Battaglia sul nuovo regolamento europeo. Il parere delle associazioni di agricoltori, dei consumatori e degli animalisti: “Servono norme più rigorose sull’import da paesi terzi, sulle tracce di pesticidi e sul benessere degli animali”.
ROMA – Meno diritti per gli animali d’allevamento, indebolite le norme anti pesticidi e via libera alle importazioni da paesi che adottano criteri di produzione poco trasparenti. Sono i punti più criticati nella proposta in discussione all’Europarlamento sul nuovo regolamento sul bio elaborato dalla Commissione. In realtà l’Europa parte da una posizione di forza perché sul biologico ha leggi più cautelative rispetto a quelle degli Stati Uniti, e l’Italia ha un’interpretazione particolarmente rigorosa delle norme in materia. Ma ora il nuovo regolamento mette tutto in discussione.
span style="color: #252525; font-family: Arial, 'Helvetica Neue', Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; line-height: 23px;">Al testo preparato dalla Commissione si sono aggiunte le modifiche introdotte dal Parlamento, che devono essere approvate in via definitiva. E sul nuovo regolamento è subito piovuta una pioggia di critiche. Gli esperti dell’associazione LF, un’organizzazione belga che sostiene progetti di agricoltura sostenibile, hanno messo in rilievo molti punti deboli della proposta uscita dal Parlamento: la possibilità di utilizzare ingredienti non bio per realizzare prodotti trasformati con il marchio bio; la possibilità di coltivare nella stessa azienda prodotti convenzionali e prodotti bio (che era stata esclusa dalla Commissione dopo un certo periodo a partire dall’inizio del periodo di riconversione dell’azienda); la limitazione agli erbivori del diritto al pascolo all’aria aperta (negato ad esempio a galline e maiali); l’importazione da paesi terzi di prodotti bio che, per “condizioni climatiche e locali specifiche”, non rispettano gli standard; tolleranza sui residui di pesticidi negli alimenti.
“Sulla questione dei diritti animali c’è qualche schiarita per il suggerimento di utilizzare razze più adatte all’allevamento, ma nessun miglioramento in tema di mutilazioni e di norme sul trasporto”, osserva Andreas Erler, adviser dell’Eurogroup for Animals.
Negativo il giudizio dei consumatori. “Le modifiche parlamentari hanno peggiorato il testo in due punti chiave: il rigore nell’importazione da paesi terzi e la non coesistenza nella stessa azienda di biologico e non biologico”, commenta Franca Braga, responsabile alimentazione e salute di Altroconsumo. “Sono due questioni per noi di primaria importanza su cui sollecitiamo un ripensamento”.
Anche per i produttori di biologico e di biodinamico si è persa una buona occasione per migliorare il processo di coltivazione a basso impatto ambientale e si è concentrata l’attenzione esclusivamente sul prodotto, come se si trattasse di un bene industriale. “Ci vuole rigore sulla soglia zero per i pesticidi, ma nello stesso tempo bisogna capire che il produttore bio danneggiato dalle sostanze tossiche che possono in vario modo arrivare dai campi vicini è la vittima, non il colpevole: va risarcito, non punito”, dichiara Vincenzo Vizioli, presidente di Aiab. “L’Italia è l’unico paese che applica al bio il limite zero, cioè il limite di rilevabilità: noi vogliamo difendere questa posizione mentre altri, ad esempio i tedeschi, hanno un punto di vista meno netto. Sull’azienda mista poi crediamo che si debba dare ai coltivatori la possibilità di completare la trasformazione in cinque anni. Mentre una questione non risolta restano i semi: bisogna investire in quelli bio che sono ancora troppo pochi”.
“Il biodinamico già certifica i prodotti come biodinamici al 100%, senza deroghe”, aggiunge Carlo Triarico, presidente dell’Associazione per l’agricoltura biodinamica. “È importante utilizzare il dibattito sul nuovo regolamento per far capire che non si può curare la terra in modo discontinuo. A fare la differenza sul prodotto finale non è solo l’assenza di veleni, ma anche la capacità di valorizzare appieno le risorse del suolo”.
*larepubblica
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