4 luglio 1949 con le testimonianze degli Ufficiali americani prigionieri che avevano assistito alle operazioni di esumazione. Nel 1952 sarà istituita a Francoforte, nell’allora Germania Federale, una nuova Commissione d’inchiesta su Katyn ma URSS e Polonia (allora parte del blocco sovietico), sollecitate a trasmettere la documentazione, rifiutano i documenti e anche di parteciparvi con propri rappresentanti.

Nella Polonia sovietizzata del dopoguerra l’argomento è tabù: i parenti delle vittime devono accettare la verità di regime per evitare angherie e persecuzioni. I cattedratici che hanno partecipato ai lavori della Commissione nel 1943, i cui Paesi sono entrati nell’orbita sovietica, subiscono varie vicissitudini: i prof. Hajek di Praga e Markov di Sofia, pur ritrattando la loro firma sul documento conclusivo, saranno eliminati in circostanze misteriose. Stessa sorte toccherà al prof. Jurak, dell’Università di Zagabria, giustiziato nel 1945 con l’accusa di essere stato strumento della propaganda nazista per aver fatto parte della Commissione. Il prof. Buhtz dell’Università di Breslavia sarà invece fucilato dai tedeschi per l’accusa di aver partecipato alla congiura per l’attentato ad Hitler del luglio 1944 e, come tale, non sospettabile di simpatie naziste.

Ma ritorniamo alla nobile figura del prof. Vincenzo Palmieri. Egli dovrà subire, dopo la liberazione di Napoli, angherie e molestie, evidentemente ispirate da ambienti comunisti napoletani, accusato di collaborazionismo per la partecipazione alla Commissione scientifica ed aver così sostenuto la responsabilità sovietica dell’eccidio. Spesso le sue lezioni sono disturbate da studenti comunisti che inveiscono accusandolo d’indegnità. La stampa comunista dell’epoca (“L’Unità” e “La Voce”), seguendo il principio leninista di denigrazione degli oppositori, a più riprese lo accusa di essere stato servo della propaganda nazista, indegno di insegnare in un Ateneo di nobili tradizioni mettendo finanche in dubbio la sua indiscussa competenza scientifica. La propaganda comunista giunge anche a dare una spiegazione logica dell’eccidio di Katyn quale eccidio nazista rapportandolo a quello delle fosse Ardeatine.

Viene sollecitato, nei confronti del prof. Palmieri, l’intervento della Commissione di epurazione, attiva nell’immediato dopoguerra per perseguire le attività fasciste, perché l’insigne cattedratico fosse estromesso dall’insegnamento universitario definendolo ripugnante falsario che del titolo accademico si è servito per avallare una menzogna.

Il prof. Palmieri però, forte della sua onestà professionale e di una solida personalità, resiste anche a pressioni amichevoli per un allontanamento, anche in via provvisoria, dall’insegnamento. Agli indegni attacchi si limita a rispondere con una lettera pacata, che il quotidiano comunista non gli pubblica, ospitata però da “Il Popolo”, organo della Democrazia Cristiana. Ma la spiegazione scientifica non interessa ai suoi denigratori perché la verità, secondo i criteri leninisti-stalinisti, la indica esclusivamente il partito.

Non è dato sapere se, dopo le ammissioni russe del 1990 conseguenti al crollo del Comunismo e la lettura degli atti ritrovati negli archivi della Polizia segreta sovietica, la stampa comunista e gli ex studenti disturbatori abbiano sentito la sensibilità, secondo un principio etico, di una riabilitazione, seppur postuma, della nobile figura del prof. Palmieri.

Intanto la Polonia democratica non dimentica e, appena si realizza il crollo comunista nell’Europa dell’ Est, chiede, con insistenza, spiegazioni all’URSS. Sarà Gorbaciov, nell’ambito della perestrojka, a fare outing: nell’ottobre 1990, finalmente, riconosce la responsabilità sovietica del massacro di Katyn e porge le scuse ufficiali al popolo polacco senza però fornire la documentazione. Sarà il suo successore Boris Elstin, nel 1992, ad autorizzare l’apertura di parte degli archivi per la libera consultazione storica. Anche se, per cavilli burocratici, non tutti i documenti verranno declassificati, ormai l’eccidio è ufficialmente riconosciuto anche se la Russia non accetta di dichiararlo genocidio o crimine di guerra. Comunque tuttora i 2/3 dei faldoni che negli archivi russi racchiudono la verità su Katyn sono coperti dal segreto di Stato.

La vicenda avrà una fedele ricostruzione cinematografica col film “Katyn” (premio Oscar quale miglior film straniero nel 2008) del grande regista Andrzej Wajda (Oscar alla carriera nel 2000, spentosi all’età di 90 anni il 9 ottobre scorso) il cui padre, Ufficiale di Cavalleria, fu vittima dell’eccidio.

Il film, nonostante il grande pregio artistico e storico e la caduta, ormai da tempo, del Muro di Berlino, ha avuto scarsa distribuzione in Italia subendo un vero e proprio boicottaggio.

Va comunque sottolineato che il 7 aprile 2010, tre giorni prima del disastro aereo di Smolensk, si è svolta in Polonia la prima manifestazione alla presenza dei Capi di Governo dei due Paesi, riconoscimento definitivo della verità storica.

Fra le due tragedie che ha colpito la Polonia in due momenti storici diversi si rileva una drammatica analogia: come nella primavera del 1940 fu azzerata l’intellighenzia polacca, così il 10 aprile 2010 è stata eliminata, se pur in parte ed a causa di un incidente aereo, l’élite politico-istituzionale di quel martoriato Paese, vittima di quattro spartizioni ma sempre risorto per la fierezza del suo popolo.

Viene comunque da pensare che il fantasma di Stalin nell’aprile 2010, aleggiasse ancora sul cielo di Katyn : l’aereo, per tragica fatalità, è un Tupolev Tu-154M, di fabbricazione sovietica!

Giuseppe Vollono

(1^ edizione-maggio 2010) – 10 ottobre 2016

 

Ex Juve Stabia, nuova avventura per Alessandro Fabbro

L’ex difensore della Juve Stabia, Alessandro Fabbro è un nuovo calciatore del Bra

Alessandro Fabbro è uno dei calciatori più amati della storia recente della Juve Stabia. Il roccioso difensore friuliano ha vissuto da protagonista gli anni della scalata dalla Serie C2 alla Serie B, diventando un punto fermo in campo ed un idolo della sua tifoseria.

Proprio nelle scorse settimane lo avevamo ascoltato in esclusiva e Fabbro ci aveva raccontato tanti retroscena dei suo anni alla Juve Stabia (CLICCA QUI). Il difensore ci aveva confessato di essere in attesa di una chiamata che lo convincesse.

La chiamata è arrivata ed Alessandro Fabbro è quindi un nuovo calciatore del Bra, ambiziosa squadra di Serie D dell’omonima città piemontese. Tanta soddisfazione per l’ex difensore delle Vespe, pronto a tornare quanto prima al top della forma per aiutare la sua nuova squadra. L’obiettivo è quello di fare bene in questi mesi per poi tornare in Lega Pro nella sessione di mercato di gennaio.

Ad Alessandro, sempre generoso in campo e disponibile fuori, va il nostro in bocca al lupo per la nuova avventura.

Raffaele Izzo

Credit Foto: Andrea Lusso

TARANTO FC: ESONERATO PAPAGNI

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Il Taranto FC 1927 comunica, in data odierna, di aver sollevato dall’incarico di allenatore della prima squadra il sig. Aldo Papagni. La Società ringrazia il mister per il lavoro fin qui svolto con professionalità e augura le migliori fortune umane e professionali nel proseguo della sua carriera.

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