Decreto Dignità: il costo reale del lavoro precario (Adelaide Cesarano)

Proseguono le polemiche tra Governo e Opposizione sul cosiddetto Decreto Dignità, ovvero il Decreto n.87/2018 “Disposizioni...

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Proseguono le polemiche tra Governo e Opposizione sul cosiddetto Decreto Dignità, ovvero il Decreto n.87/2018 “Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese”, entrato in vigore lo scorso 14 luglio, all’esame delle Commissioni Lavoro e Finanza della Camera.

Al centro dell’azione politica la lotta al precariato, con la stretta dei contratti a termine e di altre forme di flessibilità, e alla delocalizzazione delle imprese.

Proprio le modifiche dei contratti di lavoro a termine hanno suscitato le aspre critiche dagli imprenditori per l’aumento di vincoli e costi.

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Nel mondo dell’impresa la riduzione della durata massima del contratto a tempo determinato da 36 a 24 mesi – e delle proroghe, che da cinque passano a quattro – è stata infatti interpretata più come un deterrente alle assunzioni, che un incentivo alla stabilizzazione dei lavoratori.

E si paventano licenziamenti. C’è addirittura chi, come Tito Boeri, presidente dell’INPS, stima la perdita di posti di lavoro, per la mancata proroga dei contratti a termine a circa ottomila.

“Per noi l’unica opinione che conta – ha affermato il vicepremier Di Maio – è quella dei cittadini, che mi dicono che del Decreto Dignità c’era bisogno come il pane”.

Ma molti i nodi cruciali ancora da sciogliere, gli angoli ancora da smussare, per cui sono previste diverse modifiche al testo del Decreto, come sgravi per le assunzioni a tempo indeterminato dei giovani e il potenziamento dei Centri per l’Impiego.

Tra gli emendamenti presentati, anche quello sull’utilizzo dei voucher in determinati settori.

Grande attesa anche per l’emendamento sulla cancellazione del comma 131 della Legge 107/2015, la cosiddetta “Buona Scuola”, che stabilisce per il personale scolastico il limite di 36 mesi per gli incarichi annuali.

Ricordiamo che la Corte di Giustizia Europea di Strasburgo nel 2014 aveva indicato i 36 mesi di servizio come soglia di accesso alla stabilizzazione dei precari, mentre l’attuale legge la impedisce.

Indubbiamente è meglio un lavoro precario che nessun lavoro, ma non può diventare l’unica tipologia offerta alla maggior parte dei giovani – e ai meno giovani – e condizionarne negativamente le scelte di vita.

Non prendiamoci in giro: sappiamo tutti che senza un lavoro stabile, la certezza di un reddito, non è possibile progettare un percorso esistenziale.

Per questo si parla di giovani che vivono alla giornata, di anziani che con le loro modeste pensioni devono mantenere figli e nipoti, di famiglie che non arrivano a fine mese, del dilagare di forme più o meno evidenti di depressione.

E mentre i nostri ragazzi più brillanti, formati nelle università italiane e a nostre spese, vanno in cerca di stabilità in altri paesi dell’Ue o Oltreoceano, molti altri, con la loro vita da precari, si arrabattano come possono, vivendo lontani dalle famiglie in modeste stanze in affitto arredate con mobili di una nota ditta svedese, senza speranze e senza prospettive per il futuro.

Eternamente fidanzati , forse non si sposeranno mai, non acquisteranno mai una casa, non la arrederanno mai con mobili ed oggetti d’artigianato italiano, non avranno mai dei figli e non potranno mai contribuire significativamente  alla ripresa dei consumi.

Le culle resteranno vuote, le aule scolastiche deserte, le case e tanti altri beni e servizi, prodotti dall’ingegno italiano, resteranno invenduti.

Con i contratti a tempo determinato e le altre forme di flessibilità, si riduce – è vero – il costo del lavoro e si è più competitivi sui mercati internazionali, ma a quale prezzo!

La crescita del nostro Paese può e deve partire dalla lotta al precariato, non solo perché un lavoro stabile restituisce dignità al lavoratore, ma soprattutto perché gli consente di delineare un personale progetto di vita (nel nostro Paese).

La realizzazione di questo progetto,grande o piccolo che sia, insieme ai milioni di altri – ogni anno in Italia si firmano oltre 2 milioni di contratti a tempo determinato – contribuirà sicuramente a rimettere in moto l’ingranaggio della nostra economia.

A cura di Adelaide Cesarano
(esperta in Orientamento e Placement)

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