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Castellammare di Stabia

DIA: la panoramica della camorra stabiese, 5 boss liberi

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alla relazione del primo semestre della DIA del 2021 emerge un quadro inquietante riguardo la situazione criminale sul territorio stabiese.

DIA: la panoramica della camorra stabiese, 5 boss liberi

La panoramica

La relazione del primo semestre del 2021 della DIA ci dà una mappatura generale della camorra stabiese.

A Castellammare, il clan D’alessandro, con roccaforte a Scanzano, sebbene investito da diverse inchieste che hanno colpito il braccio armato del clan, per la DIA, è la più potente organizzazione operante sul territorio.

Il clan è leader nelle attività di estorsione, dell’usura, dello spaccio di stupefacenti e del racket dei videopoker.

Forte del proprio spessore criminale, la consorteria manterrebbe proficui rapporti con la criminalità organizzata siciliana, pugliese e calabrese ed estende alleanze anche all’estero, in particolare in Germania.

Ai D’alessandro risulta collegato il clan Imparato, operante nel rione Savorito.

Sarebbero capitanati da Giovanni Imparato detto “o’paglialone”.

Nella relazione della commissione d’accesso, che ha decretato lo scioglimento per infiltrazioni camorristiche della giunta comunale di Castellammare di stabia, è presente il suo nome in relazione all’ episodio riguardante l’interruzione del comizio del candidato sindaco per le liste civiche Andrea Di Martino. In tal frangente, Giovanni Imparato si sarebbe autodefinito “amministratore del rione Savorito”.

Altro clan storicamente alleato a Scanzano è il clan Vitale, con sede al Centro Antico.

Secondo le parole del pentito Valentino Marrazzo, il sodalizio investirebbe i ricavati dal traffico di droga in alcune aziende edili operanti al nord, soprattutto a Torino. Attenendoci alle dichiarazioni dell’ex pusher, la mente della cosca sarebbe Maurizio Vitale.

Il clan Di Martino Afeltra, operante nel gragnanese e sui monti lattari sarebbe legato alla cupola scanzanese soprattutto per quel che concerne la fornitura della marijuana.

L’alleanza nasce grazie al matrimonio tra Anna Carolei, figlia dell’ex reggente del clan scanzanese Paolo Carolei, con Fabio Di Martino, alias “o’lione”, boss del clan gragnanese.

Il legame tra le 2 cosche è divenuto il fulcro delle inchieste Domino e Domino bis.

L’inchiesta “Domino” del giugno 2020 aveva fatto luce sul mercato degli stupefacenti nella penisola sorrentina, sul collegamento con il clan gragnanese e con le ‘ndrine rosarnesi BELLOCCO e PESCE per l’approvvigionamento della droga.

L’operazione “Domino bis” si concluse il 23 marzo 2021 con l’esecuzione di un provvedimento cautelare nei confronti di 16 soggetti, tutti appartenenti al clan D’ALESSANDRO, per il reato di associazione di tipo mafioso, estorsione continuata ed in concorso, detenzione illegale di armi comuni con l’aggravante delle finalità mafiose.

L’indagine ha ricostruito ruoli, articolazioni ed attività illecite poste in essere dal clan di Scanzano, accertato reati di natura estorsiva e usuraia, nonché documentato un’ampia disponibilità di armi da fuoco e l’alleanza con il clan gragnanese. Inoltre ha ricostruito la rete di fiancheggiatori e prestanome del clan nel settore dell’imprenditoria edile.

Secondo l’inchiesta Cerbero, a intrattenere rapporti tra i 2 sodalizi, tra il 2011 e il 2015, sarebbe stato Antonio Rossetti, alias “o’guappon”.

Nella relazione della DIA non potevano mancare i competitor alla leadership dei traffici illeciti ossia, lo storico clan Cesarano, operante a Ponte Persica, e il clan Omobono-Scarpa, composto soprattutto da “ex cutoliani”.

A tal proposito, la relazione della DIA, cita l’omicidio di Raffaele Carolei avvenuto nel 2012, cugino di Paolo Carolei, ed esponente del clan Omobono-Scarpa.

L’omicidio fu voluto dagli esponenti della cupola di Scanzano, in quanto Raffaele Carolei avrebbe partecipato all’omicidio di Giuseppe Verdoliva, autista e persona di estrema fiducia del defunto padrino Michele D’Alessandro.

La vendetta fu consumata il 10 Settembre 2012.

Quel giorno, per gli investigatori, con uno stratagemma architettato da Gaetano Vitale e Pasquale Rapicano, la vittima fu attirata nell’abitazione di Catello Rapicano, con la scusa di una chiaccherata di affari relativi al traffico di droga.

Nell’appartamento Carolei venne fatto accomodare al tavolo della cucina, e lì, in un attimo di distrazione, venne sorpreso alle spalle dal padrone di casa che, bloccandolo, permise a Savarese di posizionargli al collo una corda, tirata alle estremità rispettivamente da quest’ultimo e da Pasquale Rapicano, mentre Giovanni Vitale gli bloccava le mani per impedirgli di potersene liberare.

Il corpo fu avvolto in una plastica e caricato a bordo di un auto, scortata da uno scooter guidato da Pasquale Rapicano. Arrivati ad un fondo nella zona di via Schito, Pasquale Vuolo si liberò del cadavere.

I Cesarano, nonostante le inchieste che hanno mandato al 41bis i due massimi esponenti, Luigi Di Martino, detto “o’profeta”, e Nicola Esposito, alias “o’mostro”, detengono lo scettro criminale della zona di Ponte Persica e della confinante città di Pompei.

Il clan ha inoltre fortemente investito oltre che nel settore florovivaistico anche, grazie all’appoggio di altre associazioni malavitose come i MALLARDO ed il gruppo salernitano dei PECORARO-RENNA, in quello delle onoranze funebri.

I Cesarano sarebbero diventati i leader del trasporto e della intermediazione della vendita floreale attraverso la società “ENGY SERVICE SRL”.

L’azienda, gestita Antonio Martone e Giovanni Esposito, cognati di Luigi “o’profeta”, è finita sul taccuino degli inquirenti poichè si sarebbe imposta, utilizzando metodi mafiosi, come interlocutore unico tra autotrasportatori e commercianti, ricoprendo il ruolo di intermediazione e alterando le dinamiche di mercato, impedendo che di volta in volta venissero stabilite modalità e commissioni sulle vendite, creando, così, un monopolio illegale.

Nella relazione della DIA, infine viene menzionato il cosiddetto “Terzo sistema”, nato nel rione Moscarella, con l’obiettivo di affrancarsi dall’egemonia dei D’alessandro.

Fu smantellato a inizio 2021 dai carabinieri della compagnia di Castellammare di Stabia.

I capi della cosca sarebbero stati Silvero Onorato, che ha incassato una condanna in primo grado a 13 anni, e Raffaele Polito.

La consorteria aveva un vero e proprio arsenale costituito da numerose armi da guerra, in particolare pistole e kalashnikov, a riprova dell’ascesa e del consolidamento del clan nelle cui intenzioni vi sarebbe stato il rafforzamento militare finalizzato a imporre la propria egemonia criminale sul territorio.

Nel corso delle indagini sono stati inoltre svelati vari canali di approvvigionamento di droga anche dell’area casertana e pugliese.

I BOSS LIBERI

Vincenzo e Luigi D’alessandro

Il rischio Faida è concreto. Sono 5 i boss liberi.

Nel 2018 sono tornati liberi 2 pezzi da novanta della camorra stabiese: Vincenzo D’alessandro e Luigi D’alessandro, rispettivamente figlio e fratello del padrino Michele.

Il periodo di reggenza di Vincenzo, detto “enzuccio”, viene ricordato per una serie di episodi di sangue. La sua azione di pulizia contro coloro che erano stati infedeli al clan fece 6 vittime in un anno.

Tra queste il consigliere comunale PD, Luigi Tommasino.

Questo periodo di terrore terminò con la cattura del giovane boss, all’epoca poco più che 30enne, che si trovava in latitanza a Rende, in provincia di Cosenza.

Per la DIA, entrambi sarebbero in grado di guidare il sodalizio ma, secondo il codice d’onore non scritto della camorra, il padrino della cosca di Scanzano, che ormai da mezzo secolo divora la politica e l’economia stabiese, sarebbe, poichè più anziano, Luigi D’alessandro, detto “o’gigginiell”.

Ciò potrebbe essere documentato anche da un intercettazione telefonica comparsa in un filone dell’inadagine “Olimpo 3”, poi riportata anche nella relazione della commissione d’accesso, nella quale un noto imprenditore stabiese, parlando con il figlio, aveva riferito di avere avuto un incontro con un soggetto di importante spessore criminale, al quale aveva chiesto in che rapporti fosse con Luigi D’alessandro.

L’intento di tale incontro era quello di creare un giusto equilibrio tra le varie consorterie criminali locali in relazione all’area dell’ex Aranciata FAITO, ove a breve l’imprenditore avrebbe dovuto iniziare dei lavori edili.

L’ennesimo indizio che legittimerebbe indirettamente Luigi “o’gigginiell” come il padrino del sodalizio.

Da segnalare inoltre che Vincenzo D’alessandro, da uomo libero, è imputato per diversi processi per estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Paolo Carolei

Paolo Carolei è tornato libero agli inizi di febbraio del 2022.

La sua carriera criminale inizia sotto i Cesarano, ma dopo essere passato ai D’alessandro diviene uno dei ras più influenti della cosca, fino a diventarne il reggente nel 2009.

Il suo nome è finito nella relazione della commissione d’accesso che ha sciolto il comune stabiese, in quanto alcuni consiglieri sarebbero suoi parenti.

Nonostante la DIA abbia chiesto lo status di sorveglianza speciale, i giudici hanno accolto le osservazioni del legale di Carolei, Raffaele Chiummariello, in quanto, secondo l’avvocato, l’ex reggente della cosca scanzanese non può essere considerato pericoloso poichè i fatti e gli episodi in cui il suo assistito risulta ancora indagato e i reati commessi siano datati nel tempo e dalla mancanza di indizi che il pregiudicato possa ricucire rapporti con la cosca.

I condannati a morte

Agli inizi di Marzo è tornato libero, Raffaele Di Somma detto “o’ninnill”, fondatore negli anni 90 del clan dei “falsi pentiti”. Su di lui pende una condanna a morte dei D’alessandro.

Il boss, nonostante sia stato condannato per aver partecipato a 7 delitti avvenuti a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, ha scontato “solo” 26 anni di carcere. Anche per lui la DIA ha chiesto la misura della sorveglianza speciale.

L’ultimo boss uscito è Michele Onorato, detto “o’pimontese”, uomo di punta del clan Cesarano e padre di Silvero Onorato (Terzo Sistema).

Associazione a delinquere, traffico di droga ed estorsione. Questo un breve stralcio del curriculum di Onorato, che secondo le rivelazioni di alcuni pentiti, anche lui, sarebbe finito nel mirino dei D’alessandro, al pari di Raffaele Di Somma.

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A cura di De Feo Michele / Redazione Campania


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