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’uscita della Gran Bretagna dall’Ue minaccia di far rinascere l’Europa degli egoismi nazionali che i padri fondatori si lasciarono alle spalle nel 1957 firmando i Trattati di Roma per dare vita a quella che è stata la «casa comune» delle ultime quattro generazioni di cittadini. Il leader indipendentista britannico Nigel Farage vede nella vittoria referendaria il primo passo verso l’«addio a inno, bandiera e istituzioni europee» grazie al «ritorno degli Stati nazionali» perché si tratta di una prospettiva che appare improvvisamente realistica grazie al domino innescato da Brexit: la Scozia e l’Irlanda del Nord parlano di un proprio referendum per staccarsi dalla Gran Bretagna, i partiti di Geert Wilders e Marine Le Pen si propongono di spingere Olanda e Francia fuori dall’Unione, in Polonia e Ungheria i leader nazionali prendono marcate distanze da Bruxelles, in Grecia tengono banco sentimenti anti-tedeschi come in Germania anti-ellenici, in Italia i leghisti vogliono raccogliere le firme contro l’Europa e i 5 Stelle sull’euro, e nei Balcani il ritorno delle frontiere per ostacolare i migranti ha trasformato in carta straccia gli accordi di Schengen sulla libera circolazione degli individui, al punto da far tornare separazioni e posti di controllo fino al valico del Brennero ovvero uno dei confini ereditati dalla Prima Guerra Mondiale.
Se l’Europa del XXI secolo diventa il palcoscenico del ritorno dei nazionalismi eredi delle devastazioni causate nell’Ottocento e nel Novecento è perché i leader che si trovano a guidarla non riescono a dare risposte concrete alle tre maggiori cause di scontento che albergano in settori sempre più ampi della popolazione. Anzitutto l’impoverimento del ceto medio che ha visto negli ultimi quindici anni il proprio potere di acquisto drasticamente abbattuto anche lì dove il pil cresceva, arricchendo fasce sociali sempre più ristrette. L’assenza di una ricetta economica capace di estendere ai ceti medi i benefici della globalizzazione è lampante così come la mancanza di una discussione strategica europea su come generarla. Altrettanto visibili sono le carenze di politiche comuni per gestire il flusso di migranti in arrivo da Asia ed Africa come per difendere la sicurezza collettiva dal pericolo del terrorismo jihadista proveniente da Medio Oriente e Maghreb.
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Assediati dal timore di diventare sempre più poveri ed insicuri un crescente numero di cittadini europei vota appena può per qualsiasi bandiera che rappresenti messaggi negativi, tesi ad abbattere ciò che esiste senza troppo curarsi per ciò che avverrà dopo. È l’incapacità dell’Europa di rispondere a questa sfida, di rilanciare in avanti l’integrazione superando le proprie divisioni e di indicare come meta una nuova tappa nel percorso federalista che ha innescato la marcia indietro collettiva con un vortice di errori, litigi ed egoismi che ha portato la maggioranza dei cittadini della Gran Bretagna – la quinta potenza economica del Pianeta – a voltare le spalle alla Manica. Con il risultato di rendere l’Atlantico più largo, allontanando l’Europa dagli Stati Uniti, e sbilanciare l’asse del Continente verso quella regione centro-orientale dove la rivalità con la Russia è più accesa. Senza Londra l’Europa è diventata più distante dalle luci di New York e più sensibile alle mosse di Mosca.
È un cambiamento strategico destinato ad avere conseguenze. L’Europa degli egoismi nazionali che Farage esalta, molti altri perseguono ed in pochi sembrano disposti a ostacolare, minaccia per l’Unione Europa un processo di decomposizione destinato a moltiplicare le incognite più buie. Fino a quando uno o più leader europei troveranno il coraggio di non avere paura delle prossime elezioni in calendario, affrontando assieme, con determinazione, i problemi concreti da risolvere.
vivicentro.it/editoriale lastampa / Il ritorno degli egoismi nazionali MAURIZIO MOLINARI
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