La capitale produce 1,7 milioni di tonnellate di rifiuti ogni anno, come durante l’era Marino. La differenziata è poca, il resto viene spedito agli insufficienti 4 centri. Quindi all’estero, pagando
Né discariche né biogas: Roma scoppia
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OMA – I numeri sono spaventosi. E l’emergenza rischia di durare a lungo. Ogni anno la Capitale a Cinque Stelle produce 1,7 milioni di tonnellate di rifiuti urbani. Solo il 43%, ovvero 700.000 tonnellate, riesce a passare per il circuito della raccolta differenziata (stessa identica percentuale raggiunta da Ignazio Marino, nonostante le promesse).
Il restante milione di tonnellate di immondizia deve passare (a fatica) per i quattro impianti di Tmb o trattamento meccanico-biologico (sminuzzamento, compostaggio, vagliatura e così via) esistenti in città . Due, quelli più vecchi e mal progettati, sono di proprietà dell’Ama, l’azienda pubblica della nettezza urbana di Roma, a Rocca Cencia e in via Salaria vicino al Raccordo. Gli altri due, più moderni, potenti ed efficienti, sono di proprietà del consorzio Colari dell’ex-re della «mondezza» romana, Manlio Cerroni, il proprietario della (ormai chiusa, dal 2013) discarica di Malagrotta, dove pure sono collocati i due Tmb. Per adoperarli il Comune ha dovuto nominare un commissario, perché Colari era stata colpita da un’interdizione antimafia.
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I quattro impianti Tmb esistenti sarebbero bastati appena appena se fosse aumentata la fetta di spazzatura «differenziata». Così non è stato durante il primo anno di Virginia Raggi (con l’assessora Paola Muraro all’Ambiente), in cui si decise di abbandonare il piano dell’era Marino. Il «marziano» voleva creare degli «ecodistretti» con impianti anaerobici dove i rifiuti si sarebbero trasformati in biogas; più in là avrebbe dovuto realizzare una nuova discarica. Raggi e Muraro non vollero sapere né della discarica né del biogas, contro cui M5S (incomprensibilmente, visto che è un processo super ecologico e sicuro) ha sempre mobilitato i cittadini. Risultato, i quattro Tmb romani non ce la fanno. Scoppiano letteralmente. Ogni tanto si fermano. C’è anche qualche temporaneo, ma ininfluente, sabotaggio. Si è chiesto aiuto ai Comuni vicini, ma non basta. Conseguenza: non sapendo dove mettere i rifiuti non si possono svuotare nel modo giusto i 68.000 cassonetti.
Ma torniamo al milione di tonnellate di immondizia trattate nei Tmb. Una volta lavorate, 700mila tonnellate vengono bruciate come combustibile nei «termovalorizzatori» (inceneritori, in questo caso indispensabili anche se non certo «ecologici») di Colleferro e San Vittore nel Lazio; a Ravenna e Pavia; nei cementifici, come combustibile; oppure spedite all’estero per essere bruciate. Trasformare l’immondizia in gas creerebbe una grande ricchezza; in teoria, anche bruciarla come carburante porterebbe un guadagno. Roma però paga, e salatamente, per esportarla ad esempio via treno all’estero a Vienna, in Austria: invece di guadagnarci, sborsa 136 euro a tonnellata.
Restano 300mila tonnellate di spazzatura che, una volta trattata, deve finire in discarica. Ma Roma una discarica non ce l’ha. Per adesso chiede aiuto ad alcuni siti del Lazio, oppure manda a caro prezzo in altre regioni (Abruzzo) o all’estero (Austria, ma anche via nave in Portogallo). La legge dice che i rifiuti vanno smaltiti dove sono prodotti: cioè a Roma o nella Città Metropolitana. La Regione Lazio ogni tre mesi scrive a Virginia Raggi («sindaco metropolitano») invitandola a realizzare una discarica da 500mila tonnellate l’anno.
Ovviamente Virginia Raggi non vuole fare la discarica, né altre città vogliono farla al posto suo. Forse preferirebbe farsi commissariare. La sua assessora all’Ambiente Pinuccia Montanari ha presentato un piano per portare la differenziata al 70% entro il 2021 e ridurre attraverso la «tariffa puntuale» la produzione di rifiuti. E creare – senza discariche né inceneritori – impianti di compostaggio aerobico (cioè all’aperto e senza biogas). Ma non ha mai detto dove vuole farli. Ci vorranno molti anni. E intanto è l’emergenza.
vivicentro.it/cronaca
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