Veneto e Lombardia vincono la scommessa dei referendum per l’autonomia: “Siamo stanchi di essere munti da Roma”, dicono gli elettori.
Ai seggi va in scena la rivolta fiscale: “Stanchi di essere munti da Roma”
Da Treviso a Vicenza, viaggio tra il popolo del sì: «Ora lo Stato risponda»
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REVISO – Alla fine, il senso di una giornata alle urne lo riassume Enzo Dassie, 68 anni, ex ristoratore in pensione. «Guardi, la verità è questa: vogliamo dare un segnale, siamo stanchi di essere munti da Roma».
Giacca verde, fisico corpulento e sguardo fiero, mostra il certificato di voto. Dimenticate il buon governo raccontato dagli storici della Serenissima, l’indipendenza o la vecchia secessione urlata da Bossi. La pancia del Veneto vuole altro.
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«Sì autonomia», la scritta che campeggia a caratteri cubitali sul muro di un cavalcavia della A28 vicino a Conegliano. Si scrive autonomia ma, da queste parti, si legge «schei». Soldi, risorse pubbliche da investire sul territorio. Il referendum diventa così un voto di protesta. Una sorta di rivolta fiscale contro il cattivo governo di Roma, «che ci porta via tutto». E poco importa se gli effetti immediati non ci saranno. «La cosa fondamentale è contarsi, fare vedere che si è in tanti», dicono fuori dai seggi. Tutti spiegano che, dopo una prova di forza, «lo Stato non può più restare a guardare».
Per capire cosa sta succedendo bisogna venire qui, nella provincia trevigiana. Tra giardini privati e rotonde stradali spuntano le bandiere con il Leone di San Marco, il simbolo regionale. Perché, allora, siete venuti a votare? Non risponde Orianna Bet, casalinga di 60 anni, ma indica una vecchia Audi. E spiega: «Guardi lì, quella è l’auto di mio marito, è la stessa da quasi vent’anni. Io faccio la casalinga, lui l’artigiano. Ha sempre pagato le tasse e questo è il risultato». Il marito Giovanni Dal Cin, 61 anni e ora pensionato, scuote la testa. «È così, sono stato onesto e cosa ho ottenuto?». Un senso di rabbia misto a orgoglio si respira alla scuola elementare San Francesco, il seggio dove già alle 7 mattina ha votato il governatore Luca Zaia. Un capannello di giovani discute di Catalogna. «Lì è diverso, abbiamo amici che lavorano a Barcellona», racconta Riccardo B., trentenne con in tasca una laurea in economia e finanza. Fa tutt’altro nella vita, lavora nel settore alimentare. «Ho studiato a Udine e ho visto cosa può cambiare una Regione a statuto speciale. Il nostro modello è il Trentino».
La parola d’ordine è passata. Zaia, ieri all’alba, ha ribadito l’esempio da seguire. E se il governatore regionale più amato d’Italia parla, i 4 milioni di veneti aventi diritto rispondono. Alle 12 l’affluenza raggiunge già il 21,1% del corpo elettorale. Un’onda che dal Trevigiano si muove in tutte le province, con picchi del 25% nel Vicentino (arriverà a sfiorare il 56% già alle 19). Il popolo dell’imprenditoria diffusa si muove. Dall’Altopiano di Asiago è Agostino Bonomo, 60 anni, panettiere e presidente della Confartigianato locale e regionale a spiegare i motivi: «Ci aspettiamo molto da questo voto: vogliamo meno burocrazia e risposte concrete alle nostre esigenze economiche».
L’economia e il lavoro, dunque, prima di tutto. Perché se è vero che il livello del Pil pro capite in Veneto sta tornando a quello pre-crisi, la percezione è diversa. Basta chiederlo ad Alvise Nicoletti, 29 anni, agente immobiliare. «Con la mia professione allo Stato do il 50% di tasse, vi pare normale?», dice fuori dal seggio del liceo Franchetti di Mestre (Venezia). Vai a spiegargli che, a detta degli economisti, quella crisi ha cambiato tutto e niente sarà come prima. Ed è questo l’altro aspetto: la globalizzazione in Veneto, come altrove, ha creato spaesati. Lo capisci ascoltando Liliana Halouska, 80 anni, esule istriana arrivata a Mestre trent’anni fa: «Io mi sento veneta, sia chiaro. Anzi mi sentivo. Qui un tempo le cose andavano bene. Spero che con l’autonomia si ritorni al boom degli Anni ’80, dove ci sentiva di appartenere a un mondo che funzionava, un mondo più sicuro».
E proprio l’orgoglio di sentirsi veneti il sentimento su cui fa leva Dimitri Coin, segretario provinciale della Liga veneta, mentre in serata commenta l’affluenza dalla sede del partito di Villorba: «Se fosse solo una questione economica la Lombardia, che ha un residuo fiscale più alto del Veneto, sarebbe andata in massa al voto». C’è dell’altro, dunque. Ma ora si apre il prosecco. La trattativa con Roma, per questa sera, può aspettare.
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