I Carabinieri della Compagnia di Paternò comune alle falde dell’Etna nella provincia di Catania, hanno arrestato Alessandro Alleruzzo con l’accusa di omicidio volontario pluriaggravato della sorella Nunzia per ‘riscattare’ l’onore della famiglia poiché aveva avuto relazioni con uomini del clan avversario. La donna venne uccisa nel 1995 con due colpi di pistola alla testa. Quel giorno il figlio di 5 anni disse di averla vista uscire di casa con suo zio Alessandro.
Il 47enne Alessandro è figlio del defunto boss Giuseppe Alleruzzo che negli anni Settanta e Ottanta guidava il gruppo di Cosa nostra a Paternò, al centro di numerose faide sanguinose e particolarmente cruente, articolazione territoriale della famiglia mafiosa Santapaola. Pippo Alleruzzo divenne poi un Collaboratore di giustizia in seguito alla morte violenta della moglie e di un altro suo figlio. È cugino di Santo Alleruzzo di 67 anni, detto “a vipera” considerato reggente del clan fino al suo ultimo arresto avvenuto nell’ambito della operazione “Sotto Scacco”*.
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Uccise la sorella perché tradiva il marito, arrestato il figlio del boss
La donna scomparve nel nulla il 25 maggio del 1995 dopo essere stata vista uscire di casa dal figlio di 5 anni e con il fratello ‘assassino’. Il 25 marzo del 1998, i Carabinieri del nucleo operativo della Compagnia di Paternò, a seguito di due telefonate anonime (in carcere, Santo Alleruzzo, aveva intimato ad Alessandro di far ritrovare il corpo della sorella per darle sepoltura), ritrovarono in un pozzo nelle campagne di Paternò nei pressi dell’abitazione di Pippo Alleruzzo, i resti ossei di una donna, in particolare il teschio, sul quale vi erano due fori causati da colpi di arma da fuoco. Le attività investigative, grazie anche alla comparazione del Dna, hanno permesso di identificare la vittima nella sorella dell’Alessandro.
Le recenti dichiarazioni di tre pentiti – Francesco Bonomo, Antonino Giuseppe Caliò e Orazio Farina – hanno permesso di ricostruire dinamica e movente del delitto. Nunzia Alleruzzo sarebbe stata assassinata dal fratello Alessandro perché la donna “aveva avuto numerose relazioni sentimentali con componenti del clan, abbandonando il marito”. Calò ha detto anche di “avere appreso direttamente da Alessandro Alleruzzo” che era stato lui ad “avere ucciso la sorella, sporcandosi di sangue e terra per averla dovuta trascinare, per riscattare l’onore della famiglia”.
Uccise la sorella perché tradiva il marito, arrestato il figlio del boss
Il collaboratore di giustizia Farina ha aggiunto che “tra gli amanti di Nunzia Alleruzzo c’era anche Giovanni Messina, componente del gruppo che aveva ucciso la madre della donna e che pensava di uccidere suo fratello Alessandro”. Alla riapertura dell’inchiesta, all’inizio di quest’anno, la Dda di Catania ha disposto intercettazioni nella cella del carcere di Asti dove erano detenuti Messina e Salvatore Assinnata, che commentando articoli di stampa che riportavano la notizia delle indagini dei Carabinieri dicevano (“mi rissi…o iddi pavunu…e Alessandro è il mandante…ehh…ammazzau…ehh”).
* L’operazione “Sotto Scacco”
Il 4 maggio 2021 a seguito ad indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Catania ed eseguite dai Carabinieri, fu data esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Catania nei confronti di 40 soggetti, 30 dei quali destinatari di provvedimento di custodia in carcere e 10 collocati agli arresti domiciliari. Il provvedimento era stato eseguito da circa 300 Carabinieri del Comando Compagnia di Paternò (CT), dei Comandi Provinciali di Catania, Palermo, Messina, Siracusa, Caltanissetta e dei reparti specializzati quali quelli del XII Reggimento “Sicilia”, dello Squadrone Elitrasportato Cacciatori di Sicilia, del Nucleo Cinofili di Nicolosi (CT) e del Nucleo Elicotteri di Catania, nei confronti di appartenenti alla famiglia catanese di Cosa nostra, storicamente promossa e diretta al vertice da SANTAPAOLA Benedetto, ERCOLANO Aldo (classe 60) e SANTAPAOLA Vincenzo e denominata clan “Santapaola-Ercolano”, articolato in gruppi stanziati sul territorio della provincia di Catania ed in particolare nei confronti del gruppo di Paternò storicamente diretto dalle famiglie ALLERUZZO, ASSINNATA e AMANTEA, e al gruppo di Belpasso. Il sodalizio mafioso operante in Paternò, e già facente capo ad ALLERUZZO Giuseppe cl. 35, è stato poi riorganizzato da ASSINNATA Domenico cl. 52 e dal figlio Salvatore cl. 72 come emergeva dalle operazioni cd. “ORSA MAGGIORE”, che nel 1993 per la prima volta individuava i gruppi dell’hinterland catanese ricollegabili alla famiglia Santapaola, e dalle successive operazioni denominate “PADRINI” – che accertava l’operatività del clan sino al maggio del 2006 – e “FIORI BIANCHI” che ne accertava l’esistenza ed operatività fino all’aprile 2010. Sulla scorta delle sentenze passate in giudicato sopra menzionate, risultava giudiziariamente accertata l’esistenza di un clan mafioso operante in Paternò, diretto e organizzato nel tempo dalle famiglie ALLERUZZO, ASSINNATA e AMANTEA. Gli indagati nell’ambito dell’odierna indagine rispondono dell’accusa di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, associazione per delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti, associazione per delinquere finalizzata alle truffe aggravate per il conseguimento di erogazioni pubbliche da parte dell’INPS; i fatti sono contestati sino all’agosto 2019. Le indagini prendevano le mosse nell’ottobre 2017 dalle dichiarazioni rese dapprima dai collaboratori di giustizia PRESTI Mirko e PRESTI Gianluca, e poi dai collaboratori FARINA Orazio e CALIÒ Giuseppe, i quali tra l’altro riferivano che l’ergastolano ALLERUZZO Santo inteso “a vipera” in occasione dei permessi premio si recava a Paternò per impartire direttive al clan, mantenendo quindi un ruolo di comando. Successivamente venivano effettuate numerose attività tecniche e di riscontro da parte dei Carabinieri della Compagnia di Paternò, all’esito delle quali emergeva che il clan mafioso operante in Paternò e facente parte del clan “Santapaola-Ercolano”, al suo interno era a sua volta articolato in tre gruppi, facenti rispettivamente capo alle storiche “famiglie” mafiose ALLERUZZO, ASSINNATA, e AMANTEA. Emergeva inoltre che capo ed organizzatore del gruppo, da gennaio 2018 a giugno 2019, era Pietro Puglisi, soggetto già condannato definitivamente sia per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. che per più estorsioni aggravate. In sintesi, all’esito delle indagini veniva delineata la seguente ripartizione in sottogruppi del clan mafioso: il gruppo che faceva riferimento alla famiglia ALLERUZZO, guidato dall’ergastolano ALLERUZZO Santo; il gruppo che faceva capo alla famiglia ASSINNATA, con a capo PUGLISI Pietro e ASSINNATA Domenico Senior, quest’ultimo quale figura storica e carismatica del clan; il gruppo che faceva capo alla famiglia AMANTEA guidato da AMANTEA Salvatore Vito e BEATO Giuseppe, quest’ultimo già stretto collaboratore di AMANTEA Francesco, padre di Salvatore Vito, storico uomo d’onore del clan; ed infine il gruppo di Belpasso, gestito da STIMOLI Barbaro e LICCIARDELLO Daniele.
L’OPINIONE
Poi ci scandalizziamo quando sentiamo di fatti analoghi in altre Nazioni, specialmente di certe confessioni. Anche in Sicilia dobbiamo ancora farne strada. Poi tutti questi mafiosi e delinquenti, per non parlare dei, guarda caso, paralleli e trasversali corrotti nella Regione, Enti e Comuni, sono una palla al piede per il progresso civile dell’Isola.
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