Inchiesta “Cerbero”, 35 affiliati a processo

Si è chiusa l’inchiesta Cerbero: 35 affiliati al clan D’alessandro, ora rischiano il processo.

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Si sono chiuse le indagini dell’inchiesta Cerbero: 35 affiliati al clan D’alessandro, ora rischiano il processo.

L’inchiesta condotta dall’antimafia fa luce sull’attività criminale del clan stabiese tra il 2011 e il 2015.

Racket, associazione a delinquere di stampo camorristico, traffico di droga e infiltrazioni nella sanità e nella pubblica amministrazione. Tra i 35 affiliati della cupola di Scanzano, che ora rischiano il processo, saltano all’occhio eredi e mogli dei padrini.

Questi i titoli dei canti del nuovo poema che Giuseppe Cimmarota, pm antimafia che si occupa della camorra stabiese, sta scrivendo negli uffici della procura della Repubblica e che presto prenderà forma nelle aule di tribunale.

Un poema che parla di un inferno che ha divorato la politica, l’economia e il tessuto sociale di Castellammare di Stabia. Non a caso l’inchiesta prende il nome dalla bestia mitologica Cerbero, utilizzata da Dante Alighieri come guardiana del terzo cerchio dell’Inferno, quello del peccato della gola. Tale cane ha tre teste e una barba sudicia e rappresenta colui che mangia in modo vorace e senza ritegno.

Gli indagati eccellenti

-Michele D’alessandro: figlio del boss Luigi, avrebbe preso il comando della cosca conducendo il traffico di droga, impartendo ordini agli affiliati e intrattenendo i rapporti con boss di altri clan come i DI Martino di Gragnano.

– Al suo fianco, il nipote Michele, classe ’92, ritenuto esponente delle nuove leve della cosca.

-Teresa Martone, moglie del padrino Michele D’alessandro; Annunziata Napodanno, moglie di Luigi D’alessandro, il super boss oggi libero dopo 30 anni di carcere; Rosaria Iovine moglie di Luigi D’alessandro di Michele.

Secondo la Procura Antimafia sono state le donne del clan, durante la permanenza in carcere degli esponenti della cosca scanzanese, a portare avanti gli affari di famiglia: gestivano le finanze del clan, ordinavano agli affiliati di recuperare i soldi provenienti dalle estorsioni.

L’importanza e il ruolo criminale di Teresa Martone è emerso già nel corso dell’inchiesta Olimpo. Per le estorsioni di quel periodo ha incassato una condanna a 4 anni di reclusione. Attualmente tornata libera, sconterà l’esilio fuori regione imposto dalla Corte D’Appello di Napoli.

-L’ex boss di Gragnano, Antonio Di Martino.

-I pentiti Rapicano Pasquale, ex killer dei D’alessandro, e Marrazzo Valentino, ex pusher.

-Questi nel dettaglio i nomi delle persone raggiunte dall’avviso di garanzia: Michele D’Alessandro, Michele D’Alessandro (rispettivamente di 44 e 30 anni), Luigi Calabrese, Annunziata Napodano, Antonio Rossetti, Teresa Martone, Rosaria Iovine, Nino Spagnuolo, Augusto Bellarosa, Luciano Verdoliva, Nicola Tramparulo, Paolo Spagnoletta, Ciro Sorrentino, Antonio Gambardella, Gianfranco Ingenito, Antonio Schettino, Sabato Schettino, Ferdinando Schettino, Nunzio Nastro, Pasquale Esposito, Gennaro Esposito, Antonino Alfano, Vincenzo Di Palma, Giovanni Savarese, Stefania Boccia, Antonio Di Martino, Rossano Apicella, Francesco Di Mario, Nunzio Girace, Alfonso Arpaia, Costantino Spalice, Michele Napoldano, Valentino Marrazzo e Pasquale Rapicano.

I rapporti con la politica

L’ambasciatore del clan per gli affari politici e il mondo degli appalti pubblici sarebbe Augusto Bellarosa.

Dalle indiscrezioni del quotidiano Metropolis, il Bellarosa, nella sua auto, con un suo parente, si sarebbe incontrato, in piena campagna elettorale, con un esponente del Pd.

Era il 2013, alla corsa per la poltrona di palazzo Farnese competeva per il Pd Nicola Cuomo, poi vincitore al secondo turno ai danni del centrodestra, capitanata da Antonio Pentangelo.

Durante il colloquio, durato pochi minuti, l’esponente democratico richiedeva al Bellarosa conferma sull’avvenuta consegna del materiale necessario per la compagna elettorale. Il Bellarosa conferma.

Il tutto è stato intercettato a loro insaputa dai carabinieri di Castellammare di Stabia tramite una cimice installata nell’auto del ras di Scanzano.

Il nome dell’esponente del pd è quello dell’ex consigliere comunale Francesco Iovino (non indagato), delfino di Mario Casillo, capogruppo dem alla regione, comparso insieme a Gennaro Iovino, padre di Francesco, nell’inchiesta Olimpo.

Francesco Iovino, dopo essersi autosospeso dal partito, è stato segnalato dal segretario provinciale Marco Sarracino alla commissione di garanzia regionale del partito democratico per adottare i giusti provvedimenti.

Da altre intercettazioni emerge come il Bellarosa abbia ammesso di aver avuto rapporti con tutti gli esponenti politici, parlando anche di lavori da commissionare.

Il traffico di droga

Secondo l’inchiesta i D’alessandro avrebbero un ponte diretto con il Brasile.

A curare i contatti sarebbe stato Rossano Apicella, pregiudicato di Gragnano.

Secondo l’Antimafia erano 2 le organizzazioni che lavoravano parallelamente, senza intralciarsi, gestite dai 2 Michele (classe 1992 e 1978).

Michele junior poteva contare sul sostegno di Rossano Apicella come fornitore, Gianfranco Ingenito e Augusto Bellarosa come intermediari con le piazze di Spaccio, Francesco Di Maio e Ferdinando Schettino impegnati invece nella vendita diretta ai clienti. La cassa era gestita dalla madre, Rosaria Iovine.

Michele senior aveva come principale fornitore Antonio Di Martino, boss dei Monti Lattari. Antonio Rossetti, detto o’guappone, aveva il compito di acquistare la droga e di rifornire le piazze di spaccio. Michele Cuomo, Antonio Gambardella e Lorenzo Nastro spostavano la droga. Gennaro Esposito aveva il compito della vendita al dettaglio. La cassa era gestita da Stefania Boccia.

Tutte le piazze di spaccio si dovevano rifornire dai D’alessandro. Chi si opponeva doveva poi fare i conti con la furia del clan di Scanzano.

Gli Affari nella sanità

Valentino Marrazzo, ex pusher, ora collaboratore di giustizia, in uno dei suoi interrogatori ha fatto riferimento alla gara d’appalto indetta dall’Asl per il servizio di ambulanze tipo B e tipo A e quelle di trasporto per il sangue. La gara fu pilotata in quanto un dirigente del San Leonardo avrebbe riferito la cifra da presentare per vincere la gara.

Valentino Marrazzo infatti ha lavorato per la “Croce Verde”.

Secondo l’antimafia, l’azienda, che si occupava di trasporti dei malati, sarebbe stata gestita da Antonio Rossetti (o’guappone) tramite un prestanome (Antonio Arpaia).

Rossetti, attraverso intimidazioni, alle quali ha partecipato Marrazzo, e minacce ai titolari delle aziende concorrenti, aveva creato un monopolio nel settore del trasporto dei malati.

I proventi da tale attività venivano reinvestiti nell’affare della droga.

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A cura di De Feo Michele / Redazione Campania

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