L’Italia d’oggi è affetta da un populismo dilagante ma di nature profondamente differenti
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l socialismo democratico è in decadenza in tutta Europa e in tutto il mondo occidentale, compresi l’Inghilterra, gli Stati Uniti e le due Americhe del Centro e del Sud. Resta da capire il perché, ma occorre anche comprendere che cos’è la democrazia socialista.
Quando trionfò in quasi tutto il mondo il comunismo bolscevico, il socialismo di fatto aveva cessato di esistere. Quel poco che ancora sopravviveva era una sorta di piccola appendice del comunismo bolscevico. Parlando della situazione italiana fu tipico, da questo punto di vista, il partito d’Azione con il suo slogan “Giustizia e Libertà”. La decadenza attuale ha varie cause. La più importante è quella che identifica i liberali con il capitalismo, che usa la libertà ma assai poco la giustizia.
Una motivazione altrettanto importante è l’ondata di immigrazione che proviene soprattutto dall’Africa e ha l’Europa come principale meta da raggiungere. La terza infine è la pessima distribuzione della ricchezza e per conseguenza l’aumento della diseguaglianza economica e sociale. Quest’ultima in teoria dovrebbe favorire la crescita nei ceti più deboli ma ha invece generato un fenomeno relativamente nuovo cui gli studiosi di scienze sociali hanno dato il nome di populismo: il popolo è una massa che si ribella a tutto ma al tempo stesso ha bisogno di un capo che la guidi.
Quindi la situazione è un’anarchia con tendenze dittatoriali che rischiano in tempo breve di trasformarsi in una vera e propria dittatura.
Anche le dittature possono avere forme diverse l’una dall’altra. Nell’America del Sud e in particolare in Argentina ci fu la dittatura peronista: Peron le dette un ampio impulso a sfondo sociale e dopo la sua morte la vedova lo portò avanti con ancora maggior vigore.
Nel Centro America trionfò dopo lunghe battaglie la dittatura comunista di Fidel Castro a Cuba e il castrismo, declinato in varie forme e movimenti, oltre che a Cuba si diffuse in gran parte dell’America del Sud, dall’Uruguay al Cile al Venezuela e alla Colombia. Questo è il quadro generale del populismo.
Se vogliamo approfondire la situazione italiana, anche da noi nacque il populismo che risale al fascismo di Benito Mussolini. All’inizio della sua carriera politica era un socialista rivoluzionario, poi divenne guerrafondaio e incitò dal suo giornale Il Popolo d’Italia all’intervento italiano nella prima guerra mondiale dove avemmo come nemici tradizionali l’Austria e la Germania. Alla fine di quella guerra, gli ex combattenti che erano centinaia di migliaia fondarono un’associazione per rivendicare un particolare riguardo economico: molti avevano subito profonde ferite la cui guarigione era stata tuttavia parziale. Il sostegno economico doveva essere rivolto ai mutilati in particolare e a tutti gli ex combattenti in generale.
Mussolini si appoggiò molto agli ex combattenti e spronò il popolo a sostenerli e ad aderire al fascismo che per l’appunto aveva fatto di loro la sua base principale. I Fasci, fondati nel 1919, erano decisamente anticomunisti e proprio per questa ragione furono anche finanziati dal capitalismo delle grandi imprese a cominciare dalla Fiat e non soltanto: anche dalle associazioni degli Agrari particolarmente forti nell’Italia adriatica.
Mussolini metteva soprattutto in rilievo gli interessi dei reduci e dei Fasci di combattimento, che volevano la Repubblica. Si allearono invece con i nazionalisti che misero come condizione il mantenimento della monarchia. Tutto ciò venne fuori al congresso a Napoli del Partito fascista nel 1922. È inutile ricordare cosa avvenne dopo: la marcia su Roma, la conquista dell’Etiopia e dell’Albania, il Re imperatore e Mussolini il Duce. La domanda da farsi è: come mai quando cadde il fascismo tutti gli italiani si proclamarono antifascisti? Era il populismo che aveva sostenuto prima il fascismo e poi quando cadde in massa lo sconfessò. E adesso siamo ancora populisti? E come e con chi?
L’Italia d’oggi è affetta da un populismo dilagante ma di nature profondamente differenti. C’è un populismo motivato dall’immigrazione che ispira soprattutto la Lega di Salvini. Il populismo di Berlusconi riflette invece il fascino con il quale lui ha incantato una notevole quantità di persone. In che modo? La politica di Berlusconi somiglia molto al gioco delle tre carte che attrae e raduna molta gente; il capo del banco a volte fa vincere qualcuno della folla che si addensa attorno al suo tavolo ma il vero risultato è che intasca tutto lui. Non parlo qui di denaro, parlo di seguito elettorale. Lui è un attore e autore contemporaneamente, non ama la dittatura: ama vincere come tutti i giocatori.
I grillini (non sopportano di venire chiamati così ma questo è il nome con cui sono nati e tale rimane) sono i populisti per eccellenza: raccolgono gran parte di quelli che odiano non solo i politici ma la politica, non fanno alleanze con nessuno, i loro obiettivi sono la distruzione di tutti gli altri partiti o quanto meno la loro sonora sconfitta elettorale. Se andranno al governo dopo aver realizzato l’obiettivo numero uno, che è appunto la messa in mora della forma partito, decideranno (lo dicono sin d’ora) di corrispondere un aiuto economico a tutti i cittadini dei ceti popolari più bassi e medio-bassi imponendo un’imposta patrimoniale sui ceti molto ricchi, con la quale finanziare l’aiuto agli altri.
Ci sono poi coloro che si astengono dal voto. L’astensione definita naturale è quella che riguarda le persone anziane o indisposte o quelle già maggiorenni ma ancora troppo giovani per essere interessate alla politica. In termini numerici l’astensione naturale è valutata al 20 per cento del corpo elettorale ma noi siamo al 40-45 per cento il che significa che il 20-25 per cento è un’astensione a sfondo populista: cittadini che forse militavano in un partito che poi li ha delusi. Non avendo un altro partito che li attraesse si sono rifugiati nell’astensione o nel grillismo. I due flussi si equivalgono come intendimento, solo che gli astenuti furono delusi da un partito che amavano e la storia del costume ci insegna che chi è deluso da un amore assai difficilmente ci ritorna. E Renzi?
Il Pd non è populista, qualche passo sulla buona strada l’ha effettuato: Renzi ha escluso ogni abiura del suo passato di leader, ma nel futuro che comincia da subito e diventa quindi anche presente è disposto ed anzi desideroso di aprire il Partito ai dissidenti usciti dal partito. È desideroso che rientrino ed ha proposto che, una volta rientrati, si apra con loro una discussione sui temi di maggiore attualità sociale ed economica ed essi, anche se relativamente pochi di numero, avranno un peso particolare nelle decisioni da prendere. Carta bianca da scrivere insieme: questa è la proposta. Ed ha incaricato Piero Fassino — uomo di particolare impegno e autorevolezza — di consultare uno per uno i dissidenti che hanno a loro volta formato piccoli gruppi politici avversari del Pd, nel quale avevano lungamente militato ma che con il suo arrivo, a loro avviso, era diventato politicamente invivibile.
Fassino ha cominciato con l’incontrare i presidenti delle due Camere e Grasso in particolare, il quale sta per essere eletto Capo dei dissidenti. Poi Fassino ha proseguito nel suo giro e ormai ha incontrato quasi tutti ma i soli che hanno in qualche modo aperto alla discussione sono Pisapia ed i suoi seguaci. Almeno per ora c’è una chiusura netta da parte di tutti gli altri. Pisapia a sua volta ha posto una condizione che, almeno a quanto abbiamo capito, consiste nella creazione da parte del Pd di una nuova carica il cui nome potrebbe essere quello di moderatore, o almeno qualche cosa di simile. Il compito del moderatore sarebbe quello di presiedere le discussioni tra Renzi da un lato e gli ex dissidenti rientrati nel partito dall’altro.
Il moderatore sarebbe dunque una figura di notevole importanza, necessaria secondo Pisapia per guidare la discussione, nella quale Renzi è una parte in causa e che quindi non può presiedere. Sono stati anche formulati i nomi dei possibili moderatori: Veltroni, Prodi, o addirittura Gentiloni con l’autorità che gli deriva dall’essere presidente del Consiglio di un governo in gran parte formato con ministri provenienti dal Pd. Resta da vedere se Renzi accetterà. La proposta di Pisapia, a nostro avviso, è decisamente accettabile e non intacca affatto la carica di segretario del partito cui Renzi fu eletto con le Primarie.
Debbo fare un’ultima osservazione che ritorna su quanto già scrissi domenica scorsa. Riguarda la permanenza dei presidenti del Senato e della Camera indicati anche come i nuovi leader dei gruppi della sinistra dissidente.
Il parere che ho espresso domenica scorsa è che le due cariche parlamentari sono incompatibili con la guida di movimenti politici molto combattivi nei confronti del partito di provenienza.
Questo mio parere è stato in parte preso in considerazione da Luciano Violante, il quale è un costituzionalista e un politico di grande esperienza. In un’intervista su Repubblica Violante ha detto che se quanto sta avvenendo si fosse verificato a metà legislatura, Grasso e Boldrini avrebbero certamente dovuto dimettersi, ma poiché è avvenuto a legislatura pressoché terminata, la loro posizione è accettabile.
Mi fa piacere che Violante abbia previsto la necessità di dimissioni se ci trovassimo a metà legislatura, ma a differenza di quello che lui sostiene, il finale legislatura avverrà tra sei mesi e forse anche tra sette, e le dimissioni sono ancora più necessarie. Gli ultimi sei mesi saranno di piena campagna elettorale e quindi l’incompatibilità tra le due cariche diventerà ancora maggiore. Mi auguro che queste dimissioni ci siano, in realtà avrebbero dovuto già averle date. Se le daranno avranno le felicitazioni di molte e molte persone alle quali mi permetterò di aggiungere anche le mie.
repubblica/Un partito democratico e aperto per fermare i populismi EUGENIO SCALFARI
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