P
iù anziani non autosufficienti, meno posti letto: “La rete di aiuto informale in Italia è una rete degli affetti, ma non riesce più a garantire l’assistenza alla popolazione anziana come in passato”, commenta Linda Laura Sabbadini, invocando una “vera e propria strategia da parte pubblica”.
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Storie quotidiane di sofferenza e solidarietà nelle famiglie di anziani disabili gravi. Sofferenza per gli anziani in questa situazione che sono più di un milione e mezzo, secondo l’Istat, spesso poveri oltre che malati, non raggiunti dall’assistenza pubblica, e per i loro familiari. Solidarietà, più di quanto noi stessi crediamo, basti pensare che solo un quarto degli anziani disabili gravi è assistito dal settore pubblico, mentre il 65,8% da familiari non conviventi, soprattutto donne. Una grande risorsa, umana e materiale. Ma non è giusto che ciò accada e neanche sostenibile. Sono in gioco i diritti degli anziani a ricevere cure adeguate. E anche quelli dei loro familiari, soprattutto donne, a non essere sovraccaricati di compiti impossibili spesso da sostenere.
La rete di aiuto informale in Italia è una rete degli affetti, svolge un ruolo fondamentale, invidiato da molti altri Paesi, ma non riesce più a garantire l’assistenza alla popolazione anziana grave come in passato. La popolazione anziana, infatti, cresce in valori assoluti e in termini percentuali. Gli ultra ottantenni sono ormai più di 4 milioni, gli ultranovantenni 727 mila e sono destinati a crescere in futuro. Proprio tra questi è ampia la fascia delle situazioni più gravi, laddove si concentrano i maggiori bisogni di assistenza. Inoltre, la famiglia, la rete parentale è sempre più stretta e lunga, dai bisnonni ai pronipoti. Il calo delle nascite ha fatto sì che le persone adulte abbiano sempre meno fratelli e sorelle con cui condividere le responsabilità di cura verso gli anziani. Le donne, principale sostegno degli anziani, hanno sempre meno tempo a disposizione da dedicare, perchè svolgono più lavoro retribuito che in passato. L’anello debole della catena emerge tra le nonne, ormai diventate «nonne sandwich», perché sempre più schiacciate tra la cura dei nipoti e quella dei genitori anziani non autosufficienti. Per loro i bisogni di nipoti e anziani cominciano ad entrare in competizione. Anche perchè sempre più numerose lavorano fino a tarda età, essendo stata elevata l’età pensionabile e spesso hanno ancora in casa un figlio grande disoccupato.
Si può ricorrere alla cosiddetta badante, ma quante famiglie possono realmente permettersela a proprie spese? Solo una piccola minoranza. La crisi aggrava questa situazione, chi sta peggio sono i più poveri, i loro cari devono lavorare di più per mandare avanti la famiglia e hanno meno tempo da dedicare ai malati, ma i malati con chi rimangono? E così scattano le rinunce, si perdono le opportunità, si entra nel circolo vizioso della povertà. Ci perde l’anziano, ci perde chi rinuncia. Urge un cambiamento radicale, una vera e propria ridefinizione del nostro sistema di welfare. È necessario una volta per tutte investire in infrastrutture di servizi e accrescere la quota di assistenza fornita da parte pubblica, sia sul piano dell’assistenza domiciliare, che socio-sanitaria, che residenziale, molto scarsa quest’ultima nel nostro Paese. Anche perchè la risposta ai bisogni degli anziani deve essere, per sua natura, multidimensionale ed è spesso difficilmente gestibile senza la professionalità necessaria.Il pilastro del lavoro non retribuito delle donne non regge più. Il no profit può dare un aiuto fondamentale, più di quanto stia già facendo. Ma bisogna dotarsi di una vera e propria strategia da parte pubblica, perchè ciò avvenga.
Se riusciremo a farlo, sarà l’occasione per costruire più posti di lavoro per i giovani e migliore assistenza per gli anziani disabili gravi. E, mettendosi d’ingegno, chissà che non si riesca a far sì che quel che è giusto e doveroso risulti meno gravoso e più vantaggioso socialmente e economicamente per il Paese.
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lastampa/Nonni-nipoti, quanti danni dal conflitto LINDA LAURA SABBADINI
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