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La Sicilia stagna, regredisce (ma se fanno leggi nazionali pro-corruzione politica)

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Perché la Sicilia possa uscire dal pantano socio-economico occorrerebbero non meno di altri dieci anni. È stato pronosticato in un convegno di economia presso l’Università di Palermo.

L’economia del Mezzogiorno e delle Isole, a distanza di tre anni dalla fine delle recessione, resta ancora imprigionata nelle maglie di un processo di rilancio troppo lento, non in grado di assicurare nel breve-medio termine il risanamento delle ferite causate dalla crisi. Continuando di questo passo – e supponendo un cammino con la stessa andatura del triennio 2015/2017 – occorreranno non meno di dieci anni per ritornare alle condizioni dell’anno precrisi, il 2007 … Lo ha affermato l’economista Pietro Busetta presentando l’analisi previsionale sull’economia del Mezzogiorno realizzata da Diste Consulting per Fondazione Curella, all’Università degli studi di Palermo. Ad illustrare il Report Sud numero 34, oltre al professore Pietro Busetta, docente dell’Università degli studi di Palermo e vice presidente della Fondazione Curella, Alessandro La Monica, presidente Diste Consulting, Sebastiano Bavetta e Antonio Purpura, economisti e docenti dell’Università degli studi di Palermo”.

La Sicilia non può ripartire poiché oppressa da una decennale politica (e rispettivi seguiti burocratici, professionali, sindacali, imprenditoriali, intellettuali e della cosiddetta società civile): ingorda, mercenaria, ipocrita, misantropa, sprezzante, clientelare, intimidatrice, ritorsiva, fiscalmente estorsiva, produttrice di debiti pubblici e mercante di conterranei.

E ciò sia nella Regione come anche negli Enti, Partecipate e Comuni. Si pensa solo forzosamente a prendere e arraffare per se e la propria cerchia familiare, parentale, di conoscenze varie ed elettorale o tesserata, nonché creare e favorire con i soldi pubblici la creazione di nuovi bacini di voti.

Vige imperioso lo scambio di voto e mettere in difficoltà (se non peggio) il cittadino non allineato o che non si sottomette e tanto più quando non è indipendente economicamente oppure è disoccupato o quando ha un’attività o beni privati.

Ma il male della Sicilia è anche conseguenza di un decennale Stato che sforna leggi a favore della corruzione, mercimonio, omertà, connivenza e mafiosità.

Approfondivo qualche giorno addietro una norma, poiché non mi spiegavo come questo Stato non si accorga della manciugghia politica nei piccoli comuni. Che tra l’altro neanche i cittadini sembra la vedano, quando poi proprio questi ultimi per mantenerla pagano fior di tributi (ovviamente solo quei contribuenti che hanno i beni alla luce del sole e dichiarano l’intero reddito mentre agli scaltri evasori risaputamente non frega nulla).

Ho dunque scoperto il decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 «Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», a seguito del quale l’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) nell’adunanza dell’8 marzo 2017 ha approvato in via definitiva la delibera n. 241 «Linee guida recanti indicazioni sull’attuazione dell’art. 14 del d.lgs. 33/2013 «Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali» come modificato dall’art. 13 del d.lgs. 97/2016» che ne dispone la pubblicazione sul sito istituzionale dell’ANAC e sulla Gazzetta Ufficiale e in cui si dice “Comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti … nei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, i titolari di incarichi politici, nonché i loro coniugi non separati e parenti entro il secondo grado non sono tenuti alla pubblicazione dei dati di cui all’art. 14, co. 1, lett. f) (dichiarazioni reddituali e patrimoniali).

Ora, solo chi non vuole o non può vedere e sapere, non è a conoscenza che maggiormente nei piccoli comuni si cela, anche storicamente, la dissimulata corruzione, il mercimonio, la compiacenza tra Istituzioni e politici, la puttaneria politica, l’intimidazione, anche la minaccia, la corruzione e pure la mafia.

Ma questo Stato italiano e le sue blasonate Istituzioni, guarda caso, mentre pubblicamente, soprattutto tramite media e informazione di tutta evidenza allineati, declamano etica, trasparenza e legalità, poi di fatto producono (pur disponendo anche in Parlamento di risaputi giuristi) leggi e regolamentazioni, che favoriscono tutto il contrario.

Questo dire quindi che la Sicilia non vuole cambiare è solo un’ipocrisia intellettuale e politicante, se non anche un alibi, per eludere che non si vuole invece che forzosamente cambi nulla. Poiché se le norme fossero fatte da giuristi e politici non evidentemente corrotti dentro, le cose gradualmente cambierebbero.

Come anche e spesso leggo e un po’ dappertutto, che siamo un popolo di pecore in ordine sparso.

Personalmente e come tanti altri non facciamo parte di quel popolo di “pecore”.

Non siamo tutti lecchini, mercenari e opportunisti. Purtroppo invece, succede ormai da anni che basta persino che un sindaco o un Presidente di regione faccia sentire il tintinnio dei soldi pubblici (oppure posti e posticini) che quasi tutti (specialmente lucciole e iscariota della politica) si mettono in fila. E gli altri conterranei, stante anche i visibili risultati dei primi, si pongono a quel punto anche loro proni.

Non c’è quindi alcun popolo di pecore in “ordine sparso”, bensì purtroppo, dopo decenni di assoggettante politica, nazionale, regionale e locale nonché Istituzioni nascostamente conniventi e oscure, tanti cittadini anche per bisogno e molti per opportunismo, chiudendo gli occhi della dignità ma anche della ragionevolezza civile e battendosi il petto vendendo pure morale, si mettono ormai culturalmente in fila indiana per potere anche loro prendere e arraffare, emulando d’altronde certi spregevoli risaputi esempi pubblici-politici trasversali di sempre.

Ma l’assurdo è che in generale, tutto ciò è legale, poiché le norme in Italia (e in Sicilia) sembrano proposte e deliberate per agevolare il clientelismo, il voto di scambio, il mercimonio, l’evasione fiscale, la corruzione, la delinquenza e la criminalità, pertanto quasi fossero pensate contro il comune e civile cittadino.

Come se ne può concretamente uscire al più presto. Questo sarebbe il vero sollecito dibattito. Dobbiamo e devono dirci i cosiddetti esperti, competenti, titolati, nominati, incaricati e soprattutto gli eletti in politica, come uscirne realmente, ma nell’immediato, non tra dieci anni.

Se non avessimo infatti il clima, il sole, il mare, la natura, la storia, l’archeologia e la cucina, quindi il turismo che ci salva economicamente, non so dove saremmo già a quest’ora, con questa oppressiva, arraffona, incontrollata e incontrollabile politica e rispettivi innumerevoli codazzi di ogni genere e tipo.

A

dduso Sebastiano


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