L’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad sarebbe stato arrestato nella città di Shiraz per incitamento ai disordini e alle manifestazioni di protesta. Lo riferisce Al Arabiya citando il quotidiano Al-Quds Al-Arabi che ha interpellato “fonti affidabili a Teheran”. Ahmadinejad sarebbe ai domiciliari, con il benestare della guida suprema, ayatollah Ali Khamenei.
Il silenzio colpevole dell’Europa
L
’Europa deve reagire attivamente a quanto sta accadendo in Iran. Non può assistere impotente ad una repressione in atto con migliaia di arresti, compresi studenti e persone non coinvolte nelle manifestazioni di protesta iniziate nelle settimane scorse e arrestate a titolo preventivo. L’Europa deve essere ferma e netta nella disapprovazione, pur senza assumere l’atteggiamento di Trump che finisce in vero e proprio incitamento alla rivolta.
Un incitamento che non solo avvalla la denuncia dei governanti iraniani che la rivolta sarebbe stata fomentata da potenze straniere, ma provoca un inevitabile deterioramento dei rapporti con il regime iraniano. Un circolo vizioso che servirà a Trump per giustificare la desiderata disdetta dell’accordo sul nucleare, raggiunto dalla amministrazione Barak Obama e convintamente condiviso dagli europei.
A questo punto l’Europa deve scrollarsi di dosso l’accusa fatta dal vice di Trump, Mike Pence, di un «Europa pavida», che non prende posizione. Non può quindi accontentarsi della dichiarazione dell’Alto rappresentante per la Politica estera europea, Federica Mogherini, che «dimostrazioni pacifiche e libertà di espressione sono diritti fondamentali che si applicano a ogni Paese e l’Iran non fa eccezione». L’Europa deve fare una politica attiva autonoma, autorevole. Questa è l’occasione, proprio perché complicata e al di sopra della visione semplicistica di Trump.
La situazione che si sta creando è ben peggiore di quella verificatasi mesi fa in Turchia, quando la reazione di Erdogan al denunciato «colpo di Stato» ha portato ad una indiscriminata e generalizzata negazione dei diritti civili fondamentali contro cui l’Europa si è limitata a protestare.
La situazione iraniana attuale è molto più complessa. La protesta popolare delle settimane scorse, ha messo a nudo una profonda tensione all’interno del sistema politico iraniano. Era motivata da una situazione economica e sociale in drammatico peggioramento, causata da misure di austerity che hanno fatto esplodere i prezzi del pane, della benzina e di altri beni di prima necessità. Paradossalmente erano misure di un governo che si presentava come «riformatore». Ma chi è sceso in piazza protestava anche contro la corruzione e le speculazioni finanziarie di gruppi religiosi, che hanno bruciato per loro obiettivi particolari i risparmi di migliaia di famiglie a reddito modesto. Protestava anche contro il mancato mantenimento delle promesse in tema di libertà civili in particolare, ma non solo, per quanto riguarda le donne, e di riduzione del soffocante controllo da parte delle autorità religiose. La protesta ha investito la costruzione complessiva del regime, mescolando ragioni e obiettivi anche opposti: di chi vuole spingere per le riforme e di chi approfitta del malcontento per cercare di tornare indietro.
In queste ore in cui viene annunciato che «la sedizione» è stata vinta dalle forze conservatrici, i commenti degli osservatori esterni sono assai perplessi e di segno molto diverso.
È finito il governo «riformatore» di Rohani, contro cui è scoppiata la rivolta? Che cosa faranno le forze conservatrici fedeli alla Guida suprema Khamenei che si attribuiscono il merito della repressione e che non hanno mai accettato di buon grado gli accordi sul nucleare con l’Occidente egemonizzato dall’America? O sono anch’esse divise al loro interno? Non potrebbe qui aprirsi uno spiraglio di una nuova intesa grazie alle potenze europee? Perché Bruxelles non prende una sua iniziativa?
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vivicentro/Repressione in Iran: e l’Europa tace
lastampa/Il silenzio colpevole dell’Europa GIAN ENRICO RUSCONI
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