“È la prima volta che il favoreggiamento all’immigrazione clandestina viene applicato nell’ambito delle imbarcazioni di salvataggio”, scrive Francesco La Licata nell’editoriale di prima pagina.
L’inchiesta al salto di qualità
I
l sequestro della Iuventa, ex peschereccio divenuto mezzo di salvataggio dei migranti in fuga da guerre e fame, rappresenta una tappa importante dell’azione di contrasto verso il business legato alla immigrazione clandestina. L’iniziativa della procura di Trapani, avallata da un provvedimento del gip, apre uno scenario del tutto inedito nella difficile strategia per il contenimento di quella che ormai viene considerata la giungla del Mediterraneo centrale. Una giungla che va – è l’opinione dei responsabili ai vari livelli – in qualche modo normalizzata, se non si vuol vedere compromessa una sana gestione dell’azione umanitaria condotta dai tanti volontari che rischiano la vita per salvare quelle dei popoli in fuga. Ecco, sembra che l’intervento della magistratura trapanese sia stato determinato da comportamenti «abnormi» di qualche componente dell’equipaggio dell’imbarcazione riconducibile dalla Ong «Jugend Rettet», una delle organizzazioni che si sono rifiutate di sottoscrivere il «codice di comportamento» proposto dal governo italiano.
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Dicono i magistrati di aver monitorato sin dallo scorso autunno i movimenti della Iuventa, notando come il suo raggio d’azione insistesse sempre nello stretto tratto di costa libica, fra Sabrata e Zuara, e più d’una volta intervenendo senza un reale pericolo per i fuggiaschi, anzi qualche volta entrando in confidenza con gli scafisti che scortavano i migranti fin dentro la Iuventa. Queste accuse dei pm hanno già retto al vaglio di un gip che ha ordinato il sequestro preventivo della nave, per «impedire la reiterazione del reato». Che sarebbe il favoreggiamento in immigrazione clandestina, norma prevista già dalla legge e che nulla ha a che fare col più recente protocollo di comportamento.
Non sfuggirà a nessuno la portata dell’iniziativa della magistratura trapanese: è la prima volta che il favoreggiamento all’immigrazione clandestina viene applicato nell’ambito delle imbarcazioni di salvataggio che operano per conto delle Ong. Fino ad oggi il reato era stato appannaggio quasi esclusivo dei mercanti che si arricchiscono sulle sofferenze dei migranti.
Ma non può essere sottaciuta neppure l’enorme difficoltà insita in questa nuova strada intrapresa dalla magistratura. I primi ad averne contezza sembrano proprio i pm e il gip protagonisti dell’indagine sfociata nel sequestro della Iuventa, che dimostrano di maneggiare l’inchiesta con la dovuta cautela e le necessarie precisazioni circa l’assenza di prove sull’ipotesi di contatti illeciti con i mercanti libici o, peggio, circa l’ipotesi che alla base dell’attività della Iuventa possa esserci la ricerca di un ritorno economico. Se esistessero prove certe, d’altra parte, oggi non renderemmo conto soltanto di un sequestro preventivo.
Come accade sempre quando si aprono nuove ipotesi investigative per comportamenti al limite della legalità, oppure per comportamenti ancora non ben «metabolizzati» dalla giurisprudenza, si va incontro a polemiche e dibattiti senza fine. Accade così persino per un reato odioso come la mafia e per tutto ciò che vi ruota intorno (basti pensare al concorso esterno).
Non meno scivolosa potrà apparire l’iniziativa della procura di Trapani, stretta fra la giusta esigenza di normalizzare la «giungla del Mediterraneo» e l’altrettanto sacrosanta azione di difesa di chi fugge da guerra e carestie, prestando, però, attenzione a non cadere nella trappola di una sorta di estremismo umanitario.
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lastampa/L’inchiesta al salto di qualità FRANCESCO LA LICATA
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