Il sacro principio degli scontrini archiviato. Le spese aumentate. I bilanci insensatamente moltiplicati. E il Movimento diventa Associazione. Meno stelle, più Rousseau
DI SUSANNA TURCO
Alla faccia della sua pur notevole carica istituzionale, Paola Taverna ti accoglie nel suo video con l’aria nasale e compiaciuta di una annunciatrice: «Sabato e domenica ci sarà una nuova tappa di Rousseau City Lab. Il mouse di Rousseau arriva a Livorno, alla rotonda di Ardenza». È vicepresidente del Senato, sembra un navigatore satellitare, una signorina buonasera, la voce del supermercato: «Entra su Rousseau alla voce Activism. Scopri l’evento che è più vicino a te». L’incredibile video non è isolato: è pieno trend a Cinque stelle. Meno movimento, più Associazione Rousseau. Meno vaffa, più azienda. Riguarda un po’ tutti i volti noti: dal ministro dei Trasporti Danilo Toninelli che si dedica con passione ai video della “Rousseau open Academ” – la più recente creatura del team di Davide Casaleggio- fino al Guardasigilli Alfonso Bonafede, intento a spiegare tutto de «lo scudo della rete», cioè il pool di avvocati cui rivolgersi, come grillini.
Così, anche così, col salto al governo il mito dell’anticasta si è tradotto, più che in politica, in tecnica, strategia mediatica e opacità. Slittamenti che si svolgono su vari livelli. La famosa trasparenza diventa qualcosa di sempre più rarefatto, la piazza viene rinchiusa e stipata nel mega mouse gonfiabile della Associazione Rousseau, il tecnoaziendalismo sopravanza insieme con la macchina di Casaleggio. Le Cinque stelle diventano sempre più Rousseau: c’è anche un dominio che lo esemplifica, l’indirizzo web «rousseau.movimento5stelle.it», che porta dritto nel futuro. E ci sono significative mosse mediatiche: a giugno, per distogliere l’attenzione dal caso di Luca Lanzalone – che fra l’altro aveva incontrato Davide Casaleggio a una cena poco prima del suo arresto – Luigi Di Maio ha dato grande spolvero alla pubblicazione del bilancio dell’Associazione Rousseau. Non una parola su quello (rimasto peraltro riservato) della Associazione Gianroberto Casaleggio che pure aveva organizzato l’evento al centro delle polemiche. E, soprattutto, Di Maio non ha dato alcuna pubblicità – come avrebbe fatto fino a poco tempo fa – al mero conto finale delle spese del comitato elettorale presieduto da suoi fedelissimi, che pure aveva raccolto «64 mila euro nei primi due giorni», «quasi cinquecentomila» all’inizio di febbraio e alla fine boh (nel 2013, le polemiche per la mancata pubblicazione partirono a neanche due settimane dal voto – e Grillo si precipitò a raccontare dove stavano i soldi).
Ci sono mosse giudiziarie: è la Rousseau e non il Movimento ad aver tirato fuori, in febbraio, i soldi per risarcire una causa persa da M5S. Mosse commerciali: il sito tirendiconto.it ha addosso tutti i segni di un prossimo smantellamento, mentre è già statuito che i 331 deputati e senatori eletti con M5S verseranno ciascuno 300 euro al mese all’Associazione di cui Casaleggio jr è socio fondatore, tesoriere, dominus (totale: quasi 6 milioni in un quinquennio). E ci sono mosse politiche: il più recente bilancio presentato in Parlamento alla Commissione preposta non è quello del partito, ma quello di una Associazione che, per quanto definita «cuore del Movimento», non è quella che ha presentato le liste e depositato il contrassegno elettorale, né nel 2013 né nel 2018; così, i rendiconti non sono più firmati nemmeno da Beppe Grillo, ma da Davide Federico Dante Casaleggio e Pietro Dettori. Sembrava fosse un partito, invece era un calesse.
Ma conviene cominciare terra terra, dagli scontrini. Nel M5S non se ne vede più uno da un pezzo. Gli ultimi risalgono alla fine del 2017. Bisogna andare nella preistoria grillina, per ricordare che la scorsa legislatura era cominciata addirittura con espulsioni comminate ai parlamentari per carenze sul fronte della presentazione delle prove di spesa . In piena campagna elettorale 2018, l’esplodere del caso dei finti bonifici ha fatto il resto. E la nuova legislatura è cominciata con il presidente della Camera Roberto Fico che si è visto rinfacciare i rimborsi taxi, quando si è fatto fotografare sull’autobus. Perché mai continuare a prestare il fianco a tutto ciò? Cade così il mantra degli scontrini. I parlamentari saranno tenuti a restituire 2 mila euro al mese, oltre ai 300 destinati alla Rousseau, e avranno diritto a un forfait per le spese di soggiorno, vitto e trasporto di tremila euro, senza dover presentare prove. Non proprio da buttar via, visto che nel 2013 la regola era tenere al massimo tremila euro, non limitarsi a restituirne 2 mila (a «i nostri terranno 2500 euro al mese», proclamava Grillo al tempo dello Tzunami tour).
Nel partito mugugnano, ma intanto il famoso “tirendiconto” è in disarmo. Fermo alla scorsa legislatura: ancora col faccione di Alessandro Di Battista, che invece è a zonzo per l’America, o dello stesso Di Maio, che ormai sta a via Veneto tra i ministeri dello Sviluppo economico e del Lavoro. I rendiconti ancora fermi alla scorsa legislatura, a Dicembre 2017: ma nel 2018 li hanno presentati in due.
Insieme agli scontrini, faremo più fatica ad avere i minuziosi rendiconti che – soprattutto al Senato – i gruppi parlamentari M5S fornivano. C’è da dire, anzi, che il gruppo Camera si è già aggiornato. Tutt’ora, in ritardo vistoso, non ha ancora fornito il link ufficiale al bilancio 2017, si è limitato a dare anticipazioni all’agenzia di stampa Adnkronos: e in effetti sono bastati a far venire i brividi.
Non volevano i soldi pubblici, anzi lo scrivono tutt’ora sul sito: «Non riceve alcun finanziamento pubblico». Ma attraverso i contributi di Camera e Senato ne hanno presi eccome. E tanti: 32 milioni di euro, complessivamente, in un quinquennio. Soldi incassati dal movimento, attraverso i gruppi parlamentari, e poi spesi. Tutti. Tanto da finire in rosso. Osservando l’andamento, si vede che nel quinquennio le spese sono esplose, a partire dal 2015. E hanno finito per rosicchiare i soldi messi da parte nel primo biennio, più virtuoso. Il gruppo della Camera ha certificato un quasi un milione in rosso per il 2017, 803 mila euro per la precisione. Il francescanesimo, totalmente abbandonato . E dove sono andati questi soldi? Oltre che nella sempre crescente numero di dipendenti, in collaborazioni, consulenze e incarichi esterni. Per la “comunicazione” e non solo. Già nel 2016, solo il comparto era lievitato del 375 per cento, superando il mezzo milione di euro di spese. Per il 2017, il caso più notevole è anche il più curioso: quello Domenico De Masi, il sociologo forse più amato – e di certo più pagato – dai Cinque stelle (almeno prima che passasse nel comitato promotore di Leu). Le due ricerche da lui svolte (insieme con un team di 14 persone, ha poi precisato), sono la voce più pesante della spesa di 183 mila euro devoluti in servizi (il restante è andato alla Ipsos, per due sondaggi). Un’enormità. Nella nota al rendiconto, si precisa che i risultati della prima ricerca sono stati presentati, quelli della seconda mai, perché dovevano essere il cuore di un convegno organizzato per febbraio 2018, e «successivamente rimandato a causa delle imminenti elezioni» (evidentemente non preventivabili).
La spesa sempre crescente – a fronte di donazioni degli attivisti grillini che si aggirano attorno a una media fissa di 27-29 euro a testa – è del resto un dato comune nei molti bilanci presentati dai Cinque stelle. E si dice “molti” non a caso. Pur non volendo accedere ai contributi pubblici (cioè ai rimborsi elettorali e al meccanismo del 2 per mille), infatti, il Movimento Cinque stelle ha presentato almeno il triplo dei bilanci necessari, in una moltiplicazione di numeri che (per paradosso) si traduce in mancata chiarezza. Secondo quanto risulta pure alla commissione per la Trasparenza, detta Commissione Calamaro dal nome del suo presidente, e alla quale i partiti debbono presentare i loro rendiconti, il Movimento sembra essere uno e trino: cioè per ognuno dei primi tre anni della scorsa legislatura (unici dati finora disponibili) ha presentato tre bilanci. Quello del Comitato elettorale per le elezioni politiche 2013, quello per le europee del 2014, e infine, quello dell’Associazione MoVimento Cinque stelle che si è presentata alle elezioni (si tratta dell’Associazione tra Grillo, suo nipote e il commercialista Nadasi, costituita nel 2012; quella che si è presentata alle ultime elezioni e che ha Di Maio come capo politico ancora non ha presentato bilanci).
A tutti questi bilanci si aggiungono i due dell’Associazione Rousseau (nata a metà 2016). Il risultato complessivo rasenta un Picasso nel periodo cubista. Ci sono molti più bilanci di quelli che dovrebbero esserci, perché per la legge l’obbligo a trasmettere i rendiconti è di chi ha ottenuto il 2 per cento dei voti o ha almeno un eletto (ma non hanno obblighi i comitati elettorali, e tanto meno le Associazioni come la Rousseau che formalmente si occupa solo della piattaforma on line di M5S). E si finisce per avere un quadro incongruo: l’unico organismo che dovrebbe aver soldi, cioè il Movimento cinque stelle, non li ha. In compenso, in tutte le sue molteplici incarnazioni, finisce in passivo: non c’è n’è uno che nel giro di un paio d’anni non abbia almeno 4 mila euro di rosso.
Per converso, in tanta moltiplicazione, mancano tasselli che logicamente sarebbero fondamentali: manca ad esempio il primo rendiconto del comitato elettorale 2013, cioè quello dei fondi raccolti per le politiche che videro per la prima volta M5S diventare titolare di un quarto dei voti degli italiani. Qualcosa si ricava nel rendiconto successivo, quello del 2014, nel quale si dichiara che l’anno prima c’erano stati un totale di 737 mila euro di contributi (di cui 41 mila dall’estero), e uscite per complessivi 626 mila euro. In compenso, il Movimento vero e proprio conta nello stesso periodo sulle sole quote associative: 600 euro, poi 800, poi mille. Il suo massimo di spesa riguarda la registrazione del simbolo (4 mila euro).
Molti più soldi si ritrova a gestire il comitato per le elezioni europee del 2014. Parte con 617 mila euro di contributi (di cui 39 mila dall’estero) ne spende per la campagna elettorale 413 mila. I restanti 200 mila circa vengono in parte girati alla causa del mai celebrato referendum no euro (45 mila nel 2014, 30 mila nel 2015), altri in spese per lo più non specificate. Intorno ai soldi raccolti per le europee si verifica peraltro un caso di strani conteggi: nel counter collocato sul sito del Movimento, in alcuni momenti aumenta il numero dei contribuenti senza che aumenti il totale, in altri momenti accade l’inverso. Come se fossero numeri a caso, il che quantomeno non è estetico: ufficialmente vale alla fine il rendiconto (dove il numero dei contribuenti non c’è). Nel quale si segnala come quello di Beppe Grillo, 54 mila euro circa, sia in pratica l’unico ad aver superato i 10 mila euro. Il tutto, comunque, è niente rispetto ai 32 milioni che arrivati via Parlamento, e ancor meno rispetto a quelli che arriveranno: basti pensare che i parlamentari sono più che raddoppiati da 126 a 331.
In questo delirio di bilanci, ecco sorgere l’Associazione Rousseau. Fondata l’8 aprile 2016 da Davide e Gianroberto Casaleggio (quattro giorni prima della sua morte), alla fine di quell’anno era in attivo di 79 mila euro, nel 2017 è già in passivo secondo la solita tendenza: 135 mila euro il disavanzo di gestione. Dice Davide Casaleggio che la maggior parte dei soldi (89 mila euro) sono serviti a rendere i dati degli iscritti più sicuri, dopo che il sistema è stato bucato più volte dagli hacker. Di certo, 31 mila e spicci la Rousseau li ha messi a bilancio nel 2017 prevedendo che le sarebbero serviti, al centesimo, nel febbraio 2018 , per pagare una causa persa contro espulsi romani da M5S.
Più ancora che i soldi, tuttavia, è il sistema in crescita a dover essere messo sotto la lente. Alcuni fattori mostrano infatti come il sistema Casaleggio sia sempre più attivo ed operante. Il Rousseau City lab che si citava all’inizio ne è un tassello. Casaleggio e i suoi soci girano l’Italia per mostrare come funziona il sistema della democrazia diretta. La tecnodemocrazia. Dentro un bianco mouse gonfiabile, spiegano il futuro. E a illustrarlo, non c’è Luigi Di Maio, capo politico di M5S. C’è Enrica Sabatini, socia di Rousseau. Che parla di «nuovi modelli di partecipazione», «democrazia diretta, invece che delegata», una «rivoluzione culturale» rispetto alla quale «in Italia ci sono pregiudizi», anche se «i risultati ci danno ragione, essendo arrivati al governo di questo Paese». Eccolo, il link, persino spudorato: è la Rousseau, ad essere arrivata al governo. I risultati le danno ragione.
Lo stesso Casaleggio, parlando durante la serata de “il mio voto conta” l’ha detto ancora meglio: «La consapevolezza dei propri diritti di cittadinanza digitale si sta alzando, un nuovo tipo di diritti e di strumenti . Oggi gli strumenti per esercitare questi diritti non sempre accessibili, ma quando lo diventano poi si pretendono, proprio come quelli che abbiamo creato con Rousseau». Insomma l’accesso alla rete è «un diritto», persino sancito nel contratto di governo tra lega e cinque stelle, e questo è «un primo passo verso il riconoscimento di nuovi diritti, che stiamo cominciando a costruire anche grazie a Rousseau».
Ecco Davide che recupera il padre, le sue direttrici, e le porta su nuovi orizzonti. Senza dimenticare pure l’aggancio con il mito olivettiano: «In un certo senso siamo figli di Adriano. E oggi la sua idea di comunità è il faro che ci indica la strada al centro di Rousseau», scrive Davide su Facebook a inizio luglio. Il mondo che gli gira attorno, del resto, funziona in maniera sempre più integrata. Tra echi olivettiani, e gli approdi più contemporanei. Come quello di Edoardo Narduzzi, amico di Gianroberto Casaleggio, che lavorò con lui alla WebbEgg e costruì la Netikos, esperto di startup, criptovalute e blockchain, è stato uno degli investitori di Pipero, ristorante nel quale si sono incontrati Davide Casaleggio e Luca Lanzalone, pochi giorni prima del suo arresto. Un’altra società di Narduzzi, la Mashfrog, è nella partnership degli organizzatori del master sulle criptovalute organizzato dalla Link University, l’ateneo privato che ha un rapporto privilegiato coi Cinque stelle. L’università che adesso sta per aprire una nuova sede a Napoli. Proprio nell’area della ex Olivetti, ma sarà certamente un caso.
18 luglio 2018
http://espresso.repubblica.it/attualita/2018/07/13/news/non-ti-rendiconto-piu-1.324908
Immagine: beppegrillo.it
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